La “fantasia della carità” di don Oreste

Da San Giovanni Paolo II a Papa Francesco un filo rosso collega episodi, parole e gesti del “prete degli ultimi”, don Oreste Benzi. È il prof. Guzman Carriquiry Lecour, collaboratore da 46 anni dei Pontefici che si sono succeduti a raccontare la “fantasia della carità” del sacerdote riminese “dalla tonaca lisa” che ha segnato, senza pudori e senza mezzi termini, la storia della Chiesa dal ’70 ad oggi.

Il primo segretario laico della Pontificia Commissione per l’America latina grazie alla nomina di Papa Francesco, nel suo intervento tenutosi a Bologna sabato scorso al fianco di mons. Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Andrea Montuschi, responsabile dell’Associazione Papa Giovanni XXIII in Emilia, non nasconde che i suoi ricordi hanno il sapore della “familiarità”.

Il docente universitario e avvocato, originario dell’Uruguay, sposato con Maria, padre di 4 figli e nonno di 10 nipoti, sa cosa significa. E pensando a don Oreste Benzi e ai suoi incontri la prima parola che ha in mente è la parola abbraccio. Perché questo prete col sorriso sempre impresso sul volto, prima di tutto accoglieva ognuno personalmente, a tu per tu, in un gesto di gratuità naturale, disarmante, qualunque fosse l’incarico che la persona ricoprisse. Don Oreste per primo infatti sentiva di essere abbracciato da Dio e amato come sacerdote nella sua originalità umile. “Anzi diceva 'Io non potrei vivere in Cristo se Lui non vivesse in me. Lui stravede per me'. E chi avrebbe potuto prevedere che quel giovane prete, in una periferia di Rimini, con la sua tonaca lisa, sarebbe diventato il padre della Comunità Papa Giovanni XXIII nel mondo? – ha dichiarato il prof. Guzmàn – Tutta la sua vita era impegnata a strappazzarsi per le anime. Dio lo ha preso per i capelli come fa con i profeti, investendolo con quella grazia di luce che è il carisma. E nel '72 investe i primi giovani nell'apertura della prima casa-famiglia a Coriano”.

Ogni povero

Ma don Oreste Benzi, nei ricordi dell’ex segretario del Pontificio Consiglio per i laici, è soprattutto il sacerdote che resta radicato in Gesù, talmente legato a Lui da incontrarLo e amarLo in ogni povero che incrocia sulla sua strada. Ogni povero. Tutti gli “ultimi”, senza distinzioni. E invece di parlare dei loro volti e delle loro storie, te li porta davanti con gesti che sanno di una quotidianità abituale non costruita per l’occasione o per secondi fini, provocando alla conversione anche le più alte cariche della Chiesa e del mondo politico. “Il ricordo di don Oreste ieri e oggi è un richiamo inquietante alla mia conversione – ha confidato l’accademico uruguaiano -. Al congresso laicale del Giubileo del 2000, davanti a dirigenti e cardinali ricordo quando don Oreste parlava delle preghiere e degli incontri con le prostitute. Concludeva dicendo: teniamo per certo che loro entreranno per prime nel Regno dei cieli“. E non a caso, il regalo che fece a Giovanni Paolo II, poco dopo il riconoscimento pontificio della Comunità Papa Giovanni XXIII, fu portare una ragazza malata di aids, ex prostituta, a baciare la mano del Papa. Scena indimenticabile di un Padre che, accarezzandole i capelli, cerca di trasmettere, alla figlia più ferita, la misericordia e la consolazione di Dio.

Incontro alle nuove povertà, fino ai confini della terra

Fu proprio il santo Giovanni Paolo II a riconoscere quella ricchezza e quella vitalità nella Chiesa data dai movimenti e delle nuove comunità ecclesiali che esprimevano la gioia della fede e la vivacità, frutti del rinnovamento negli anni ’70. ”Mossi dallo Spirito – si legge nella Carta di Fondazione della Comunità – i membri s’impegnano a condividere direttamente la vita con gli ultimi, cioè… mettono la propria spalla sotto la loro croce accettando di lasciarsi liberare dal Signore attraverso di loro”. E per realizzare questa vocazione, Don Oreste ripeteva che “per stare in piedi bisogna stare in ginocchio” che “la seconda eucarestia è l’incontro coi poveri”. Nelle parole di Carriquiry si avverte con chiarezza la novità di una Chiesa che va lontano, raggiunge le periferie dell’umanità. Ed è significativo per il collaboratore dei pontefici che, mentre Giovanni Paolo II iniziava i viaggi fino ai confini della terra, la Comunità iniziava ad espandersi in tutto il mondo.

Nel ’75 infatti proprio in Zambia si apriva la prima casa-famiglia all’estero. Una nuova tappa storica della Chiesa perchè “ovunque la carità è la fonte e il criterio del servizio” che don Oreste Benzi, profeticamente, anticipava. Nella lettera apostolica del 1994, Tertio millennio adveniente, in preparazione del Giubileo del 2000, il Papa ricorderà che è tempo di una nuova evangelizzazione, della gioia della conversione e dell’unità dei cristiani. Una nuova primavera della Chiesa che passa anche attraverso la liberazione degli oppressi. Alle vecchie povertà si aggiungono infatti nuove povertà e schiavitù. Poche persone con tante risorse economiche in mano e una massa di poveri senza il necessario.

