“Maestro di stile” per conto di San Pio X

Nella storia del cattolicesimo italiano merita un posto di rilievo e la Chiesa prepara per lui la strada verso la beatificazione. “La sua fama non si è diffusa abbastanza quanto meriterebbe una persona del suo spessore”, osserva Michele Francalanci. Giulio Salvadori è in cammino verso l’onore degli altari. Fu preside della facoltà di lettere e filosofia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e revisore per volere del Papa Pio X dei testi del Catechismo, come testimonia una lettera scritta dal segretario della commissione monsignor Pietro Benedetti a Padre Cordovani.

L’incarico del Papa

Quando le ultime bozze del catechismo furono pronte, nel 1912, il segretario ricordò al Pontefice “esser quello il momento di passare il testo a qualche letterato esperto e sicuro che ne rivedesse la forma, lo stile, la lingua”. Il Papa pensò un pochino poi disse: “Ci vorrà un professore, anzi professorone che conosca proprio bene l'italiano. Ecco: andate in nome mio da Giulio Salvadori. Lo conoscete? Risposi che era nostro vicino a Piazza Navona. Andate, portategli il testo e ditegli che mi faccia la carità di rivederlo come può e sa far lui. Si tratta di un'opera buona. Ci vuole un buon letterato, che sia anche un buon cristiano: e quello lì è un santo”. E’ conosciuto anche come il “Poeta di Dio”, per la sua particolare devozione e il suo impegno nell'annuncio della fede cattolica in versi artistici e nella vita di tutti i giorni. “Bastano queste parole pronunciate da San Pio X per comprendere la levatura della sua persona, sia dal punto di vista intellettuale che spirituale, e per capire perché è in corso nei suoi confronti la causa di beatificazione”, sottolinea Francalangeli. Ma la cultura dell’incontro da lui perseguita per tutta la vita fa di Salvadori anche un anticipatore di un altro pontefice: Francesco.

Union pour l'action morale

Un denso saggio approfondisce l’ispirazione comune tra il “cultore del dialogo” Giulio Salvadori e il pontificato di Jorge Mario Bergoglio. “Per poter essere in dialogo bisogna avere coraggio, essere aperti, guardare l’altro con rispetto senza temere che idee, culture e abitudini diverse da ciò che conosciamo, possano farci del male o modificarci se non lo vogliamo”, osserva monsignor Vittorio Gepponi, biografo di Giulio Salvadori, il cui ritorno alla fede, 130 anni fa, viene celebrato da enti religiosi e istituzioni accademiche con convegni sulla eredità e l’attualità del suo messaggio. Dell’illustre letterato e Servo di Dio il libro “Giulio Salvadori, cultore dell’incontro” evidenzia i tratti che, per impostazione e metodo, ne fanno un precursore del pontificato di Jorge Mario Bergoglio. A firmare il saggio, pubblicato da Ailanthus. è monsignor Vittorio Gepponi  presidente del Tribunale interdiocesano dell’Umbria, docente alla Pontificia Università “Antonianum” e all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Toscana “Santa Catenina da Siena”, autore di numerose pubblicazioni scientifiche in ambito giuridico e pastorale.

Sulle orme del Poverello di Assisi

Aretino di Monte San Savino, Salvadori fu una figura straordinaria di intellettuale ed educatore cattolico, studioso innamorato di San Francesco d'Assisi.   Con il ritorno alla fede e sulla scia dell'esperienza della Union pour l'action morale del francese Paul Desjardins, introdotto a Roma da Dora Melegari, si impegnò nel campo sociale partecipando alle iniziative di un vasto gruppo di amici che dettero vita all’Unione per il bene (e al suo periodico L’Ora presente 1895-97) cui parteciparono, tra gli altri, Giovanni Semeria, Paul Sabatier, Angelo De Gubernatis, Fogazzaro e Luzzatti, caratterizzata da una forte spinta religiosa non confessionale e non vicina (nella sua esperienza) alle dottrine moderniste e alle vicende politiche. L’Unione, dovuta all’iniziativa di Antonietta Giacomelli e dello stesso Salvadori, si dedicava all’aiuto degli abitanti dei quartieri poveri della capitale (come Testaccio e San Lorenzo). Uomo di grande pietà, sostenitore e promotore di opere educative e caritatevoli; instancabile assertore, nel panorama culturale dei suoi tempi, della necessità di riappropriarsi delle radici cristiane su cui è nata la nostra civiltà. Un personaggio attualissimo, quindi, che visse intensamente la realtà avendo per orizzonte l'incontro con Cristo. Morì a Roma il 7 ottobre 1928 e fu sepolto nel cimitero del Verano. Il 16 novembre 1935 le sue spoglie furono traslate nella cappella di San Francesco nella basilica di Santa Maria Aracoeli sul colle del Campidoglio a Roma.

