“La vocazione? È fidarsi di Dio”

Il Giovedì Santo la Chiesa cattolica fa memoria dell'istituzione dell'Eucaristia e dell'ordinazione sacerdotale. In Terris ne ha parlato con don Davide Banzato che, come un bozzolo si apre e dona al mondo una farfalla, così ha aperto il suo cuore all'amore e alla misericordia di Dio. Non senza difficoltà e incertezze. L'ingresso nel seminario minore a 14 anni, un percorso sofferto che lo porta ad uscire, arrabbiato con Dio e con la Chiesa e dire: “Tutto ma mai prete”. La ricerca della gioia e della pace del cuore lo portano ad incontrare Chiara Amirante, fondatrice e presidente della Comunità internazionale Nuovi Orizzonti, che lo sprona a “vivere il Vangelo alla lettera“. Questo incontro cambierà la sua vita e lo porterà prima alla consacrazione all'interno della comunità, poi ad aprire nuovamente il cuore a Dio e a fidarsi di Lui, fino a scegliere il sacerdozio

Oggi è il giorno in cui i sacerdoti vengono chiamati a rinnovare le promesse fate durante l'ordinazione sacerdotale. Come vive il sacerdozio in questo Giovedì Santo? 
“Devo dire la Messa Crismale, in cui noi sacerdoti rinnoviamo la nostra risposta alla chiamata vocazionale, è sempre una grande emozione. Quest'anno sono undici anni di sacerdozio e essendo che la mia vocazione è partita da un 'tutto ma mai prete' ad essere oggi veramente felice di essere sacerdote, mi commuovo. E' un momento in cui vivo una grande commozione sperimentando proprio quanto sia grande la misericordia di Dio per me, quanto sia stato misericordioso e paziente, abbia atteso i miei tempi e quanto io sia stato anche stolto nel senso di aver la presunzione di pensare di saper meglio io di Dio cosa fosse meglio per me. C'è una frase di Chiara Amirante che mi piace molto: 'Qualunque sogno Dio abbia su di noi è molto molto più grande e meraviglioso del più grande sogno che abbiamo su noi stessi'. Ed è stato così. Io avevo paura e non volevo diventare prete e oggi, mi guardo indietro e vivo il mio quotidiano con tanta gratitudine e gioia. La mia prima vocazione è stata quella al carisma della Nuovi Orizzonti dove ho scelto la consacrazione. La modalità con cui vivere la mia chiamata in questa realtà, in questa grande famiglia è il sacerdozio”. 

Quando ha capito che volevi diventare un sacerdote?
“La prima conversione è avvenuta durante il mio secondo incontro con Chiara Amirante dove ho sperimentato il deisderio di avere la stessa gioia che vedevo nei suoi occhi. Guardavo i ragazzi accolti in comunità che avevano lo stesso sorriso e gioia che aveva lei. Mi colpivano ancora di più perché venivano da un passato fatto d'inferno. Quello è stato il primo momento che ha riaperto il mio cuore. Il segreto è stato il consiglio che Chiara mi ha dato e che in comunità, con i ragazzi, vivo tutt'oggi. Quando le ho chiesto come potessi essere felice anche io, mi ha risposto 'vivi il Vangelo alla lettera'. Io un po' contrariato le ho fatto presente che non ne potevo più di vangeli, rosari e preti e suore. Chiara allora mi fatto notare che i vangeli forse li avevo ascotati, ma non li avevo mai vissuti. 'Se tu li avessi vissuti avresti quella gioia che stai cercando, quella pace nel cuore che solo Dio ti può donare'. E così ho iniziato tutti i giorni ad aprite il Vangelo, provare a meditarlo e a trovare un impegno del giorno per vivere quella 'Parola'. Quella è stata una goccia che ha scavato il mio cuore e lo ha riaperto a Dio. Ha fatto sì che mi mettessi in ascolto di Dio e ho sentito che lui mi chiedeva il sacerdozio”. 

