Un decennio di “Caritas in veritate”

Era per Benedetto XVI un'estate di decisioni importanti quella di dieci anni fa e la pubblicazione dell'enciclica sociale sulla “Carità nella Verità” offrì una chiave di lettura fondamentale per comprendere il pontificato del Papa teologo. Dopo la lunga stagione di San Giovanni Paolo II (e gli ultimi difficili anni di malattia), la scelta di Joseph Ratzinger come suo successore consentiva alla Chiesa una linea di continuità, sulla quale Benedetto XVI scelse di non imporre uno stile, ma piuttosto di consolidare l'unità ecclesiale. Tuttavia la turbolenza e la velocità delle sfide globali sfidarono la Chiesa e il suo pastore in modo unico, chiamando Benedetto XVI a scelte drammatiche e radicali. “Molte delle questioni affrontate da Benedetto XVI sono rimaste nell’agenda di Papa Francesco, che invece impostò il proprio mandato come una rottura nei confronti della situazione di precario e apparente equilibrio, sia interno alla Chiesa sia nel mondo, con cui Benedetto XVI si trovò a fare i conti – spiega il sociologo della famiglia Francesco Belletti -. Ma mai questa rottura è stata nei confronti di Benedetto XVI”. L’indiscutibile levatura intellettuale consentì sempre a Joseph Ratzinger di proporre le proprie idee con modalità pacifiche, serene, rispettose delle altre persone, anche di chi non era d'accordo. Gli incarichi sempre più delicati che gli furono man mano affidati nella Curia vaticana rispecchiarono la vastità dei suoi interessi e delle sue attitudini, degli obiettivi che con fede riuscì a raggiungere: quasi una realizzazione della parabola evangelica dei talenti. Ogni ruolo ricoperto da Joseph Ratzinger per conto della Santa Sede fu come il filo d’ordito, sottile ma fondamentale, di un prezioso arazzo ricamato a mano. 

Le radici del pontificato

Per sei anni lavorò senza sosta alla preparazione del testo-chiave per la fede di oltre un miliardo di credenti: il Catechismo della Chiesa cattolica e nel 1992, da presidente della Commissione, affidò a Giovanni Paolo II la nuova esposizione ufficiale degli insegnamenti della dottrina. Dieci anni dopo Karol Wojtyla approvò la sua elezione a decano del Collegio cardinalizio. Ma alla scalata nella gerarchia ecclesiastica corrispose sempre l'impegno nella scrittura, segno di una mai accantonata vocazione accademica e tra le sue numerose pubblicazioni, un posto particolare è occupato dal libro “Il sale della terra“, pubblicato nel 1996.  Ma, come nei romanzi gialli, per cercare di svelare l’enigma-Ratzinger è utile riconsiderare alcuni passaggi meno noti del suo profilo biografico. Già vescovo aveva l'attitudine del riformatore ecclesiastico, guardava alla Chiesa nel suo complesso e aveva in mente due temi fondamentali: l'infallibilità e il ruolo delle donne nella vita di fede. Agli albori del suo ministero episcopale a Monaco, infatti, gli fu chiesto in un'intervista di esprimersi sull'infallibilità del Papa. “La Chiesa deve cercare la via della decisione definitiva, ultima. Ossia la fede, nel suo incarnarsi nella vita, non può essere continuamente messa in discussione, ma deve esserci la possibilità, nelle questioni fondamentali, di trovare un'ultima e vincolante decisione. Questo è il compito del Collegio dei Vescovi, del Concilio e, appunto, del Papa.  Ma questa decisione non cade mai dall'alto come un “deus ex machina”, ma emerge dalla vita della comunità in continuità con la tradizione. Da quando è stato formulato il dogma dell'infallibilità, i Papi non sono mai intervenuti in modo arbitrario, ma hanno sempre partecipato in modo molto intenso all'approfondimento teologico dei dogmi. L'infallibilità è l'ultimo strumento necessario perché sia possibile la formulazione della fede, strumento che fonda la sua autorevolezza nella successione apostolica. Ciò non dispensa da un continuo e vivo approfondimento della fede”.  

Il ruolo delle donne

Se Benedetto XVI fu, come ritiene la storica Lucetta Scaraffia, “il Papa delle donne”, già da presule in Germania, richiamò la necessità di rivedere la funzione della donna nella vita della Chiesa. Poco dopo esser stato ordinato vescovo, Joseph Ratzinger propose di trovare nuovi modi di partecipazione alla vita della Chiesa da parte della donna, come si è fatto in altre epoche storiche: ad esempio con le diaconesse, che avevano una funzione centrale nella Chiesa primitiva e antica, così come l'hanno avuta le profetesse nella Chiesa medievale, soprattutto in Germania con lldegarda di Bingen, in Italia con Caterina da Siena, in Spagna con Santa Teresa d'Avila. Dalle vette astratte della ricerca accademica, del pensiero filosofico e della riflessione su Dio al meno teorico e più pragmatico vertice della piramide vaticana. Uno dei luoghi comuni più persistenti ma meno veritieri sull’azione pastorale di Benedetto XVI riguardò fin dall’inizio del suo pontificato una sorta di ossessiva e reazionaria predilezione per i temi bioetici (difesa della vita, della famiglia, della libertà di educazione) a scapito di quelli sociali (lavoro, accoglienza, uguaglianza, Welfare). Insomma, un Papa che, per evangelizzare a colpi di dottrina, avrebbe trascurato l’impegno solidale della Chiesa guardandosi dallo schierare il mondo cattolico contro l’iniqua distruzione delle ricchezze su scala planetaria e a salvaguardia degli ultimi. 

