“La vita è davvero umana se vissuta con i più poveri”

Questo anniversario vorrei che fosse un anniversario cristiano“, che fosse vissuto con audacia, quella “di ritessere pazientemente il tessuto umano delle periferie, che la violenza e l’impoverimento hanno lacerato; di mostrare come una vita diventa davvero umana quando è vissuta accanto ai più poveri; di creare una società in cui nessuno sia più straniero. È la missione di valicare i confini e i muri per riunire”. E' l'augurio che Papa Francesco rivolge alla Comunità di Sant'Egidio, che quest'anno festeggia il 50mo anniversario della sua fondazione. E prorpio in occasione di questo giubileo d'oro che il Pontefice si reca in visita alla basilica di Santa Maria in Trastevere, dove ha sede la Comunità. Ad accoglierlo un caloroso bagno di folla. Nel corso della visita, durata circa tre ore, il Santo Padre incontra nuovamente il “popolo di Sant'Egidio”, a partire da Andrea Riccardi che 50 anni fa iniziò il cammino della Comunità a Roma, con rappresentanze venute da diverse città d'Italia e dal mondo, con giovani e poveri amici della Comunità, tra cui i profughi arrivati con i corridoi umanitari, anziani, bambini delle “Scuole della Pace”, persone con disabilità dei laboratori d'arte, senza dimora accolti in questi giorni di freddo.

Il saluto sotto la pioggia

Giunto in piazza, mentre la pioggia cade copiosa, saluta così le persone presenti sul sagrato della basilica: “Buonasera, ma non tanto buona, no? Impagliazzo ha detto che Roma ha le porte aperte ma anche il cielo le ha, e ha buttato tutta l'acqua“. E aggiunge: “Grazie di essere qui, grazie della vostra generosità, qui c'è generosità e cuore aperto per tutti, senza distinguere, questo mi piace, questo non mi piace, no, tutti sono accolti. Vi ringrazio tanto – prosegue -, vi auguro il meglio a ognuno di voi, alle vostre famiglie e anche ai vostri sogni e pregate per me“.

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Lo straniero visto come nemico

Dopo aver presieduto la Liturgia della Parola, il Papa si avvicina all'ambone. Il suo intervento ruota attorno a tre parole: preghiera, poveri e pace. Ricorda l'importante ruolo che la Comunità svolge nell'ambito dei corridoi umanitari, e afferma: “Il mondo oggi è spesso abitato dalla paura e anche dalla rabbia che è sorella della paura. Il nostro tempo conosce grandi paure di fronte alle vaste dimensioni della globalizzazione. E le paure si concentrano spesso su chi è straniero – sottolinea -, diverso da noi, povero, come se fosse un nemico. E allora ci si difende da queste persone, credendo di preservare quello che abbiamo o quello che siamo. L'atmosfera di paura può contagiare anche i cristiani”. E aggiunge: “Il futuro del mondo appare incerto“, “guardate quante guerre aperte!”. Il suo pensiero va alla Siria: “So che pregate e operate per la pace. Pensiamo ai dolori del popolo siriano, l'amato e martoriato popolo siriano di cui avete accolto in Europa i rifugiati tramite i 'corridoi umanitari'”. Poi una domanda che scuote gli animi: “Com'è possibile che, dopo le tragedie del ventesimo secolo, si possa ancora ricadere nella stessa assurda logica? Ma la Parola del Signore è luce nel buio e dà speranza di pace”. Secondo il Pontefice, in questo mondo pieno di conflitti e disparità occorre una responsabilizzazione da parte di tutti, a partire dai cristiani. “Il cristiano, per sua vocazione – fa notare -, è fratello di ogni uomo, specie se povero, e anche se nemico. Non dite mai: 'Io che c'entro?'. Bella parola per lavarsi le mani: 'Io che c'entro?'. Uno sguardo misericordioso ci impegna all'audacia creativa dell'amore, ce n'è tanto bisogno! Siamo fratelli di tutti e, per questo, profeti di un mondo nuovo; e la Chiesa è segno di unità del genere umano, tra popoli, famiglie, culture“. 

