Libertà religiosa, nuova stretta delle autorità in Kyrgyzstan

Kyrgyzstan, le modifiche all’attuale legge sulla pratica del culto allarmano gli attivisti per i diritti umani e i leader religiosi di tutto il mondo. Tre sono le principali variazioni: il numero di fondatori di un’organizzazione religiosa registrata deve essere tra i 200 e i 500, e tutte le associazioni devono registrarsi di nuovo presso la commissione statale per gli affari religiosi (scra); chiunque lavori in un’organizzazione religiosa deve rinnovare ogni anno la propria licenza; ogni istituzione che offre un’istruzione religiosa deve avere anch’essa un permesso dalla stessa commissione del governo.

Inevitabile la reazione di associazioni e attivisti per i diritti umani che denunciano: “vogliono sottomettere la libertà religiosa allo stato”.Attualmente in Kyrgyzstan vivono circa 5 milioni e mezzo di persone: la religione ufficiale è l’islam sunnita (70% della popolazione). Il restante 30% si divide tra atei, aderenti ad altre denominazioni religiose e cristiani ortodossi (5%).

Le modifiche alla legge sulla libertà religiosa e al codice amministrativo erano già state annunciate il 9 ottobre scorso durante l’incontro organizzato dall’agenzia per gli affari religiosi insieme al programma Onu per lo sviluppo (undp), quest’ultimo invitò a partecipare all’incontro i leader delle comunità religiose meno rappresentative del paese. Alcune agenzie hanno confermato che all’incontro erano presenti attivisti locali per i diritti umani, leader religiosi della Chiesa ortodossa russa e di diverse Chiese protestanti.

La preoccupazione nel Paese è dunque in crescita, per molti la proposta è un tentativo di rendere l’esercizio della libertà religiosa dipendente dal permesso dello Stato. Il capo del comitato politico del parlamento, Damira Niyazaliyeva, ha dichiarato che “le autorità vogliono solo portare più coordinazione e regolamentazione alla libertà religiosa” perché “lo stato deve sapere chi sono queste organizzazioni religiose e cosa fanno con esattezza, non sappiamo come si stanno comportando con i nostri bambini e i nostri giovani”. La parlamentare ha preferito non rispondere alla domanda dei giornalisti sul perchè le autorità governative insistono nel voler conoscere gli orientamenti religiosi dei singoli cittadini.