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Papa Francesco visto dai vaticanisti

Il 13 marzo di cinque anni fa il cardinale Jorge Mario Bergoglio veniva eletto come Vescovo di Roma. Un Papa entrato subito nel cuore della gente, dalla scelta del nome, Francesco, a quel “Buonasera” che catturò la simpatia di credenti e non. Cosa è cambiato in questo lustro? Dove sta andando la Chiesa guidata dal primo Pontefice sudamericano? In Terris lo ha chiesto a tre vaticanisti di lungo corso: Andrea Tornielli, 54 anni, dal 2011 editorialista della Stampa, coordinatore del sito Vatican Insider dello stesso quotidiano di Torino; Aldo Maria Valli, 60 anni, vaticanista dal 1996 prima al Tg3 poi, dal 2007, al Tg1; e Giuseppe Rusconi, 69 anni, ticinese, da molti anni residente a Roma, autore del blog Rosso Porpora e collaboratore dalla Città eterna del “Giornale del Popolo”, quotidiano cattolico della Svizzera Italiana.

Qual è la caratteristica che più ti ha colpito di questi cinque anni?

Tornielli: “Penso che sia la capacità di mostrare il volto della misericordia di Dio”.

Valli: “Sicuramente i gesti di attenzione verso le persone. Mi colpisce il fatto che il Papa durante le catechesi dedica quasi più tempo al contatto fisico, specie con i malati e gli anziani, che non al discorso in sé. Questo porsi dalla parte dei più deboli, dei più bisognosi”.

Rusconi: “Come ha detto Papa Francesco in più occasioni, l'importante per lui è andare avanti nel cantiere a cielo aperto che è la Chiesa oggi. Generare processi facendo due passi avanti e uno indietro. Lo zigzagare di Francesco provoca in ogni caso uno spostamento in avanti dei paletti del cantiere”.

Come sta cambiando la Chiesa con Francesco?

T. “Non è facile rispondere a questa domanda perché penso che il messaggio sulla misericordia sia passato, tuttavia, perché la Chiesa cambi realmente, occorre che questo messaggio venga fatto proprio dalle persone. Non si cambia la Chiesa con i documenti, con le riforme, neppure con il protagonismo del Papa ma solo con una vera conversione, solo se veramente questa misericordia farà breccia nei cuori”.

V. “Credo sia una Chiesa sempre meno dogmatica, sempre più implicata nei processi storici, meno impositiva, più dialogante, con tutti i problemi che questo comporta. Viviamo in una società già ampiamente priva di punti di riferimento sicuri, di certezze e qualcuno sente il bisogno di una Chiesa più 'sicura' mentre con Francesco c'è questo messaggio di apertura che sconcerta alcuni. E' un pontificato molto apprezzato ma per altri versi molto problematico”.

R. “Direi che è una Chiesa sempre più ong universale e sempre meno Chiesa cattolica”.

Come è percepito nel mondo questo pontificato?

T. “Ritengo che una delle cose che passa di più, soprattutto per chi è lontano dalla fede, è la capacità di vicinanza, di prossimità, di tenerezza, di una Chiesa che si piega sui più fragili e i più bisognosi”.

V. “Stando alle ultime ricerche, in particolare ne ho vista una americana, non ha spostato moltissimo gli equilibri all'interno della Chiesa. C'è un certo bipolarismo, chi lo guarda con favore e chi con sospetto e apprensione. Ma probabilmente il Papa è l'unica autorità morale rimasta nel mondo contemporaneo in grado di chiamare al dialogo le forze politiche, gli Stati, i governi. Questo è innegabile e pone la diplomazia della S. Sede a un livello di grande importanza nello scacchiere internazionale”.

R. “Francesco piace molto alla gente che piace. In generale si può dire che il mondo apprezzi molto chi si comporta in modo tale da sfumare la sua identità propria per annegarla in una vaga identità universale”.

Qual è il viaggio apostolico che ti è rimasto più impresso? E perché?

T. “Ce ne sono due. Il primo è quello del gennaio 2015 nelle Filippine, a Tacloban, con l'omelia pronunciata a braccio di fronte a mezzo milione di persone che avevano perso tutto, e in moltissimi casi anche tanti parenti, a causa del passaggio del tifone (Yolanda, nel 2013, ndr), e poi quello del novembre dello stesso anno a Bangui, per l'apertura della Porta Santa del Giubileo straordinario della Misericordia. Li ritengo emblematici del modo di agire del Papa”.

V. “Credo che tutte le volte che Francesco va in Sud America ci sia una particolare emozione, perché va tra la sua gente, va a toccare con mano i problemi di cui parla spesso: l'emarginazione, la cultura dello scarto, il popolo, termine centrale nel suo insegnamento”.

