Ripartire da San Benedetto per una nuova Europa

All'indomani della Grande Guerra, davanti agli occhi smarriti dei suoi studenti calati in un presente composto di sole macerie, si narra che il sociologo Max Weber avesse risposto: “Ci metteremo al nostro lavoro e adempiremo al compito quotidiano nella nostra qualità di uomini”. Lo stesso spirito animò, circa due millenni prima, San Benedetto da Norcia che, in un mondo dilaniato dalla barbarie e corrotto fino alle ossa, riuscì a creare nuove sorgenti di civiltà di cui l'Abbazia di Montecassino, la “città sul monte”, ne è simbolo e faro. Non stupisce, dunque, che il santo benedettino sia stato eletto patrono d'Europa, “padre di molti popoli” come lo definì nel 2005 l'allora cardinale Joseph Ratzinger, paragonandolo proprio al padre Abramo. Ma cosa significa oggi seguire il cammino inaugurato da San Benedetto? Può essere attuale per l'Europa intera un insegnamento datato al sesto secolo? Oggi le società soggette alla globalizzazione considerano l'eredità spirituale un ingombro che frena le spinte del progresso sociale. Eppure, l'alternativa che si vuole dare all'Europa è una forza opposta a quella prospettata, perché l'esito è la lontananza umana e la fragilità delle relazioni. Appare, dunque, singolare che, in un'era inaugurata dall'abbattimento del muro di Berlino, l'uniformazione a cui stiamo assistendo sia fatto per mezzo di paletti ideologici. Tutto l'opposto dell'eredità di Benedetto, a cui va il merito di aver cementificato un'unità spirituale tra popoli, nonostante le divergenze linguistiche, etniche e culturali. La rete creata dal monaco benedettino si basava su una costellazione di valori che sono stati i blocchi di partenza per la costituzione dell'Europa odierna, in un'epoca dove probabilmente non c'era un nome Europa, ma il suo embrione sì, ed era pulsante. 

L'epoca buia

A dispetto di qualsiasi pregiudizio, vivere ai tempi di Benedetto non era facile. La corruzione era ovunque, non c'erano piani assistenziali né strategie di welfare. Ciononostante, il santo di Norcia ha ritrovato nel Vangelo quella risposta ai processi di disgregazione della sua epoca. Nella lettera apostolica Pacis nuntius, con la quale lo proclamò patrono d'Europa, Papa Paolo VI definì san Benedetto “messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà”: menzionando a tutto tondo la figura del monaco, il Pontefice ne sottolineò il senso stesso della fede cristiana, che non spinge mai a vivere per se stessi, ma a prestare orecchio all'ascolto. Nel secolo scorso, in nome del nazionalismo, i Paesi europei si sono fatti la guerra tra di loro. Oggi, scongiurata la minaccia di un ennesimo conflitto mondiale, la guerra è stata soppiantata dall'individualismo, che si traduce in un'assenza di visione e nel godimento a breve termine. Abbiamo pulito la nostra coscienza con la damnatio memoriae delle dittature più vicine a noi, eppure ci siamo adeguati a un materialismo fine a sé stesso, dove il diritto al godimento diventa prerogativa del singolo. Il filosofo Herbert Marcuse soleva dire che “la società ideale è quella in cui le panchine pubbliche sono monoposto”. L'esatto contrario dell'atteggiamento di Benedetto da Norcia, conforme ai dettami evangelici. Ne sono una testimonianza tangibile le abbazie, luoghi aperti all'altro, e i migliaia di manoscritti che le ferventi comunità di monaci amanuensi hanno sottratto alla furia devastatrice degli uomini d'arme.

