La lezione di San Francesco Saverio

Nelle migliaia di lettere che invia alla Compagnia di Gesù, il giovane Francesco Saverio non parla mai del “miracolo del granchio”. Ne fa menzione il giovane avventuriero Fausto Rodríguez, che accompagnò il gesuita in una spedizione verso l’Indonesia: un’odissea nella quale entrambi rischiarono di perdere la vita fra i marosi, se il santo non avesse calato il crocifisso nelle acque per poi perderlo fra gli abissi. Eppure, scampati alla morte, si dice che sulla spiaggia dell’isola di Ceram un granchio riportò a Francesco Saverio quel piccolo crocifisso di legno e lui lo baciò, lodando Dio per averli salvati. L’episodio è la sintesi della vita del santo gesuita, che può essere letta soltanto camminando al suo passo. Patrono delle missioni, San Francesco Saverio incarna il Vangelo nei passi, come un San Paolo nel sedicesimo secolo. Il suo ascendente sulla Compagnia di Gesù ha un peso rilevante al punto che lo stesso Papa Francesco lo ha eletto nel suo recente viaggio in Giappone quale esempio di Chiesa in cammino. Il santo gesuita ha dato corpo alla parola missione nella sua vita, pur uscendo a fatica dalle ambizioni di quello che era un valente giovane originario della Navarra, poi il promettente studente di un’Europa embrionale che si stava formando fra i chiostri universitari d’Europa. Agli studenti si rivolge in una delle sue lettere “infiammate”, opponendo l’azione tipica del carisma di Ignazio di Loyola alle sterili dispute cattedratiche. Il gesuita di Navarra tradusse i suoi pensieri in azione: navigò tremila miglia in tre anni in cui provò il corpo più che lo spirito. Come può un santo vissuto nel XVI secolo essere da esempio alla Chiesa di oggi? In Terris lo ha chiesto ad alcuni gesuiti, che incarnano appieno lo spirito della “Chiesa in uscita” simboleggiato da San Francesco Saverio, in un viaggio alle radici non solo della Compagnia di Gesù, ma di tutta la missione della Chiesa nel terzo millennio.

Cardinale Michael Czerny S.J.

Il cardinale M. Czerny è Sotto-Segretario della Sezione Migranti del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. 
Eminenza, cosa rappresenta oggi San Francesco Saverio per la Chiesa di oggi?
“Nel giorno in cui lo ricordiamo nella Liturgia, ci ispiri San Francesco Saverio, così come ci insegna Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium: “Lapartenza missionaria è il paradigma di tutta l’opera della Chiesa” (EG15). La Chiesa è missione! Il cristiano è un itinerante! Siamo tutti inviati alle nostre personali periferie e alle periferie esistenziali della nostra società. San Francesco Saverio, prega per noi, ed ottienici dal Signore il coraggio di vivere pienamente la nostra vocazione battesimale”.

Padre Antonio Spadaro S.J.

Padre A. Spadaro è Direttore de La Civiltà Cattolica.
Padre Spadaro, quale insegnamento da san Francesco Saverio ai Gesuiti di oggi?
“Francesco Saverio colpisce tutti i Gesuiti di ieri e di oggi, anzi direi che la sua vocazione missionaria fa parte del dna della vocazione di un gesuita. In fondo, lui era un giovane di belle speranze, proiettato verso il successo mondano. Ma ha incontrato Ignazio di Loyola quando era studente: non avendo molti soldi, fu costretto a dividere la stanza che l’università affittava agli studenti con due altri compagni di studio: Pietro Favre – fato santo da Papa Francesco – e sant’Ignazio, appunto. Grazie a questo incontro fece una forte esperienza spirituale che lo ha cambiato e poi lo ha spinto in missione e a desiderare di andare lontano”.

Cosa la colpisce di questo “santo missionario”?
“Sono molto belle le sue lettere dal Giappone. È, per esempio, celebre la prima in cui egli esprime le sue impressioni sulla gente giapponese, “la migliore” che avesse mai incontrato. Questo dimostra che in lui c’era un senso di profondo amore, di rispetto, quasi la percezione di un ‘senso di superiorità’ dell’altro. Il suo è l’atteggiamento missionario di uomo appassionato del Vangelo, ma nello stesso profondamente innamorato della cultura e della gente che incontrava. Francesco Saverio ammirava molto la cortesia l’onore che i Giapponesi gli comunicavano e questo rivela in lui la capacità di essere attento ai tratti caratteristici di una cultura altra”.