R. “Il viaggio in Egitto dell'anno scorso. E' stato comunque coraggioso, sia per la mano tesa offerta da pari a pari a un certo tipo di Islam, quello che appare più 'moderato', che per l'incontro con i copti, questi cristiani originari egiziani che sono stati bersaglio in più occasioni della ferocia del terrorismo islamico”.

Il S. Padre ha un modo molto diretto di esprimersi. Da professionista della comunicazione che ne pensi?

T. “Credo che si faccia capire molto bene e che le persone lo comprendano altrettanto bene. Penso anche che non ci sia alcuna strategia mediatica né alcun 'spin doctor' semplicemente perché lui è così”.

V. “Per quanto riguarda noi della televisione ci facilita il compito, perché con una sua battuta, un suo ammiccamento, un atteggiamento ci risolve il problema del servizio da realizzare. Questa sua immediatezza è molto utile per noi. Da un punto di vista generale, di pensiero mi pone dei problemi, che mi sono anche permesso di manifestare nei miei libri e nel mio blog: vedo a volte una certa ambiguità, una certa superficialità in questo suo messaggio quasi di amicizia a ogni costo con il mondo, perché il mondo pone problemi. Tutta questa misericordia a cosa si va ad agganciare? Mi sembra che venga meno il momento del giudizio. Il Dio che ci presenta è un Padre molto, molto misericordioso ma non possiamo dimenticare che è anche un Padre giudicante che ci chiede il rispetto di alcune leggi. Sono problemi che mi pongo da credente”.

R. “E' un modo che se da una parte lo fa sentire 'uno di noi', dall'altra lo espone a valutazioni, da parte sua, non raramente imprecise, culturalmente fluide, spesso demotivanti per quei cattolici impegnati a difendere e promuovere la vita e la famiglia. Mi riferisco soprattutto alle conferenze stampa in aereo, occasioni molto attese dai 'giornaloni', dalla stampa nazionale e internazionale perché permettono di fare i 'titoli' il giorno dopo”.

Dopo il grande entusiasmo iniziale i fedeli si sono divisi sull'operato del Papa. Che idea ti sei fatto?

T. “Le critiche, come le resistenze interne, non sono una novità. Basta dare uno sguardo alla storia per rendersene conto: tutti gli ultimi Papi hanno avuto resistenze, anche da parte di cardinali e vescovi. La novità secondo me è il fenomeno della rete e dei social network che amplifica e distorce le critiche dando la possibilità a chiunque di intervenire e di commentare anche con un linguaggio feroce, che è il vero problema”.

V. “Credo che le perplessità siano esplose e aumentate dopo 'Amoris Laetitia' non tanto per la questione della Comunione ai divorziati risposati quanto perché ci sono sintomi, rintracciati da molti, di relativismo e soggettivismo: nel momento in cui poni al centro la condizione soggettiva e la fai diventare il metro di valutazione al posto della legge divina, è chiaro che si pone un problema grande. Capisco la strategia di avvicinamento al mondo però dobbiamo fare i conti con il comandamento. Da quel momento in poi, pur continuando a voler molto bene al Papa, come nel mio caso, molti si stanno ponendo tante domande”.

R. “La novità è che le resistenze attuali non possono essere paragonate ad altre che ci sono state in passato, per esempio nei confronti di Paolo VI con l'Humanae Vitae. Sono quelle dei cattolici che non vogliono essere catto-fluidi, dei cattolici che vogliono essere fedeli alla dottrina sociale della Chiesa e non sono soltanto resistenze di accademici, di cardinali o prelati. Vengono sempre più dai cattolici di base. Vorrei far notare che non pochi cattolici alle ultime elezioni hanno votato per la Lega, andando in direzione opposta agli appelli del Papa sull'immigrazione”.

Come è normale, il parere sull'operato di Francesco non è affatto unanime. Eppure, occorre riconoscere che il Papa “giunto quasi dalla fine del mondo” sta guidando la barca di Pietro in mari tutt'altro che tranquilli, in tempi difficili, con un unico scopo: la “salus animarum”, la salvezza delle anime. Le critiche fanno parte del gioco ma è un dato di fatto che il S. Padre cerca di conquistare a Cristo più persone possibile con quelli che sono il suo carattere, la sua personalità, le sue doti. Per questo è appena il caso di ricordare le parole della lettera giunta proprio ieri da parte del suo predecessore, Benedetto XVI, in occasione della presentazione della collana “La Teologia di Papa Francesco”: “Plaudo a questa iniziativa – scrive il Papa emerito – che vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi”. Un omaggio tanto esplicito quanto significativo.

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