“In Myanmar il Papa vedrà il capo dell'esercito”

Myanmar

Sabato mattina l'arcivescovo di Yangon, cardinale Charles Maung Bo, è stato ricevuto dal Papa che la sera di domenica prossima volerà in Myanmar. In Terris ha incontrato il porporato nella residenza di Maria Bambina, accanto al colonnato di San Pietro, prima che ripartisse. Il card. Bo ci ha mostrato le foto dell'udienza con Francesco e poi ci ha consegnato i tre punti di cui ha parlato con il Papa: la questione del termine Rohingya, che ha suggerito di non usare perché “è contestato storicamente e culturalmente”; l'opportunità di un incontro con il capo dell'esercito; infine, la necessità di vedere informalmente i leader religiosi cristiani, musulmani (anche quelli del Rakhine), indù e buddisti. Un incontro con circa 15 guide spirituali che è stato proposto al Papa per il 28 novembre alle 10, prima della S. Messa, con lo scopo di esortarli a lavorare per la pace i Kachin, Shan e Rakhine.

Può dirci nel dettaglio di cosa ha parlato al Papa?

“Esattamente di questi tre punti. Uno, due e tre. Il Papa ha risposto sì ha tutto. Ha detto di essere molto contento. Sono stato per circa mezz'ora con lui. Il S. Padre capisce tutto. Ha ascoltato tutto quello che avevo da dire, ogni singolo tema, ha capito tutto, e seguirà esattamente tutto quello che ho suggerito. Sa, il secondo punto…”

Il secondo punto. Cosa si intende? Perché un incontro con l’esercito?

“È il generale… e avrà un incontro privato con il generale nella casa del vescovo, dove si incontreranno per circa mezz'ora. Non è che noi incoraggiamo cosa il generale abbia fatto, ma il Papa lo consiglierà di andare avanti, di lavorare per la pace, e di avere comprensione per le diverse etnie che abbiamo in Myanmar”.

L’incontro dunque è confermato?

“Sì, ci sarà, prima che il Papa parta, gli parlerà per circa mezz'ora”.

Cosa intende quando afferma, nel secondo punto, che “la Chiesa ha l’accesso al militare”? Significa che ora avete un ordinario militare?

Negli ultimi sessanta anni, la Chiesa e i militari non hanno avuto praticamente alcuna comunicazione. Ma ora abbiamo cominciato ad avere delle comunicazioni con il generale, e speriamo che questo favorisca una comprensione e il lavoro per la pace nella nazione”.

Cosa può fare l’Occidente per aiutare concretamente il processo democratico in Birmania?

“Comprendere almeno che ci sono due governi in Myanmar, e quello militare è molto potente, mentre il governo civile è molto debole. Come ho spiegato al S. Padre, l'esercito è parte del governo, i tre ministeri più importanti sono nelle loro mani. Il 25% del parlamento è occupato da loro. L’Occidente è stato molto caustico, molto forte nel dare un giudizio e muovere forti critiche nei confronti di Aung San Suu Kyi. Ma dovrebbe capire di più cosa significa avere a che fare con i militari. L’Occidente dovrebbe comprenderla e supportarla nel percorso della democrazia. Sta facendo del suo meglio perché ci sia più collaborazione con i militari, con il governo”.

Quanto scrive nei punti al Papa che ci sono tanti musulmani “non Rohingya”, intende che i Rohingya non sono pacifici?

“Intendo che in generale ci sono tanti musulmani che vivono pacificamente tra la popolazione birmana. Il 6% della popolazione è musulmano. La questione dei Rohingya è molto contestata. Ma sono tutti nello Stato Islamico di Rakhine”.

Quale è il rapporto dei cattolici con le altre comunità religiose?

“Sono già cinquecento anni che il cattolicesimo è lì. Nel passato abbiamo avuto dei contatti con la comunità buddista e con quella islamica. È molto buono che non abbiamo una grande comunità cattolica, così è più difficile entrare in conflitto con qualunque altro gruppo. E tutte le altre confessioni si riferiscono alla cattolica come una sorta di catalizzatore tra le comunità religiose e il governo”.

Ci sono altre minoranze etniche sotto attacco, come gli Shanh, ma queste non hanno l’attenzione che catturano i Rohingya. Perché?

Nel nostro puzzle ci sono minoranze come Chin, Kahn, Shanh, e sono sempre in conflitto con i militari, e hanno sofferto molto. I media sono stati molto deboli nel raccontarlo. Ci sono persone sfollate nella nazione, ma nessuno parla di loro. E invece i Rohingya, che sono musulmani, hanno media islamici come al Jazeera e altri provenienti dall’Arabia Saudita che fanno un gran rumore. Certo, tutti soffrono degli stessi problemi, ma i media occidentali sono molto forti nel denunciare il problema dei Rohingya”.

E perché non si parla delle altre minoranze cristiane?

“Le altre minoranze cristiane stanno soffrendo, nel senso che la maggioranza di loro sono gruppi etnici ma sono cittadini del Myanmar (secondo una legge di cittadinanza del 1982, i Rohingya non sono considerati cittadini birmani, ndr), mentre i Rohingya si muovono su e giù con Bangladesh, India e Malesia, sono persone senza Stato. Questo è un problema da risolvere, con una combinazione di dialogo e di relazioni, perché si trovi una soluzione”.

Cosa vi aspettate dalla visita del Papa?

“Il Papa parlerà soprattutto di musulmani dallo Stato di Rakhine – questo è come si possono definire, più che Rohingya – e di gruppi di altre minoranze che soffrono, e parlerà della necessità di lavorare per la pace, riferendosi sia ai militari che ai gruppi etnici, e di partecipare alla conferenza di pace della nazione. Il Papa parlerà anche della conferenza di pace, e anche dei temi ambientali, dell’uso equo delle risorse naturali. Il tema del viaggio è 'amore e pace'. Quindi, amore tra le differenti religioni; amore tra i differenti gruppi etnici; e pace specialmente con i militari e per i differenti gruppi etnici”.

A cosa si riferisce quando parla di conferenza di pace?

“La conferenza di pace è un tavolo guidato da Aung San Suu Kyi. Hanno finito il primo, e il secondo. Molti di questi gruppi etnici non stanno partecipando. Ci sono già stati due incontri, e li stanno promuovendo così avremo maggiore comprensione tra le persone”.