Lei è entrato in seminario giovanissimo. Dopo tre anni ha detto basta, affermando che avrebbe potuto fare di tutto nella vita ma mai il prete. Cosa è successo?
“Dopo diverse vicessitudini, ho subito un modello non più al passo con i tempi. E' difficile da spiegare, sarebbe lunga e complessa. Si tratta di una realtà molto grande e strutturata, e forse non adatta a un metodo educativo per i giovani di quel tempo. Si tornava a casa raramente e di fatto c'era un contatto familiare annullato. Per cui una gran sofferenza e forse dei metodi troppo duri. Chiaramente devo dire la verità: ho trovato persone brave e alcune probabilmente ferite che mi hanno procurato della sofferenza. Ho avuto dei benefici e delle situazioni che mi hanno provato. Come dice San Paolo 'Tutto concorre al bene per coloro che amano Dio'. Io grazie al seminario minore ho incontrato per la prima volta Chiara. Per cui la mia vocazione la devo anche al seminario minore, ma proprio lì ho avuto un allontamento per il quale io sono uscito arrabbiato, prima di tutti con Dio e con la Chiesa. Ho varcato la soglia di quel cancello e con lo sguardo rivolto al cielo ho detto: 'Dio, d'ora in poi farò come voglio io. Se starò bene con me stesso significa che tu non esisti. Se invece avrò bisogno di Te perché non starò bene, tornerò. Ma anche se tornassi, farò tutto nella vita, ma mai il prete'. Perché? Perché ero convinto che questo tipo di vita non mi avrebbe mai dato la felicità, non era adatta a me e probabilmente perché per alcune modalità vissute avevo sentito un forte rifiuto verso il sacerdozio”. 

Che cosa è per lei il sacerdozio?
“Se avessi scelto di sposarmi, avrei scelto solo una donna, non sarebbe cambiato tantissimo. Avrei scelto una persona con cui realizzarmi. Ho sentito chiaramente che Dio mi chiedeva: 'Guarda Davide, tu puoi farti santo e realizzarti sia nel matrimonio sia nel sacerdozio'. Ho sentito nel cuore che mi diceva 'se ti fidi di me, io ti chiedo di farti prete'. Come potevo non fidarmi di Dio? E' tutta lì la mia scelta vocazionale?

Il suo impegno nel sociale a chi è rivolto?
“Non c'è una categoria. Il carisma di Nuovi Orizzonti è testimoniare la gioia di Cristo risorto ponendo una particolare attenzione al mistero della discesa agli inferi di Gesù, il mistero del Sabato Santo. E quali sono gli inferi? Sono uno stato dell'anima che con la morte diventano eterni. Gli inferi sulla terra sono per coloro che vivono già la morte del cuore e dell'anima. Quello che San Paolo dice: 'il frutto, il salario del peccato è la morte'. Dunque un non incontro con l'amore di Dio. E' questo il disagio verso cui mi rivolgo. Quindi può trattarsi del tossicodipendente di una zona di borgata o di una zona borghese; può essere un manager affermato ma morto nel cuore e nell'anima, come un ragazzo solo, depresso e magari emarginato. Non c'è una categoria di persone. Nella mia azione quotidiana incontro situazioni diversificate che possono andare dalla ragazza costretta a prostituirsi, a chi lo fa invece quasi per noia giocando con il suo corpo; dal ragazzo disperato che entra in comunità bussando dalla porta, a quello che dobbiamo andare a cercare in strada per convincerlo a uscire da quell'inferno, da quel paradiso artificiale in cui pensa di trovare il divertimento”. 