“Costruire una globalizzazione di solidarietà”

“Il mondo è diventato 'globale': l'economia e le comunicazioni si sono, per così dire, 'unificate'. Ma per tanta gente, specialmente per i poveri, si sono alzati nuovi muri”. Infatti, “le diversità sono occasione di ostilità e di conflitto; è ancora da costruire – fa notare Francesco – una globalizzazione della solidarietà e dello spirito. Il futuro del mondo globale è vivere insieme: questo ideale richiede l'impegno di costruire ponti, tenere aperto il dialogo, continuare a incontrarsi”. Ma questo, ammonisce, “non è solo un fatto politico o organizzativo. Ciascuno è chiamato a cambiare il proprio cuore assumendo uno sguardo misericordioso verso l'altro, per diventare artigiano di pace e profeta di misericordia“. Nella società di oggi, prosegue il Papa, occorre continuare a percorrere vie di pace con audacia. Un'audacia “cristiana”, che non consiste nel “coraggio di un giorno”, bensì nella “pazienza di una missione quotidiana nella città e nel mondo”. Missione, spiega ancora Bergoglio, che consiste nel “ritessere pazientemente il tessuto umano delle periferie, che la violenza e l'impoverimento hanno lacerato“, nel “comunicare il Vangelo attraverso l'amicizia personale”; nel “mostrare come una vita diventa davvero umana quando è vissuta accanto ai più poveri”. E ancora: “consiste nel creare una società in cui nessuno sia più straniero. È la missione di valicare i confini e i muri per riunire“. Ed esorta: “Questo anniversario vorrei che fosse un anniversario cristiano: non un tempo per misurare i risultati o le difficoltà; non l'ora dei bilanci, ma il tempo in cui la fede è chiamata a diventare nuova audacia per il Vangelo”. “Continuate ad aprire nuovi corridoi umanitari per i profughi della guerra e della fame“. Infine, il Pontefice invita la Sant'Egidio a continuare in quel progetto di arrivo in maniera legale di profughi e rifugiati avviato dalla stessa Comunità. Un lungo applauso è la risposta a questo appello del Papa che così conlude il suo intervento: “I poveri sono il vostro tesoro“.

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Impagliazzo: “Sogniamo una Chiesa senza esclusioni”

“Benvenuto a Trastevere, nel cuore di Roma, rione dell'antico porto, ma anche oggi porto per tanti che la visitano: pellegrini, turisti, viaggiatori, migranti. Qui ci sono la chiesa e la casa della Comunità di Sant'Egidio che compie i 50 anni di vita. È una grazia poter accogliere ogni giorno persone da ogni luogo nella nostra casa e nella nostra preghiera. È anche una speciale vocazione di essere romani. La ringraziamo per essere qui per questo anniversario. Siamo felici e grati per la sua presenza!“. Così il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo, accoglie il Papa nella piazza che incornicia la basilica di Santa Maria in Trastevere. “Con Lei – proseguie – vogliamo non tanto guardare agli anni trascorsi, ma il futuro di una Comunità in uscita verso le periferie della città e del mondo. La città è stata sempre il nostro orizzonte, fin dai primi passi. Soprattutto la città nascosta e sconosciuta, quella delle povertà e dell'esclusione. I primi bambini della scuola della pace Andrea Riccardi e i suoi amici li incontrarono sul greto del Tevere, in baracche nascoste dai cartelli pubblicitari collocati in certe zone di Roma durante l'Olimpiade del 1960. Dov'era la Chiesa tra quelle persone? Dov'era Dio in quei luoghi? Per questo, insieme alla scuola della pace, iniziammo ad aprire il Vangelo per rendere presente Gesù tra quella gente abbandonata. Il Vangelo nella città, il Vangelo per tutti! Nessuno escluso”. “La Parola è stata la nostra bussola, la città il nostro orizzonte – continua – Dalla comunicazione del Vangelo è nato il frutto che Lei vede oggi, un frutto un po' bagnato – scherza riferendosi alla pioggia incessante -. Siamo in tutto debitori alla Parola di Dio, 'lampada per i nostri passi' (come abbiamo voluto intitolare la giornata di oggi) e allo Spirito Santo. La Parola ci ha liberato dall'ideologia e dalla tentazione dell'autoreferenzialità. Dio non è un sogno, la sua Parola non è un sogno, ma fa sognare. La Parola ci ha fatto sognare, noi uomini e donne dai piccoli orizzonti. E con la Parola i poveri che ci sono stati maestri in tante occasioni e che sono nostri fratelli e sorelle. Che triste una Chiesa che ha i poveri come clienti e non come fratelli! Grazie, Padre Santo per aver portato, con la sua parola e i suoi gesti, i poveri al cuore della Chiesa e aver realizzato il grande sogno di papa Giovanni di una Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri”. E conclude: “Abbiamo trovato in Lei un padre e un fratello, in Lei si uniscono paternità e fraternità, mentre la Chiesa ci è madre. Questa Comunità non è per qualcuno, non è di una parte o di un'altra, ma è per tutti. Così ci ha chiesto Gesù che ha versato il suo sangue per tutti. Mentre gli uomini escludono (si è fatto con gli ebrei, i neri, i rom, i profughi…), Gesù ama tutti”. “Tutti: non qualcuno, non molti, ma tutti. Senza eccezioni. Ecco l'orizzonte al quale vogliamo guardare mentre comunichiamo il Vangelo. Ce lo insegna Lei ogni giorno con la sua predicazione. Con Lei vogliamo sognare una Chiesa popolo di tutti, nessuno escluso, perché la misericordia del Signore tocchi il cuore di tutti, senza esclusioni”.

