Quelle radici profonde che salvano i cristiani in Iraq

Oltre seicento abitazioni ricostruite, più di milleduecento proprietà restaurate, circa quattordicimila persone rientrate nei loro villaggi. È il risultato ottenuto finora dal Comitato per la ricostruzione di Ninive, una sorta di “Piano Marshall” per i cristiani dell’Iraq, desiderosi di ripopolare le loro terre ora che i miliziani dell’Isis sono stati sconfitti.

“Iraq, ritorno alle radici”

Si tratta di un’iniziativa congiunta delle Chiese locali (caldea, siro-cattolica e siro-ortodossa) e sostenuta da Aiuto alla Chiesa che Soffre mediante raccolta fondi e campagne d’informazione. Il progetto di ricostruzione è stato presentato oggi alla Pontificia Università Lateranense di Roma nel corso di una conferenza intitolata “Iraq, ritorno alle radici”.

Card. Parolin: “Cristiani abbiano tutti i diritti”

La presenza del card. Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, è stata occasione per ribadire qual è la posizione della Santa Sede rispetto a quanto sta avvenendo in Iraq e, più in generale, in Medio Oriente.

“Appoggiamo tutto questo movimento di ritorno dei cristiani nella Piana di Ninive e speriamo che anche i cristiani possano collaborare e aiutare la società irachena a ricomporsi e a vivere insieme”, ha detto il porporato. Che ha inoltre auspicato che i cristiani non diventino “una minoranza protetta in Medio Oriente e in Iraq”. Al contrario, “essi devono godere di tutti i dirittial pari di tutti gli altri cittadini”.

Le parole del patriarca Sako

Quest’ultima istanza è stata sottolineata anche dal Patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphael Sako, che ha osservato: “I cristiani in Iraq sono stati quasi cancellati: erano un milione e mezzo prima dell’agosto 2014, dopo l’invasione dell’Isis sono diventati cinquecentomila”. Ma il leader dei caldei resta moderatamente fiducioso sul futuro: “Dopo il sangue, è possibile ricostruire. È avvenuto in Germaniadopo la seconda guerra mondiale, può avvenire anche in Iraq”.

Per raggiungere questo obiettivo, è però necessario, oltre al fondamentale lavoro di ricostruzione materiale, anche l’impegno culturale. Secondo Sako c’è bisogno di “incoraggiare la gente” a ripristinare rapporti di reciprocità con i musulmani, perché non tutti i fedeli all’Islam “sono rappresentati dall’Isis”.

Emarginare gli estremisti

Il concetto è stato ribadito in un’intervista a In Terris da mons. Alberto Ortega, nunzio apostolico in Iraq e Giordania. “Cristiani e musulmani – ha spiegato il presule – hanno vissuto insieme prima che arrivasse l’Isis e hanno il desiderio di continuare a collaborare ora”. A tal proposito, mons. Ortega ha sottolineato che “è importante emarginare tutti coloro che usano la religione come pretesto per praticare la violenza o escludere gli altri”. Si tratta comunque di minoranze, perché “la maggioranza dei musulmani ha propensione al dialogo e desidera che i cristiani rimangano in Iraq”.

L’esempio dei cristiani

Cristiani che, in Iraq, sono una presenza esemplare. Mons. Ortega ha spiegato che essi in questa terra “hanno una missione”, che è quella di “testimoniare” attraverso gesti concreti la fede in Cristo. “Essi – ha detto – sanno perdonare, portano cibo a chi li ha cacciati dalle loro case” e questo atteggiamento è alla base della riconciliazione.

Il referendum in Kurdistan

Il nunzio apostolico si è espresso anche sul recente referendum consultivo in Kurdistan, che ha sancito la volontà del 93% della popolazione di ottenere l’indipendenza, oltre ad aver riscaldato il clima delle tensioni nel Paese. “C’è stata qualche polemica con il governo di Baghdad – spiega a In Terris -, l’auspicio è che la tensione possa diminuire e che le questioni aperte possano risolversi attraverso il dialogo”.

L’invito alla negoziazione è stato lanciato anche da Sako, che rispondendo a una domanda sul tema ha detto: “Siamo per una soluzione pacifica, ottenuta con il dialogo, non con la guerra”. Al tempo stesso il Patriarca ha confidato che i cristiani temono la divisione dell’Iraq, foriera di nuove emigrazioni. Atteggiamento, quello di Sako, che ricalca l’apprensione della Santa Sede. Il card. Parolin ha spiegato: “Ci dispiace per la tensione che sta vivendo (l’Iraq, ndr) poiché questa non contribuisce a creare quelle condizioni di pace e di riconciliazione necessarie per il Paese”.

Card. Piacenza: “I cristiani mediorientali ci invitano a resistere”

A margine della conferenza, In Terris ha raccolto le dichiarazioni del card. Mauro Piacenza, presidente internazionale di Aiuto alla Chiesa che Soffre.

Eminenza, quale messaggio rivolgono i martiri in Medio Oriente ai cristiani di un Occidente ricco ma talvolta timido nella fede?
Il messaggio che possono rivolgere a noi che siamo investiti in modo terrificante dal vento della secolarizzazione, è a “resistere, resistere, resistere”. Solo che per resistere, bisogna che le radici siano molto profonde. Un albero dalle radici profonde può ondeggiare al vento, ma non può crollare. È dunque necessario resistere nella fede e nella comunione nella Chiesa, con il Papa, e nel sentire vicini questi fratelli che sono un esempio di tenacia.

Quanto è importante per loro il contributo di Aiuto alla Chiesa che Soffre?
Non vorrei esaltare troppo la Fondazione, ma direi che è quasi fondamentale. Indubbiamente c’è fiducia, perché si avverte il pathos della Chiesa che ci contraddistingue. Si tratta di quel rapporto tra fratelli nello stile ecclesiale, vicino, che ci insegna il Santo Padre: è l’andare sul territorio, conoscere le famiglie entrando nelle loro case, nelle scuole, nelle parrocchie, toccare con mano le loro necessità e provare a soddisfarle portando gli aiuti in loco. Questo è il segreto di una buona riuscita.

Come è possibile ricostruire il tessuto sociale dell’Iraq?
Ci vuole molto tempo, pazienza, determinazione. E bisogna poi curare la formazione: non solo portare viveri e medicine, costruire case e scuole, ma anche è importante dedicarsi all’educazione dei giovani alla pace, alla tolleranza, al lavoro onesto, ai valori della famiglia e della patria.