Il suo occhio missionario si volge anche ai suoi Compagni, vero?
“Sì. Questo è un altro elemento che mi ha sempre colpito di lui: l’amore per la scrittura come mezzo per mantenere il collegamento con i suoi Compagni in Europa, con Sant’Ignazio e il suo desiderio di dare notizie, ma anche di riceverne. San Francesco portava nella talare, all’altezza del cuore, il nome di Ignazio e dei suoi Compagni: questo significa che la sua esperienza spirituale aveva un carattere profondamente comunitario, legato a un carisma che era proprio nato in quegli anni. Questo suo desiderio di tenere i contatti è, dunque, molto importante per noi oggi”.

Lui ha incarnato il “magis”, tipico del carisma gesuita…
“Se si leggono le sue lettere, si trovano espressioni come fare un grande fruttoaumentare molto i confini di Santa Madre Chiesafare molto servizioaumentare la nostra fede. Questi termini esprimono il ‘desiderio del di più’,  la sua capacità di sognare in grande e di voler spendere totalmente la sua vita per il Vangelo. Francesco Saverio era realista, consapevole dei propri limiti in sé e nella propria azione, ma questo non ha mai intaccato, né ostacolato il suo desiderio, puntando sempre al ‘frutto più grande’”.

Come San Francesco Saverio può essere modello per i missionari di oggi?
“Lui comprendeva le circostanze e la tipologia di missionario che le varie terre richiedevano. Le lettere sono preziose anche in tal senso. Per esempio, quando parla delle regioni dell’India, lui scrive a Sant’Ignazio che erano necessarie persone con forze corporali e grandi qualità spirituali, perché il lavoro missionario in quelle terre prevedeva catechesi, visite ai villaggi: tutte attività impegnative anche dal punto di vista fisico. In Giappone, invece, l’aspetto intellettuale, poiché aveva notato che i Cinesi e i Giapponesi gli ponevano molte domande e – come lui stesso scrive – ‘amano la filosofia’. In questo caso, richiedeva missionari con solidità spirituale e buona capacità intellettuale, versati nella dialettica. Tutto questo è interessante perché si vede in lui l’adattamento alle situazioni che dice molto della sua grande capacità di lettura della storia, dei popoli e delle esigenze delle persone”

Padre Francesco Occhetta S. J.

P. Francesco Occhetta è scrittore de La Civiltà Cattolica.
Padre Occhetta, qual è l’insegnamento di San Francesco Saverio oggi per la Chiesa? Papa Francesco lo ha menzionato nel suo viaggio in Giappone: il santo gesuita è un esempio di spiritualità come “intimità itinerante” (Evangelii Gaudium) anche oggi?
“Camminare verso le frontiere non ancora esplorate, non solo territoriali, ma anche culturali e politiche. Spende dieci anni della sua vita in Asia, di questi ne passa almeno cinque in navigazione o aspettando di imbarcarsi, percorre qualcosa come 63.200 km, al punto che molti biografi lo considerano un nuovo san Paolo. Ma il viaggio più affascinante che percorre il Saverio è quello interiore. Il suo cammino lo porta ad uscire da se stesso per giungere alla soglia del faccia a faccia con Dio per riconoscere il fondamento della sua identità nel volto delle migliaia di persone incontrate”.

In che modo la figura di San Francesco Saverio ispira un gesuita di oggi?
“La sua disponibilità. Quando don Pedro Mascarenhas, ambasciatore di Giovanni III, re del Portogallo, va a Roma per chiedere a sant’Ignazio, a nome del suo sovrano, un gesuita per l’Oriente. La partenza era fissata per il 15 marzo 1540. Ma il padre prescelto, il Bobadilla, si ammala. Il 14 marzo Ignazio chiede al Saverio se può sostituire il suo confratello. Il tempo di pensarci, di accettare, di ordinare le poche cose che aveva per presentarsi a Ignazio e dirgli: “Pues, sus héme aqui” (Bene, eccomi qui!). La sua vita cambiò per sempre e non ritornò più. Ci insegna che l’infinito è sempre nel passo in più”.