In cammino verso l’onore degli altari

La Chiesa cattolica ha, già da tempo, dato avvio al processo di beatificazione. Su ordine dell’autorità ecclesiastica, sono state e si continuano a raccogliere le testimonianze per istruire il suo processo di canonizzazione. “Per poter essere in dialogo bisogna saper essere se stessi senza maschere e saper dire: sono qui, mi interessi, ti ascolto- afferma Gepponi-. E la persona deve essere vista e considerata al di là dei ruoli, delle categorie e del pregiudizi. L’incontro con l’altro, così vissuto, può produrre veramente cambiamenti inattesi”. Gepponi ritiene “quanto mai interessante e significativo ripercorrere, almeno in parte, alcuni dei numerosi interventi nei quali papa Francesco ha insistito a non rinunciare mai ad essere uomini e donne capaci di incontrarsi”.

Messaggero di pace

Aggiunge Gepponi: “Quando papa Francesco ha invitato a lavorare per una “cultura dell’incontro”, non ha mai prospettato strade difficilmente praticabili o riservate a pochi, piuttosto (come ha fatto in una meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, commentando l’episodio della vedova di Nain) ha chiesto di vivere in modo semplice “come ha fatto Gesù”: non solo vedendo ma guardando, non solo sentendo ma ascoltando, non solo incrociando le persone ma fermandosi con loro, non solo dicendo “peccato, povera gente!” ma lasciandosi prendere dalla compassione; “e poi avvicinandosi, toccare e dire: “Non piangere” e dare almeno una goccia di vita”. Un discorso, questo, che suona attuale, secondo l’autore del saggio, anche agli uomini di oggi troppo abituati, secondo papa Francesco, a “una cultura dell’indifferenza” e per questo bisognosi di “lavorare e chiedere la grazia di fare una cultura dell’incontro, di questo incontro che restituisca a ogni persona la propria dignità di figlio di Dio, la dignità vivente”. Le parole di papa Francesco, secondo Gepponi, “ci consentono senza dubbio di poter dire che Giulio Salvadori è stato pienamente un uomo del dialogo e promotore di una cultura dell’incontro così come intesa e delineata dal Pontefice”. Infatti “proprio questo è stato lo stile di vita del Servo di Dio, il quale ha visto nell’altro un luogo sempre da incontrare ed amare, facendosi al contempo annuncio e testimonianza”.

Profilo di santità contemporaneo

Nel capitolo “Papa Francesco e la cultura dell’incontro”, l’autore sottolinea che la testimonianza lasciata da Giulio Salvadori, quale promotore fattivo di una cultura capace di creare nei rapporti interpersonali un incontro sempre costruttivo, appare oggi quanto mai attuale per una serie di motivi, ma, in particolare, due sembrano essere le ragioni che più di ogni altra rendono Salvadori estremamente contemporaneo. “Ormai non c’è più nessun settore della società che non sia pervaso da una conflittualità che sembra inasprirsi di giorno in giorno senza soluzione di continuità- spiega Gepponi-. Dai singoli individui, alle relazioni infrafamiliari, fino ad arrivare ai rapporti tra gli Stati, non c’è spazio pubblico nel quale non si respiri un’aria di tensione, di competizione, di incomunicabilità che sfocia poi nell’ostilità e nello scontro. In tale contesto seguire Giulio Salvadori nel suo modo di rapportarsi agli altri, può diventare davvero un antidoto a questa degenerazione relazionale”. L’altra motivazione, che porta l’autore alla certezza che valga la pena di seguire le orme di Salvadori, è data da “una straordinaria sintonia tra Salvadori e uno dei motivi centrali dell’attuale pontificato”. Infatti, “papa Francesco, fin dall’inizio del suo ministero petrino, ha insistito ripetutamente sulla necessità di farsi portatori e promotori di una “cultura dell’incontro”, che giunga a permeare ogni relazione attraverso il dialogo che è lo strumento principale per costruire relazioni positive”.  

