Angelus, Papa: “Il linguaggio della maternità di Maria è la tenerezza del prendersi cura”

Papa Francesco ha presieduto la Messa della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e l'angelus del primo dell'anno

Questa mattina, nella Basilica Vaticana, Papa Francesco ha presieduto la
celebrazione della Messa della Solennità di Maria Santissima Madre di Dio nell’ottava di Natale e nella ricorrenza della 56.ma Giornata Mondiale della Pace sul tema: “Nessuno può salvarsi da solo. Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace”. Pubblichiamo di seguito l’omelia che Papa Francesco ha pronunciato nel corso della Celebrazione Eucaristica, dopo la proclamazione del Vangelo. E poi l’angelo, a fine celebrazione.

Omelia del Santo Padre

Santa Madre di Dio! È l’acclamazione gioiosa del Popolo santo di Dio, che risuonava per le strade di Efeso nell’anno quattrocento trentuno, quando i Padri del Concilio proclamarono Maria Madre di Dio. Si tratta di un dato essenziale della fede, ma soprattutto di una notizia bellissima: Dio ha una Madre e dunque si è legato per sempre alla nostra umanità, come un figlio alla mamma, al punto che la nostra umanità è la sua umanità. È una verità dirompente e consolante, tanto che l’ultimo Concilio, qui celebrato, ha affermato: «Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con intelligenza d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato» (Cost. past. Gaudium et spes, 22).

Ecco che cosa ha fatto Dio nascendo da Maria: ha mostrato il suo amore concreto per la nostra umanità, abbracciandola realmente e pienamente. Fratelli, sorelle, Dio non ci ama a parole, ma coi fatti; non “dall’alto”, da lontano, ma “da vicino”, dal di dentro della nostra carne, perché in Maria il Verbo si è fatto carne, perché nel petto di Cristo continua a battere un cuore di carne, che palpita per ciascuno di noi! Santa Madre di Dio! Su questo titolo sono stati scritti tanti libri e grandi trattati. Ma tali parole sono soprattutto entrate nel cuore del santo Popolo di Dio, nella preghiera più familiare e domestica, che accompagna il ritmo delle giornate, i momenti più faticosi e le speranze più audaci: l’Ave Maria.

Dopo alcune frasi tratte dalla Parola di Dio, la seconda parte della preghiera si apre infatti così: «Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori». Questa invocazione ha spesso cadenzato le nostre giornate e ha permesso a Dio di avvicinarsi, per mezzo di Maria, alle nostre vite e alla nostra storia. Madre di Dio, prega per noi peccatori: recitata nelle lingue più diverse, sui grani del rosario e nei momenti del bisogno, davanti a un’immagine sacra o per la strada, a quest’invocazione la Madre di Dio sempre risponde, ascolta le nostre richieste, ci benedice con il suo Figlio tra le braccia, ci porta la tenerezza di Dio fatto carne. Ci dà, in una parola, speranza. E noi, all’inizio di quest’anno, abbiamo bisogno di speranza come la terra della pioggia. L’anno, che si apre nel segno della Madre di Dio e
nostra, ci dice che la chiave della speranza è Maria, e l’antifona della speranza è l’invocazione Santa Madre di Dio.

Preghiamo la Madre in modo speciale per i figli che soffrono e non hanno più la forza di pregare, per tanti fratelli e sorelle colpiti dalla guerra in molte parti del mondo, che vivono questi giorni di festa al buio e al freddo, nella miseria e nella paura, immersi nella violenza e nell’indifferenza! Per quanti non hanno pace acclamiamo Maria, la donna che ha portato al mondo il Principe della pace (cfr Is 9,5; Gal 4,4). In lei, Regina della pace, si avvera la benedizione che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: «Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace» (Nm 6,26). Attraverso le mani di una Madre, la pace di Dio vuole entrare nelle nostre case, nei nostri cuori, nel nostro mondo. Ma come fare ad accoglierla?

