Rwanda, l’impegno della Chiesa per sanare le ferite dell’odio

Il presidente della Conferenza episcopale del Rwanda: “Dopo il genocidio abbiamo intrapreso un percorso fruttuoso di riconciliazione”

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In Rwanda il rapporto della Chiesa con le autorità politiche non è stato sempre facile. Anche per la pesante eredità lasciata nel Paese dal genocidio del 1994. Dalla visita del presidente a al Papa nel 2017 “qualcosa è cambiato“. Come documenta l’agenzia vaticana missionaria Fides. L’impegno della Chiesa per sanare le ferite dell’odio in Rwanda.Rwanda

Rwanda: ricominciare da zero

Racconta a Fides monsignor Philippe Rukamba, da 24 anni alla guida della diocesi di Butare in Rwanda: “Sono stato nominato vescovo nel 1997. Erano appena passati tre anni dal genocidio. E il paese era veramente devastato. Rovine ovunque. Case distrutte. Tantissime famiglie toccate da omicidi. O violenze. E molta gente fuggita fuori dal Rwanda. C’erano tantissimi orfani. Alcuni in tenere età. E nel cuore della popolazione c’era molta rabbia. Bisognava ricominciare da zero. La Chiesa usciva da una situazione grave. Inoltre aveva perduto tre vescovi. Due uccisi e uno disperso. Oltre a tanti sacerdoti e religiosi. Ci siamo messi a fianco della popolazione. Per aiutare il Paese a riprendersi. Il nostro lavoro è stato fin dall’inizio mettere insieme. Riconciliare. Anche se era molto difficile. Tanti non avevano la forza di venire in parrocchia”.

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I miliziani delle “Forze Democratiche per la liberazione del Ruanda”

100 giorni di inferno

Sono passati 27 anni dai cento terribili giorni di follia genocida che hanno travolto il Rwanda. Precipitandolo nel gorgo dell’orrore. Il presidente della Conferenza episcopale del Rwanda, ricostruisce quel drammatico aprile. Spiega cosa è cambiato da allora. E qual è il ruolo della Chiesa. Nella transizione verso una definitiva era di pace. “La cosa più importante era provare a riconciliare. I familiari delle vittime con gli autori dei massacri. Lo si poteva fare con riflessione. Cercando innanzitutto di capire quello che era successo. La nostra commissione Giustizia e Pace ha chiesto aiuto. Ad alcuni Paesi che avevano sperimentato periodi di grosse tensioni etniche o religiose. Come il Sud Africa e l’Irlanda del Nord. E che ne erano usciti attraverso un complesso processo di riconciliazione. Si è innescato così un percorso molto utile. Che ci ha aiutato a capire il cuore della gente”.

Il ruolo della Chiesa

Aggiunge il leader dell’episcopato del Rwanda: “Pian piano la situazione è migliorata nel Paese. E come Chiesa abbiamo cercato di sostenere lo Stato. Mettendoci anche a disposizione nel ricercare giustizia. Nei confronti dei preti o religiosi che si sono resi protagonisti di crimini”. Anche la Chiesa cattolica è stata travolta dalla furia omicida di quei giorni. Ha perso molti suoi rappresentanti che si opponevano alla violenza. Ma ha anche contribuito a fomentarla. “All’inizio la Chiesa era accusata di aver ‘preparato’ in qualche modo il genocidio- osserva il presule-. Alcuni sacerdoti e religiosi hanno preso parte attiva. Ce n’è uno, processato all’Aja, che rimarrà in prigione per tutta la vita. Tanti cristiani, così come appartenenti ad altre fedi, hanno agito male. E hanno partecipato al genocidio. Dopo la tragedia collettiva dovevamo andare avanti. Imboccando una nuova strada con decisione”. Papa Francesco, in occasione della visita in Vaticano del presidente Kagame nel 2017, ha “implorato perdono per il genocidio a nome dei cristiani”.