Sempre più soli

La moderna società ha trovato nell'egoismo dell'homo oeconomicus la risposta ai comportamenti altruistici e questo si è tradotto in una serie di tendenze che attualmente incidono sul contesto politico e socio-economico attuale. Secondo l'ultimo rapporto Istat  presentato una settimana fa, per esempio, in Italia le nascite nel 2018 sono diminuite di circa 18.000 unità rispetto all'anno precedente. Il 1 gennaio 2019 si è toccata la cifra di 439.747 nati: un nuovo minimo storico dai tempi dell'Unità d'Italia. L'”inverno demografico” – parafrasando Papa Francesco – non è circoscritto ai confini italiani, ma è un fenomeno che interessa tutto il Vecchio Continente. Nel 2018, la Francia ha registrato un tasso di figli per donna pari a 1,87 – nel 2008 era a 2 – e la Svezia è scesa a 1,75 – dieci anni primi rasentava l'1,91 – sino ai crolli demografici della Gran Bretagna, con un record negativo di 1,76, e la Spagna, con un tasso di 1,25  figli rispetto all'1,44 del 2008. Persino in un Paese come la Finlandia, che è ritenuto all'avanguardia per le sue politiche familiari, nascono sempre meno figli.  Secondo gli esperti, alla base del calo demografico non v'è una mancanza di desiderio di famiglia, ma una difficoltà a conciliare le proprie aspettative familiari con condizioni sociali ritenute poco coincidenti. Spesso la politica attuale tende a premiare comportamenti individualistici e a scoraggiare la formazione di una famiglia e a ciò s'aggiunge l'incertezza del lavoro. Viceversa, istituendo la famiglia monastica, San Benedetto seppe scommettere sulle potenzialità rappresentate dalle relazioni: i rapporti interpersonali non sono solo modello di umanità, ma rappresentano un sostrato ottimale per innestare una visione “economica” che punta alla produttività in virtù del capitale umano.  

Modello di leader

Come ha sottolineato lo scrittore americano Rod Dreher, autore del saggio Opzione Benedetto: “San Benedetto non si era prefisso di salvare la civiltà occidentale, ma voleva solo essere fedele alla lezione di Dio”. Il monachesimo occidentale non fa perno su un'ideologia astratta, ma su quello che lo storico Jean Leclercq ha definito “Amour des lettres et désir de Dieu“, che è l'anticamera di un umanesimo integrale. Alla sua morte, avvenuta nella prima metà del VI secolo, Benedetto non ha lasciato ai suoi confratelli un pugno di mattoni disseminati nel Vecchio Continente, ma un modo di vivere il Vangelo. Nel falcidiare il passato remoto, oggi la società globalizzata confina questi personaggi a figure esclusivamente ieratiche, “santini” che sopravvivono nel ricordo devoto di una giornata. San Benedetto ha saputo essere un leader europeo senza tempo non per presunta autorità, ma per capacità rivoluzionarie, tenendo a mente la costellazione dei valori che ha assimilato dalle Sacre Scritture: “Non odiare nessuno, non alimentare segrete amarezze, non essere invidiosi, non amare litigi, evitare vanterie, nell'amore di Cristo pregare per i nemici, ritornare in pace con l'avversario prima del tramonto del sole” recita la IV Regola. Per essere credibile, Benedetto ha puntato sull'ascolto dell'altro. Davanti al disfacimento del mondo occidentale, non si è fatto interprete di ideologie, né ha ricercato un consenso a buon mercato seguendo le logiche della narrazione, ma si è fatto prossimo all'altro innestandosi nel processo piuttosto che mettendosene a capo. Che cosa sono stati i monasteri benedettini, se non comunità di persone autentiche dalle quali è scaturita una corrente di umanità? Benedetto non ha proposto uno spazio devoto a un'organizzazione verticale, né tanto meno orizzontale: può, però, essere considerato un leader perché ha fatto del quotidiano una rivoluzione e ha dato dignità ai valori evangelici facendoli azione e condividendoli con gli altri.