Lasciamoci consigliare dai protagonisti del Vangelo di oggi, i primi ad aver visto la Madre
con il Bambino: i pastori di Betlemme. Erano persone povere e forse anche piuttosto rudi, e quella notte stavano lavorando. Proprio loro, non i sapienti e nemmeno i potenti, hanno riconosciuto per primi il Dio vicino, il Dio venuto povero che ama stare con i poveri. Dei pastori il Vangelo sottolinea anzitutto due gesti molto semplici, che però non sono sempre facili. I pastori sono andati e hanno visto. Andare e vedere.

Anzitutto andare. Il testo dice che i pastori «andarono, senza indugio» (Lc 2,16). Non sono rimasti fermi. Era notte, avevano le loro greggi a cui badare ed erano sicuramente stanchi: avrebbero potuto attendere l’alba, aspettare il sorgere del sole per andare a vedere un Bambino adagiato in una mangiatoia. Invece andarono senza indugio, perché di fronte alle cose importanti bisogna reagire prontamente, non rimandare; perché «la grazia dello Spirito non comporta lentezze» (S. Ambrogio, Commento su san Luca, 2). E così trovarono il Messia, l’atteso da secoli che tanti cercavano.

Fratelli, sorelle, per accogliere Dio e la sua pace non si può stare fermi e comodi aspettando che le cose migliorino. Bisogna alzarsi, cogliere le occasioni di grazia, andare, rischiare. Oggi, all’inizio dell’anno, anziché stare a pensare e sperare che le cose cambino, ci farebbe bene chiederci: “Io, quest’anno, dove voglio andare? Verso chi vado a fare del bene?”. Tanti, nella Chiesa e nella società, aspettano il bene che tu e solo tu puoi dare, il tuo servizio. E, di fronte alla pigrizia che anestetizza e all’indifferenza che paralizza, di fronte al rischio di limitarci a rimanere seduti davanti a uno schermo con le mani su una tastiera, i pastori oggi ci provocano ad andare, a smuoverci per quel che succede nel mondo, a sporcarci le mani per fare del bene, a rinunciare a tante abitudini e comodità per aprirci alle novità di Dio, che si trovano nell’umiltà del servizio, nel coraggio di prendersi cura. Fratelli e sorelle, imitiamo i pastori: andiamo!

Arrivati, dice il Vangelo, i pastori «trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella
mangiatoia» (v. 16). Poi annota che, solo «dopo averlo visto» (v. 17), si misero, pieni di stupore, a riferire di Gesù agli altri e a glorificare e lodare Dio per tutto quello che avevano udito e visto. La svolta è stata averlo visto. È importante vedere, abbracciare con lo sguardo, restare, come i pastori, davanti al Bambino in braccio alla Madre. Senza dire nulla, senza chiedere nulla, senza fare nulla. Guardare in silenzio, adorare, accogliere con gli occhi la tenerezza consolante di Dio fatto uomo, della sua e nostra Madre. All’inizio dell’anno, tra le tante novità che si vorrebbero sperimentare e le molte cose che si vorrebbero fare, dedichiamo del tempo a vedere, cioè ad aprire gli occhi e a tenerli aperti di fronte a quel che conta: a Dio e agli altri.

Quante volte, presi dalla fretta, non abbiamo neanche il tempo di sostare un minuto in compagnia del Signore per ascoltare la sua Parola, per pregare, per adorare, per lodare… La stessa cosa avviene nei riguardi degli altri: presi dalla fretta o dal protagonismo, non c’è tempo per ascoltare la moglie, il marito, per parlare con i figli, per chiedere loro come vanno dentro, non solo come vanno gli studi e la salute. E quanto bene fa mettersi in ascolto degli anziani, del nonno e della nonna, per guardare la profondità della vita e riscoprire le radici. Chiediamoci dunque se siamo capaci di vedere chi ci vive accanto, chi abita il nostro palazzo, chi incontriamo ogni giorno nelle strade. Fratelli, sorelle, imitiamo i pastori: impariamo a vedere! Andare e vedere. Oggi il Signore è venuto in mezzo a noi e la Santa Madre di Dio ce lo pone davanti agli occhi. Riscopriamo nello slancio di andare e nello stupore di vedere i segreti per rendere quest’anno davvero nuovo. E tutti insieme acclamiamola tre volte: Santa Madre di Dio! Santa Madre di Dio! Santa Madre
di Dio!

