“L'indifferenza si vince con la compassione”

L'11 marzo 2011 è una data indelebile per il Giappone. Il popolo nipponico lo ricorda infatti come il giorno del “triplpice disastro” – terremoto, tsunami e incidente nucleare che colpì le prefetture di Iwate, Miyagi e Fukushima.  Per le oltre 18mila persone che l’11 marzo 2011 e nei giorni e anni successivi hanno perso la vita, la prima parola di Papa Francesco è “speranza”: “Una preghiera che ci unisca e ci dia il coraggio di guardare avanti con speranza”. E il silenzio scende nell’auditorium del Bellesalle Hanzomon, il centro convegni di Tokyo, dove il Papa ha incontrato 800 vittime del disastro. 

Il discorso

“Cari amici – Ha esordito Francesco nel suo penultimo giorno di viaggio apostolico – Questo incontro con voi è un momento importante nella mia visita in Giappone. Possa questo incontro servire affinché, tutti insieme, rivolgiamo un appello alle persone di buona volontà perché le vittime di queste tragedie continuino a ricevere l’aiuto di cui hanno tanto bisogno. Senza risorse di base: cibo, vestiario e riparo, non è possibile condurre una vita dignitosa e avere il minimo necessario per poter ottenere una ricostruzione, che a sua volta richiede di sperimentare la solidarietà e il sostegno di una comunità. Nessuno si “ricostruisce” da solo; nessuno può ricominciare da solo. È essenziale trovare una mano amica, una mano fraterna, in grado di aiutare a risollevare non solo la città, ma anche lo sguardo e la speranza.Otto anni dopo il triplice disastro, il Giappone ha dimostrato come un popolo può unirsi in solidarietà, pazienza, perseveranza e resistenza. La strada per un pieno recupero può essere ancora lunga, ma è sempre possibile se può contare sull’anima di questa gente capace di mobilitarsi per soccorrersi e aiutarsi a vicenda. Quindi, vi invito ad andare avanti ogni giorno, a poco a poco, per costruire il futuro basato sulla solidarietà e l’impegno reciproco, per voi, per i vostri figli e nipoti, e per le generazioni a venire”.

Ma come possiamo rispondere a grandi problemi che, aggiunge Bergoglio, non possono essere visti e trattati separatamente, quali guerre, rifugiati, alimentazione, disparità economiche e sfide ambientali? “È un grave errore pensare che oggi i problemi possano essere affrontati in maniera isolata senza considerarli come parte di una rete più ampia. Il primo passo – risponde Francesco – oltre a prendere decisioni coraggiose e importanti sull’uso delle risorse naturali, e in particolare sulle future fonti di energia, è lavorare e camminare verso una cultura capace di combattere l’indifferenza. Uno dei mali che più ci colpiscono sta nella cultura dell’indifferenza. Urge mobilitarsi per aiutare a prendere coscienza che se un membro della nostra famiglia soffre, tutti soffriamo con lui; perché non si raggiunge una interconnessione se non si coltiva la saggezza dell’appartenenza, l’unica capace di assumere i problemi e le soluzioni in modo globale. Apparteniamo gli uni agli altri.

Poi, un richiamo alla pericolosità del nucleare. “Come hanno ben sottolineato i miei fratelli vescovi del Giappone, la preoccupazione per il prolungarsi dell’uso dell’energia nucleare” può portare a problemi gravi alla salute e per questo “hanno chiesto l’abolizione delle centrali nucleari”. “La nostra epoca – avverte – è tentata di fare del progresso tecnologico la misura del progresso umano. Questo “paradigma tecnocratico” di progresso e di sviluppo modella la vita delle persone e il funzionamento della società e, spesso, porta a un riduzionismo che tocca tutti gli ambiti delle nostre società. È dunque importante, in momenti come questo, fare una pausa, fermarci e riflettere su chi siamo e, forse in modo più critico, su chi vogliamo essere. Che tipo di mondo, che tipo di eredità vogliamo lasciare a coloro che verranno dopo di noi? La saggezza e l’esperienza degli anziani, insieme all’impegno e all’entusiasmo dei giovani, possono aiutare a plasmare una visione diversa, una visione che aiuti a guardare con grande rispetto il dono della vita e la solidarietà con i nostri fratelli e sorelle nell’unica, multietnica e multiculturale famiglia umana”.

“Quando pensiamo al futuro della nostra casa comune – prosegue – dobbiamo renderci conto che non possiamo prendere decisioni puramente egoistiche e che abbiamo una grande responsabilità verso le generazioni future. In tal senso, ci è chiesto di scegliere uno stile di vita umile e austero che risponda alle urgenze che siamo chiamati ad affrontare. Cari fratelli, nel continuo lavoro di recupero e ricostruzione dopo il triplice disastro, molte mani devono stringersi e molti cuori devono unirsi come se fossero una cosa sola. In questo modo, quanti hanno sofferto riceveranno sostegno e sapranno di non essere stati dimenticati. Sapranno che molte persone, attivamente ed efficacemente, condividono il loro dolore e continueranno a tendere una mano fraterna per aiutare. Ancora una volta, lodiamo e ringraziamo tutti coloro che, con semplicità, hanno cercato di alleggerire il peso delle vittime. Possa questa compassione essere la strada che permetta a tutti di trovare speranza, stabilità e sicurezza per il futuro”, ha concluso il Papa.