Teologia sociale

Per sfatare il mito fallace di un Ratzinger disinteressato alle questioni sociali, scese in campo, nel febbraio 2014, la Compagnia di Gesù. Su Aggiornamenti Sociali, la rivista internazionale che da sessant’anni incrocia fede cristiana e giustizia negli snodi cruciali della vita politica ed ecclesiale, padre Hanri Madelin, ex provinciale dei gesuiti in Francia, ristabilì la verità storica fugando le falsità e ribaltando definitivamente lo stereotipo della presunta indifferenza di Ratzinger per la dottrina sociale della Chiesa. “Del Papa che ha stupito il mondo con la propria rinunzia al pontificato si sottolineano per lo più la grande cultura e la predilezione a trattare questioni riguardanti la Chiesa cattolica, il contenuto dei suoi dogmi e la sua collocazione tra le altre Chiese. – sottolineò Madelin – Poiché, prima di accedere al pontificato, il cardinale Ratzinger ha a lungo presieduto la Congregazione per la dottrina della fede, se ne ricordano i moniti contro le interpretazioni da lui giudicate contrarie a una certa “ortodossia romana”. Si rammentano i suoi contrasti e i suoi richiami all'ordine nei confronti dei sostenitori di vari filoni della teologia della liberazione in America latina. La figura di Benedetto XVI non sembra dunque avere una particolare connotazione sociale”. 

Dimensione antropologica

Secondo il gesuita, però, “questa immagine è incompleta, in quanto trascura l’apporto originale di Papa Joseph Ratzinger alla dottrina sociale della Chiesa, cioè il fatto di inserirla all’interno di una visione globale e personale che attinge l’essenziale delle sue risorse nei tesori della teologia“. “Questo pensiero – secondo Madelin – può essere di sostegno ai cattolici, ma corre il rischio di sconcertare i fedeli di altre tradizioni e tutti coloro che si dichiarano emancipati da convinzioni religiose”. “In questo senso”, prosegue l'ex provinciale dei gesuiti in Francia, “Benedetto XVI ha dato una sua impronta alla dottrina sociale della Chiesa, specialmente con la pubblicazione, il 29 giugno 2009, dell’enciclica “Caritas in veritate”: in essa egli si rivela un analista acuto dei meccanismi di funzionamento della società, ma la sua originalità si manifesta ancora di più nella preoccupazione costante di sottolineare la dimensione antropologica e teologica dei problemi che l’umanità si trova ad affrontare in un periodo di crisi che si inserisce in una dinamica di globalizzazione galoppante“. Già la prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est (2005), insisteva sul rapporto tra giustizia e carità, sui compiti diversi che spettano alla Chiesa e alla politica, sul posto e sul ruolo dei laici cristiani nelle organizzazioni della società civile. 

Sviluppo umano integrale

“Nell’attuale clima secolarizzato, i laici sono invitati a conciliare esigenze che non sempre sono armonizzate: competenza professionale, rifiuto di piegarsi al giogo delle ideologie, audacia nel proclamare la propria fede, ripulsa di ogni proselitismo – evidenzia Madelin -. Dopo la pubblicazione, nel 2007, dell’enciclica “Spe salvi“, dedicata alla speranza, nel 2009 Benedetto XVI pubblica la “Caritas in veritate“, lettera enciclica sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità. La preparazione di questo documento, originariamente previsto per celebrare il 40° anniversario della Populorum progressio di Paolo VI (1967), è stata laboriosa”.  E in effetti, prosegue il saggista di Aggiornamenti sociali, “parecchi progetti preparatori sono stati abbandonati per l’esigenza di adattare il contenuto alla nuova situazione creata dalla crisi globale, ma il documento, che ha avuto risonanza nel mondo intero, non è tanto una analisi della crisi quanto una visione filosofica e, soprattutto, teologica delle carenze e degli errori che hanno condotto al blocco”. “E – secondo Madelin – il Papa parla più del “perché” che del “come”, facendo appello alle esigenze della coscienza piuttosto che proponendo ricette. Ratzinger sottolinea che una parte dei disordini attuali deriva da una pericolosa finanziarizzazione dell’economia e da una sofisticazione degli strumenti monetari, che richiedono un intervento politico di regolazione più deciso: un atteggiamento coraggioso che rompe con gli inni encomiastici intonati dai fautori dell’iperliberalismo – evidenzia Madelin-.Quando ne avverte il bisogno, non esita a denunciare carenze ed emergenze della situazione planetaria: ne fa fede il tono della lettera indirizzata all’allora primo ministro britannico Gordon Brown alla vigilia del G20 di Londra, nell’aprile 2009. 

Una autorità mondiale

Sulla scia dei suoi predecessori, a partire da Giovanni XXIII e dalla sua enciclica Pacem in terris (1963), Benedetto XVI riafferma nella Caritas in veritate la necessità di istituire una vera autorità politica mondiale, anche se in un modo forse ancora troppo sobrio”. Il documento,infatti, propone “più il modello della cooperazione tra i governi che l’integrazione tra le nazioni, prendendo come riferimento implicito l’Onu più che l’Unione europea”, ma le caratteristiche di questa autorità mondiale, quale è richiesta dalla Caritas in veritate, esprimono grandi esigenze. E cioè “una simile autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità”.