In quali modi si esprime lo spirito di servizio all'interno della Nuovi Orizzonti?
“In questo momento abbiamo 216 centri di accoglienza, formazione e orientamento: si occupano dell'accoglienza residenziale per ragazzi e ragazze con diverse tipologie di disagio giovanile; centri che si occupano della formazione all'evangelizzazione, al primo annuncio e al volontariato e alla cooperazione internazionale in diversi ambiti, anche informazione ai media e new media, arte e spettacolo; alcuni centri sono anche di prima accoglienza di strada e poi di orientamento per il percorso, lavorando in rete con tante associazioni, tra cui anche la Comunità Papa Giovanni XXIII. Poi ci sono le equipe di servizio che sono 1004: almeno ogni 15 giorni facciamo azioni specifiche mirate in alcuni territori, che possono essere il carcere, gli ospedali, i centri di aggregazione, ma anche centri commerciali o spiagge. Io vivo in questo momento in una delle 'Cittadelle Cielo' (piccoli villaggi di accoglienza di Nuovi Orizzonti, ndr) a Frosinone, dove tutto questo si concentra e esprime”. 

Lei conosce il mondo dei media, ha partecipato a trasmissioni come opinionista, ma ha anche condotto delle rubriche su Tv2000, Telepace, Radio Maria… In questo periodo la credibilità dei media è messa in discussione dal fenomeno delle “fake news”. Come dovrebbero muoversi gli operatori della comunicazione per svolgere il loro ruolo nel migliore dei modi?
“Non sono un esperto dei media, io nasco come prestato alla televisione. Sicuramente sono figlio della mia generazione e sono 'social'. Ho avuto la fortuna di lavorare con dei professionisti e di mettere in campo dei talenti e di affinarli. Direi che le regole base che ho appreso sono principalmente due. La prima: vanno rispettati il mestiere e la professionalità di ciascuno. Se faccio il conduttore devo avere il massimo rispetto e stima e devo saper lavorare in squadra con gli altri. Il programma in qualsiasi rete è fatto da un team, mai da una sola persona. Ricordare questo è fondamentale anche per non cadere nel tranello delle fake news. La seconda regola basilare di qualsiasi giornalista è la verifica dell'informazione, in qualsiasi cosa bisogna andare sempre alla fonte. Il rischio più grande della comunicazione oggi, da cui derivano le fake news, è questa velocità in cui c'è tanta quantità ma poca profondità e dunque tanta superficialità”. 

A ottobre inizierà il sinodo dei giovani. In una società come la nostra che spinge i ragazzi in direzioni totalmente opposte a quelle degli ideali cattolici, come spiegherebbe ai giovani la bellezza della vocazione?
“L'immagine che mi viene dal cuore è quella dell'innamoramento, senza dubbio, ma con tutte le sue fasi – come da bruco a farfalla – fino all'amore. Una vocazione, qualsiasi essa sia, è fatta di queste fasi: la scintilla iniziale che accende il fuoco e ti trasforma anche in farfalla, ma poi ci vuole la costanza in cui scegliere di battere le ali e allora lì, entra in gioco la costanza dell'amore. Io penso che questa dinamica sia presente in qualsiasi stato vocazionale, dal matrimonio, al sacerdozio, alla vita religiosa, al consacrato laico che vive in comunità o nel mondo. Ogni vocazione ha le sue rose e le sue spine. Forse la grande illusione, per i giovani di oggi, è quella di credere che si possano tenere aperte tutte le porte ed essere felici così. In questo modo non si realizzerà mai niente. Bisogna avere il coraggio di vedere, sperimentarsi, chiudere le porte che non sono fatte per noi e sceglierne una e in quella realizzarci con fedeltà. E da innamoramento, che non è mai eterno, si passa all'amore. E' una scelta che va confermata quotidianamente. Devo dire che mi ha colpito sempre la frase di Benedetto XVI: 'Dio ci chiede il nostro niente per darci il suo tutto'. E' stato così per me. Io pensavo che Dio mi chiedesse il mio tutto per darmi qualcosina, per questo avevo paura del sacerdozio. Invece oggi mi rendo conto che è accaduto il contrario. Questo vale anche per uno sposato…  Il punto chiave è capire qual è la volontà di Dio per me, fidarsi di Lui e poi vivere con amore e fedeltà e lì c'è la piena realizzazione e gioia, che passa anche attraverso delle difficoltà. Ma questa è la vita: nessuna è esente da prove”.