Mondi lontani

L'esperienza di Salvatori ha molto da testimoniare ancora oggi e il suo instancabile impegno a favore del dialogo in ambito culturale e sociale ne fanno sotto molti aspetti un precursore del pontificato dell’incontro di papa Francesco. Un costruttore di ponti che ha sempre tenuto aperta la possibilità del confronto per avvicinare mondi tra loro lontani e apparentemente inconciliabili. Come quando il filosofo e ministro fascista dell’istruzione Giovanni Gentile gli propose di scrivere una voce per la sua opera enciclopedica e lui rifiutò per l’esplicito dissenso dal regime e per non unire il suo nome alla schiera degli intellettuali che aderivano al progetto culturale, ma al tempo stesso, con sensibilità umana, gli disse di mandargli il figlio per aiutarlo a compilare la voce con i suoi appunti. Nato a Monte San Savino, nella Val di Chiana toscana, nel 1862, quarto di otto fratelli, Giulio Salvadori visse a Roma gli anni della giovinezza. L’attività del padre Bernardo, commerciante di bestiami, subì una grave crisi agli inizi degli anni Settanta, provocandone il trasferimento a Roma, dove, pochi anni dopo, lo raggiunse tutta la famiglia e lo stesso Giulio che aveva iniziato la sua educazione nella città natale vicino a Giovan Francesco Gamurrini, archeologo ed erudito, il quale rimase fino alla morte un punto di riferimento non solo intellettuale.

Nel mondo ma non del mondo

A Roma fu compagno d’università di D’Annunzio e Scarfoglio, seguace di Carducci, poeta e acceso critico letterario. Proprio in questo periodo giunse ad abbandonare la fede cristiana in cui era stato cresciuto dalla madre Elisa Nenci, cercando altre risposte all’esigenza di verità che impellente aveva nel cuore. Né il sapere, né l’arte, né, infine, le nuove teorie naturalistiche darviniane, poterono però dare completa soddisfazione alla sua sete di sapere. A Roma, giovane capitale del Regno d’Italia frequentò il liceo e poi l’università. Dei suoi primi anni rimangono alcuni contributi sulle storie e la poesia popolari editi, sotto la guida di Ernesto Monaci, nel Giornale di filologia romanza. Conobbe Edoardo Scarfoglio e Gabriele D’Annunzio e, giovanissimo, prese a collaborare a riviste letterarie, in particolare con la Cronaca bizantina di Angelo Sommaruga, che lo introdusse, oltre che all’amicizia con Severino Ferrari, Angelo Conti e Guido Mazzoni, alla critica militante e alla poesia sotto l’ala di Giosue Carducci. Dopo un travaglio spirituale, nel 1885 riabbracciò con piena ragionevolezza la fede. Scrisse, infatti, in una lettera del maggio 1885 all’amico Fogazzaro: “Io son tornato cristiano…”.

Nella fucina dei talenti

Cominciò da qui quello che lui stesso chiamò il “rinnovamento”. Nel 1886 si iscrisse al Terz’Ordine Francescano. Grande poeta e scrittore ma prima di tutto vero educatore. Fu il primo docente di Storia della Letteratura Italiana all’Università Cattolica di Milano dove, fra gli altri, ebbe per allievi nomi che poi sarebbero divenuti famosi come il cardinale Giovanni Colombo, Amintore Fanfani, Bonaventura Tecchi, lo scrittore Nello Vian, segretario della Biblioteca Vaticana e poi segretario generale dell’Istituto Paolo VI di Brescia. Salvadori (che era già stato proposto nell’aprile del 1912 da Luigi Luzzatti come successore di Giovanni Pascoli sulla cattedra di Bologna) venne chiamato, nell’autunno del 1923, alla cattedra di letteratura italiana all’Università Cattolica per la scelta di Agostino Gemelli (dopo la rinunzia di Giovanni Papini) e nella stessa facoltà ebbe anche quella di studi danteschi.