Di fronte a questo scenario, che stile di accoglienza, di approccio caritativo ha promosso nei cinque continenti l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII? “Andando oltre il semplice assistenzialismo umanitario, vivendo nella gratuità – risponde l’avvocato della Santa sede – la Comunità di don Benzi abbraccia le vecchie e le nuove povertà: la tratta degli esseri umani, le vittime delle guerre e violenza, la vita nascente minacciata, tossicodipendenza, disabilità, infanzia maltrattata, discriminazione a causa di motivi etnici, la drammatica situazione di migranti, rifugiati, nomadi e persone senza fissa dimora. E il carisma che le anima dimostra tutta quella fantasia della carità di cui scriveva Papa Giovanni Paolo II”. 

L’accoglienza degli ultimi, segno della misericordia di Dio

Benedetto XVI ha definito don Oreste Benzi “umile e infaticabile apostolo della carità” e nel 2009, nell’udienza generale ai membri della Comunità li aveva esortati a “far fruttificare dalla Provvidenza nella Chiesa e nel mondo il carisma”.

“Anche Papa Francesco, nel discorso ai membri della Comunità di don Benzi nel 2014, constatava che 'la Provvidenza vi ha fatto crescere con l’amore per i piccoli e per i poveri, radicato nell’amore a Gesù crocifisso da dove vi viene la forza necessaria per affrontare le difficoltà'. Il Papa ascolta, apprezza, ammira le esperienze della Comunità che 'rivelano la miseria più pericolosa, la lontananza da Dio e la presunzione di fare a meno di Lui'”. Il carisma di don Benzi e dei suoi amici, secondo il prof. Guzmàn, ancora una volta ha giocato d’anticipo, basando l’accoglienza dei più emarginati su un profondo senso di misericordia “come l’abbraccio del Padre misericordioso che non esclude nessuno, che non pone precondizioni morali all’incontro e all’accoglienza e che si carica di tutte le nostre miserie per essere compagnia e salute di chi è nella sofferenza. Allora la misericordia è l’amore che abbraccia la miseria della persona umana. Vissuta da coloro che non si sentono migliori di quelli che accolgono”. 

Già Giovanni Paolo II lo testimoniava nel perdono verso colui che voleva ucciderlo ma con Papa Francesco la Chiesa entra nell’anno giubilare della Misericordia proponendo un nuovo atteggiamento di tutti i cristiani, di ogni pastorale. La Comunità Papa Giovanni XXIII, secondo Carriquiry ha anticipato di gran lunga nelle sue opere questo stile. La Chiesa in uscita che va incontro ad ogni uomo, del più emarginato, degli scartati, dei nuovi schiavi come li chiama oggi Papa Francesco. Nei gesti di condivisione di Papa Francesco, così come nei suoi documenti non c’è niente di politico, né di ideologico come evidentemente non c’era niente di costruito a tavolino da don Oreste Benzi. “Un dono di prossimità caritativa ai samaritani che incontra nel suo cammino, con quella gioia, con quella passione di essere in mezzo alla gente che lo rende tanto vicino a Papa Francesco”.

Come Papa Francesco, prima “bisogna stare in ginocchio”

“La Chiesa è fatta di 'ospedali da campo' – ha ricordato Carriquiry – che possono rompere pregiudizi, diffidenze e possono aprire i cuori di tutti gli uomini”. Per questo le case-famiglia e i centri di accoglienza della Comunità di don Benzi testimoniano la bellezza e l’importanza di uscire per le strade del mondo ovunque viene disprezzata la dignità umana. E dalle parole di questo storico collaboratore di Papa Francesco si riassapora quell’entusiasmo ad uscire dai propri orti, dalle mura delle proprie chiese “per guardare la realtà con lo sguardo dei poveri che sono immagine reale e presente di Gesù“. Con il loro punto di vista, cresce pure la spinta a lottare contro le idolatrie, le ingiustizie, le violenze, le oppressioni ma non dimenticando mai che in queste battaglie bisogna prima “stare in ginocchio”.

Anche Papa Francesco lo ricorda con la sua esigente disciplina: incomincia alle 4.30 del mattino con la Sacra Scrittura sotto gli occhi, non tralascia mai di pregare il Rosario. Quando parla a sacerdoti e vescovi raccomanda “prima la preghiera poi il ministero del sacerdozio, prima la preghiera e poi le opere”. Senza il dialogo sincero col Signore facilmente ci indeboliamo, ci smarriamo e “sapeva bene don Oreste – e sanno bene i suoi – che senza la preghiera non è possibile aprirsi all’Infinito di Dio”. Solo in questo abbraccio d’Amore, è possibile continuare la sua profetica “fantasia” nella condivisione di vita 24 ore su 24, gomito a gomito, con gli scartati della società, protagonisti nella storia della salvezza.