Mons. Spreafico:
“L'Islam non è terrorismo”

Non ci sono cifre certe sulla presenza di musulmani in Italia. Secondo alcune stime sarebbero circa 2,5 milioni, di cui poco più del 40% cittadini italiani e il resto stranieri. Secondo altre stime, è in aumento il numero di musulmani che si convertono dall’Islam al Cristianesimo. Già nel 2006 lo sceicco al Qataani, intervistato da Al Jazeera, dichiarava che circa 6 milioni di fedeli islamici si facevano battezzare ogni anno. Oggi si celebra la XVI Giornata del dialogo cristiano-islamico, istituita nel 2001 all’indomani del tragico attacco alle Torri Gemelle di New York. Un appuntamento dedicato al “Ruolo delle donne nel dialogo interculturale e interreligioso”. In Terris ha intervistato mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso, sul significato di questa giornata.

Eccellenza, cosa è cambiato nei rapporti tra la Chiesa e i musulmani con il Pontificato di Francesco?

“Intanto bisogna ricordare che questo Pontificato recepisce quel dialogo avviato con la memorabile giornata della preghiera per la pace del 1986 voluta da Giovanni Paolo II (data in cui si celebra la Giornata, ndr) che ha aperto un itinerario di confronto e incontro tra la Chiesa cattolica e gli islamici. Ci sono state tante iniziative che hanno preso spunto da quell’iniziativa di Assisi, come quella che ogni anno viene riproposta dalla Comunità di S. Egidio in tante parti del mondo, e che hanno portato a rapporti stabili con i rappresentanti islamici, come dimostra anche la presenza quest’anno dell’imam di al Azhar, Ahmad al Tayyib, al convegno di Munster. La visita di Papa Francesco in Egitto e in particolare proprio ad al Azhar costituisce un punto fermo per ribadire la necessità di questo dialogo, della mutua conoscenza, del reciproco rispetto in un mondo violento in cui l’Islam, purtroppo, è rappresentato a causa dell’Isis e del terrorismo come una realtà schierata contro l’Occidente e la civiltà cristiana”.

Però è opinione diffusa che il Corano inciti alla violenza, che sia una religione incompatibile con visioni alternative del mondo e della società.

“Il problema è un altro: anche in alcuni passi della Bibbia si parla della violenza di Dio sulle nazioni. Dipende tutto da come vengono vissuti e interpretati questi passi nella contemporaneità. Certamente alcuni gruppi islamici come Isis o al Qaeda vedono il jihad come una guerra contro gli altri, contro tutti coloro che non sono musulmani e in particolare i cristiani. Ma c’è un altro modo di interpretare il jihad che sottolinea come sia innanzitutto una violenza nel senso di lotta interiore, per migliorare se stessi, nella vita morale, politica, sociale. E’ chiaro che se uno interpreta come un imperativo categorico alla lotta armata per convertire o combattere i nemici poi ci troviamo di fronte alla violenza giustificata dalla religione. Il Papa ha più volte ribadito che solo la pace è santa, la guerra non lo è mai. Dipende da come si interpretano i testi sacri”.

Eppure in Italia c’è un clima di generale diffidenza. E’ possibile una reale collaborazione?

“Vede, la collaborazione con il mondo islamico già esiste. L’ufficio della Cei per il dialogo interreligioso organizza incontri con rappresentanti di varie organizzazioni islamiche che si ripetono con una certa frequenza, con lo scambio di esperienze interessanti che avvicinano cattolici e musulmani. Lo stesso ufficio pubblica sul sito delle schede che aiutano a conoscere l’Islam e che dovrebbero servire anche alle nostre comunità, che invece spesso procedono secondo lo schema semplicistico ‘Islam uguale terrorismo’. E’ una religione complessa, come lo è il Cristianesimo: ci sono alcuni che la strumentalizzano per combattere gli altri con le armi e c’è una maggioranza che ha un modo di vivere la fede in maniera ben diversa. Bisogna stare attenti a fare identificazioni superficiali. C’è bisogno di un incontro che noi possiamo favorire. La Chiesa cattolica è maestra in questo e ne siamo orgogliosi”.

La giornata odierna è dedicata al ruolo della donna che però nell’Islam appare totalmente sottomessa e in secondo piano.

“Anche in questo caso dipende dalle interpretazioni del Corano e dai luoghi. Al di là dell’obbligo di indossare il copricapo, ad esempio, in un Paese come l’Iran dipinto come alfiere di un Islam molto conservatore le donne partecipano alla vita politica e sociale. Certo, ci sono situazioni in cui la donna ha una dipendenza dalla famiglia molto più stretta che nel mondo occidentale ma è diverso nelle varie situazioni. Ad esempio nel mio territorio conosco donne di fede islamica che non portano il velo, che lavorano fianco a fianco con i cristiani e vivono la vita di tutti. Evitiamo di sfruttare questa condizione del mondo islamico per darne un’immagine sempre negativa. Senza dubbio quella sul ruolo femminile è una domanda che l’Islam si deve porre nel confronto con la realtà del mondo in cui viviamo. Devono chiedersi come la donna possa raggiungere il diritto di affermare se stessa, di avere piena parità con l’uomo ma è una crescita che dobbiamo lasciare a loro. Poi è chiaro che in una società come la nostra, in Italia, devono seguire le norme e le leggi che valgono per tutti: se la poligamia non è ammessa, non è possibile neanche per i musulmani… E’ una preoccupazione all’interno del contesto in cui si vive, senza però dover demonizzare questo aspetto”.

Quando vedremo il Papa nella Moschea di Roma?

“Chi lo sa? Il S. Padre è imprevedibile, potrebbe essere domani, tra un mese, tra un anno… sono decisioni che non dipendono da me. Ma chiaramente il fatto che sia stato ad al Azhar è significativo, perché quel centro è un riferimento essenziale nel mondo islamico sunnita. Penso che prima o poi andrà anche alla Moschea di Roma”.