L’angelus del Papa

Cari fratelli e sorelle, buongiorno e buon anno! L’inizio di un nuovo anno è affidato a Maria Santissima, che oggi celebriamo come Madre di Dio. In queste ore invochiamo la sua intercessione in particolare per il Papa emerito Benedetto XVI, che ieri mattina ha lasciato questo mondo. Ci uniamo tutti insieme, con un cuore solo e un’anima sola, nel rendere grazie a Dio per il dono di questo fedele servitore del Vangelo e della
Chiesa.

Mentre ancora contempliamo Maria nella grotta dove è nato Gesù, possiamo domandarci: con quale linguaggio ci parla la Vergine Santa? Che cosa possiamo imparare da lei per questo anno che si apre?

In realtà, se osserviamo la scena che la Liturgia odierna ci presenta, notiamo che Maria non parla. Ella accoglie con stupore il mistero che vive, custodisce tutto nel suo cuore e, soprattutto, si preoccupa del Bambino, che – dice il Vangelo – era «adagiato nella mangiatoia» (Lc 2,16). Questo verbo “adagiare” significa deporre con cura, e ci dice che il linguaggio proprio di Maria è quello della maternità: prendersi cura con tenerezza del Bambino. Questa è la grandezza di Maria: mentre gli angeli fanno festa, i pastori accorrono e tutti lodano Dio a gran voce per l’evento che è accaduto, Maria non parla, non intrattiene gli ospiti spiegando ciò che le è successo, non ruba la scena; al contrario, mette al centro il Bambino, prendendosi cura di Lui con amore. Una poetessa ha scritto che Maria «sapeva essere anche solennemente muta, […] perché non voleva perdere di vista il suo
Dio» (A. Merini, Corpo d’amore. Un incontro con Gesù, Milano 2001, 114).

Questo è il linguaggio tipico della maternità: la tenerezza del prendersi cura. Infatti, dopo aver portato in grembo per nove mesi il dono di un misterioso prodigio, le mamme continuano a mettere al centro di tutte le attenzioni i loro bambini: li nutrono, li stringono tra le braccia, li depongono con dolcezza nella culla. Prendersi cura: questo è anche il linguaggio della Madre di Dio.

Fratelli e sorelle, come tutte le mamme, Maria porta nel suo grembo la vita e, così, ci parla
del nostro futuro. Ma allo stesso tempo ci ricorda che, se vogliamo davvero che il nuovo anno sia buono, se vogliamo ricostruire speranza, occorre abbandonare i linguaggi, i gesti e le scelte ispirati all’egoismo e imparare il linguaggio dell’amore, che è prendersi cura. Questo è l’impegno: prenderci cura della nostra vita, del nostro tempo, della nostra anima; prenderci cura del creato e dell’ambiente in cui viviamo; e, ancor più, prenderci cura del nostro prossimo, di coloro che il Signore ci ha messo accanto, come pure dei fratelli e delle sorelle che sono nel bisogno e interpellano la nostra attenzione e la nostra compassione. Celebrando oggi la Giornata Mondiale della Pace, riprendiamo consapevolezza della responsabilità che ci è affidata per costruire il futuro: davanti alle crisi personali e sociali che viviamo, davanti alla tragedia della guerra, «siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione» (Messaggio per la LVI Giornata Mondiale della Pace, 5). E possiamo farlo se ci prendiamo cura gli uni degli altri e se, tutti insieme, ci prendiamo cura della nostra casa comune. Imploriamo Maria Santissima, Madre di Dio, perché in questa epoca inquinata dalla diffidenza e dall’indifferenza, ci renda capaci di compassione e di cura, capaci di «commuoversi e di fermarsi davanti all’altro, tutte le volte che sia necessario» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 169).