Migranti, il Papa: “Riflettere sulle ingiustizie, non basta la carità”

Non maltrattare in alcun modo le vedove e gli orfani”. E' uno degli ammonimenti che il Signore fa nel libro dell'Esodo e, per ben due volte, nel Deuteronomio. Un avvertimento che, nelle seconde due occasioni, vede l'aggiunta di un'altra categoria bisognosa di protezione, quella degli stranieri: “E la ragione di tale monito – ha spiegato Papa Francesco nell'omelia della Santa Messa in occasione della Giornata mondiale del Migrante e del rifugiato – è spiegata chiaramente nello stesso libro: il Dio di Israele è Colui 'che fa giustizia all’orfano e alla vedova, che ama lo straniero e gli dà pane e vestito'”. Un'attenzione particolare dobbiamo ai meno privilegiati: “Verso i forestieri, come pure per le vedove, gli orfani e tutti gli scartati dei nostri giorni. Nel Messaggio per questa 105a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato si ripete come un ritornello il tema: 'Non si tratta solo di migranti'. Ed è vero: non si tratta solo di forestieri, si tratta di tutti gli abitanti delle periferie esistenziali che, assieme ai migranti e ai rifugiati, sono vittime della cultura dello scarto”.

Il rischio dell'uomo ricco

Ma non è solo l'esercizio della carità che il Signore ci chiede: occorre “riflettere sulle ingiustizie che generano esclusione, in particolare sui privilegi di pochi che, per essere conservati, vanno a scapito di molti”. Un concetto che viene ribadito con precisione nel Messaggio per la Giornata odierna, indirizzato a un “mondo odierno” che “è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi”, in cui “le guerre interessano solo alcune regioni del mondo, ma le armi per farle vengono prodotte e vendute in altre regioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifugiati prodotti da tali conflitti”. Il tutto, a spese dei “piccoli, i poveri, i più vulnerabili, ai quali si impedisce di sedersi a tavola e si lasciano le 'briciole' del banchetto”. Gli ammonimenti delle Scritture continuano ancora a chiamare in causa le coscienze di ognuno di noi: “Alla fine rischiamo di diventare anche noi come quell’uomo ricco di cui ci parla il Vangelo, il quale non si cura del povero Lazzaro 'coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola'. Troppo intento a comprarsi vestiti eleganti e a organizzare lauti banchetti, il ricco della parabola non vede le sofferenze di Lazzaro. E anche noi, troppo presi dal preservare il nostro benessere, rischiamo di non accorgerci del fratello e della sorella in difficoltà”.

Amare il prossimo

Compito dei cristiani, ha ricordato il Sano Padre, è non restare “indifferenti di fronte al dramma delle vecchie e nuove povertà, delle solitudini più buie, del disprezzo e della discriminazione di chi non appartiene al 'nostro' gruppo. Non possiamo rimanere insensibili, con il cuore anestetizzato, di fronte alla miseria di tanti innocenti. Non possiamo non piangere. Non possiamo non reagire”. Essere “uomini e donne di Dio” comporta la conservazione degli inseparabili comandamenti di amare Dio e amare il prossimo: “E amare il prossimo come sé stessi vuol dire anche impegnarsi seriamente per costruire un mondo più giusto, dove tutti abbiano accesso ai beni della terra, dove tutti abbiano la possibilità di realizzarsi come persone e come famiglie, dove a tutti siano garantiti i diritti fondamentali e la dignità”. E ancora, “amare il prossimo significa sentire compassione per la sofferenza dei fratelli e delle sorelle, avvicinarsi, toccare le loro piaghe… Farsi prossimi di tutti i viandanti malmenati e abbandonati sulle strade del mondo, per lenire le loro ferite e portarli al più vicino luogo di accoglienza”. Un comandamento che Dio “ha dato al suo popolo”, sigillandolo “col sangue del suo Figlio Gesù, perché sia fonte di benedizione per tutta l’umanità”.