L'amore per la cultura

Quando, all'età di dodici anni, Benedetto giunse a Roma assieme a sua sorella e alla balia, trovò una città dominata dai barbari. Gli standard morali dei cittadini di Roma avevano subito una regressione imbarazzante e molti suoi amici col tempo divennero corrotti. Per istruirsi, il santo andò a Roma, ma per preservarsi dalla corruzione vi fuggì ritirandosi a Subiaco. Questo, però, non lo distolse sulla sua missione. La cultura rimase, infatti, il filo rosso che permeò tutta la sua vita. Quando ancora l'Europa non aveva grosse radici, Benedetto e i suoi monaci smossero il terreno incerto delle nazionalità del tempo con i semi della cultura. Resero, così, i monasteri non dei chiostri chiusi, ma delle fucine di civiltà, costellando i paesi centri di studio e dottrina in tempi di buio fitto. A loro va il merito di aver preservato, dunque, la memoria di un Occidente che oggi la sta perdendo. Il giornalista Indro Montanelli diceva che “Un Paese che ignora il proprio ieri, di cui non sa assolutamente nulla e non si cura di sapere nulla, non può avere un domani”. Oggi i numeri della politica danno conto della sua profezia: tenendo come riferimento il prodotto interno lordo italiano e la spesa pubblica, l'Italia è il Paese che spende di meno in istruzione rispetto agli altri Stati dell'area Ocse. Una fotografia impietosa è stata fornita dalle cartelle di analisi e “raccomandazioni” presentate nel giugno scorso dal Consiglio europeo nell'eventualità di un'apertura delle procedure di infrazione per la violazione delle regole su deficit e debito pubblico: per evitarla, l'Italia ha proposto un taglio di circa 500 milioni di investimenti per l'edilizia scolastica, per un totale di 297 milioni a sostegno di strutture spesso fatiscenti. Passando dai luoghi alle persone, in Italia soltanto il 62,8% dei laureati riesce a trovare un lavoro dopo tre anni. In Germania, il 94,3% dei laureati inizia subito una professione e in Spagna il 77,9%. E non solo: gli studenti e gli adulti italiani ottengono risultati tra i peggiori dell'Unione europea per quanto riguarda le competenze chiave e le competenze di base: scemano i fondi stanziati nel settore culturale e scema la conoscenza. Come ha scritto mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra: “Il mondo ha bisogno dell'Europa, del suo umanesimo, della sua forza ragionevole, della sua capacità di mediazione e di dialogo, delle sue risorse, della sua intraprendenza economica, della sua cultura”.

Lavoro e speranza

La perdita dei luoghi della cultura e delle competenze si riflette sul mondo del lavoro. Gli ultimi dati Istat certificano che il massimo storico del tasso d’occupazione è rappresentato dai lavoratori anziani e che il divario tra il tasso di occupazione generale – che è del 9,9% – e quello della disoccupazione dei più giovani – circa il 30,5% – continua a salire, in un sistema di reclutamento professionale più incentrato sulle conoscenze che sulle competenze. Facendo sempre riferimento al settore culturale, rispetto agli standard internazionali gli stipendi degli insegnanti italiani sono bassi. Tutto questo si riflette sulla perdita di valore dei cosiddetti luoghi della cultura. Investire nel capitale umano è un prerequisito per stimolare gli investimenti pubblici e privati e le attuali misure volte a promuovere le competenze richieste dal mercato, come quelle digitali: oggi solo il 44% delle persone tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base (57% nell'Ue). La percentuale di laureati resta modesta – circa il 28% – mentre calano i diplomati in possesso di un titolo di studio post secondario scientifico e tecnico. Eppure, la formula di san Benedetto riteneva il “lavoro” complementare alla preghiera. Ben prima delle Costituzioni europee, la massima Ora et labora incarnava un modo di vivere fondato su valori paralleli e con un loro, sacro peso. Nelle comunità monastiche il lavoro non era sostitutivo della dimensione spirituale, ma poteva assumerne i contorni perché, nel suo senso ultimo, santificava la vita stessa, costruendo un futuro auspicabile per tutti. È probabile che, quando Benedetto lasciò Roma per ritirarsi a Subiaco, non avesse una visione chiara del suo futuro, né il grande impatto che avrebbero avuto le abbazie benedettine nel creare “professionalità” nuove. Eppure, il santo di Norcia coltivò la speranza, quella virtù che, come ricorda Dante nella Divina Commedia, invita a sollevare lo sguardo ed esaminare nuovi orizzonti. Come ha ricordato Papa Francesco due anni fa nell'incontro (Re)Thinking Europe, organizzato dalla Commissione delle Conferenze episcopali dell'Unione Europea: “Per Benedetto non ci sono ruoli, ci sono persone. È proprio questo uno dei valori fondamentali che il cristianesimo ha portato: il senso della persona, costituita a immagine di Dio. A partire da tale principio si costruiranno i monasteri, che diverranno nel tempo culla della rinascita umana, culturale, religiosa ed anche economica del continente”.

Il Prologo della Regola benedettina comincia con una domanda che funge da esergo ideale: “Chi è l'uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici?”. Oggi quest'interrogativo è ancora attuale e ripartire da San Benedetto significa non farsi detentori di un sapere vetusto e inattuale ma, al contrario, mettersi sulla strada di quei valori necessari a costituire il futuro di una nuova Europa.