Riccardi: “Sconfiggere età della rabbia e degli egoismi”

“Si dice che il tempo globale è troppo complicato. Bisogna prima di tutto sopravvivere: difendersi, dagli altri, dai poveri. E' la logica del pensare a sé: va dall'egocentrismo personale all'egoismo nazionale”. Con queste parole il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, saluta Papa Francesco. “Ogni paese – osserva Riccardi – deve chiudersi e salvarsi dalla marea del mondo. Ci si sente vittime e si ha paura. Siamo in un'età della rabbia ovunque: contro gli altri, i diversi, i poveri, i presunti nemici. Età dolorosa, dove ci sono violenze e guerre senza fine: in Siria o in Sud Sudan. E la violenza è accovacciata alla porta di ogni società. La tentazione è il pessimismo che favorisce chiusure o pigrizie. Ma come possono essere pessimisti gli amici di Colui che è risorto?”. “Noi – prosegue – conserviamo dal '68 e dintorni la convinzione che tutto può cambiare e che dipende anche da noi. Il Concilio ci ha offerto la Parola di Dio, che illumina i cuori, le menti, la strada, mentre accresce la fede. Anche quando è buio. Si può andare avanti anche nel buio! Questo ci libera dall'ossequio che rende piccoli e spaventati, avari, clericali, conservatori. Grande: è accettare la sfida di fare il mondo migliore”. “Vorrei dire che, non per farle un complimento ma per dire la realtà – prosegue – da quando con l'Evangelii Gaudium, lei ha proposto di uscire per strada, fuori dall'istituzione, dalle sacrestie, dai piani pastorali, dall'autoreferenzialità, dall'egocentrismo, dalla nostra purezza, un popolo grande s'è messo in cammino. Si vede tanta gente che ha voglia di fare il bene, ci sono risorse e energie, non solo rabbia ma molto amore. E questo dà speranza e gioia. In questa prospettiva, Sant'Egidio non si sente una comunità di perfetti (come potremmo?), ma una comunità di popolo, magari piccola ma senza confini, perché coinvolta dai dolori vicini e dai lontani. La rabbia e l'egocentrismo si guariscono, se andiamo incontro con simpatia, rendiamo ragione della speranza e aiutiamo a incontrare i poveri, che sono veri maestri di verità della vita. Questa è la gioia del Vangelo che proviamo”. E conclude: “L'età della rabbia può diventare età della fraternità e dello spirito“, “vivere insieme per un mondo fraterno, tra popoli, nelle periferie e in città, è una rivoluzione possibile, se partiamo dal cuore e dal Vangelo“.