IN COENA DOMINI: “PREGATE PERCHE’ IL SIGNORE LAVI LE MIE SPORCIZIE”

Si è tenuta oggi, presso la casa circondariale Nuovo Complesso Rebibbia di Roma, la Messa “in coena Domini” presieduta da Papa Francesco. Con la celebrazione del Giovedì Santo il Pontefice ha iniziato il triduo pasquale. Nel corso di una breve omelia a braccio, Bergoglio ha chiesto ai 300 detenuti presenti di pregare “perché il Signore lavi anche le mie sporcizie”. Jorge Mario Bergoglio ha poi lavato i piedi a dodici detenuti, partendo da una ragazza nigeriana, visibilmente commossa, che teneva in braccio il figlio di pochi anni.

Al suo arrivo, poco dopo le 17, Papa Francesco, accompagnato dall’anziano cappellano, don Sandro Spriano, tra gli applausi ha salutato e abbracciato uno a uno i trecento detenuti che lo attendevano nel cortile, oltre ai rappresentanti della polizia penitenziaria, dell’amministrazione, dei volontari e ai cappellani. Presenti con il Papa il cardinale vicario per Roma Agostino Vallini e il sostituto della Segreteria di Stato monsignor Angelo Becciu. “Ringrazio tutti voi per l’accoglienza tanto calorosa e sentita, grazie tante!”, ha detto Francesco al microfono prima di entrare nell’Istituto.

“Questo giovedì Gesù era a tavola con i discepoli celebrando la festa della Pasqua”, ha detto il Papa nell’omelia nella cappella Padre Nostro del carcere, durante una Messa alla quale hanno partecipato 150 donne detenute, di cui 15 mamme con i bambini, e 150 uomini detenuti.

“Il brano del Vangelo che abbiamo sentito dice una frase che è proprio il centro di quello che ha fatto Gesù per tutti noi: avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine. Gesù ci amò. Gesù ci ama. Ma senza limite, sempre, fino alla fine. L’amore di Gesù per noi non ha limiti, sempre di più, sempre di più. Non si stanca di amare nessuno. Ama tutti noi, al punto di dare la vita per noi, sì, dare la vita per noi, dare la vita per ognuno di noi, e ognuno di noi può dire: dare la vita per me”.

“A ognuno ha dato la vita, per te, per te, per me. Per ognuno, con nome e cognome, il suo amore è personale. L’amore di Gesù non delude mai, perché lui non si stanca di amare. Come non si stanca di perdonare. Non si stanca di abbracciarci. Questa è la prima cosa che volevo dirvi. Gesù ci amò a ognuno di noi sino alla fine. E poi – ha proseguito il Papa – fa ciò che i discepoli non capivano: lavare i piedi. In quel tempo era uso, era un’abitudine, perché la gente quando arrivava a una casa aveva i piedi sporchi della polvere del cammino, non c’erano i sampietrini in quel tempo”.

“E all’entrata della casa, si lavava i piedi. Ma questo non lo faceva il padrone della casa: lo facevano gli schiavi, era lavoro di schiavi. E Gesù lava come schiavo i nostri piedi. Piedi dei discepoli. E per questo quello che io faccio tu ora non lo capisci, dice a Pietro, lo capirai dopo. È tanto l’amore di Gesù che si è fatto schiavo per servirci, per guarirci, per pulirci. Oggi, in questa messa, la Chiesa vuole che il sacerdote lavi i piedi di dodici persone, in memoria dei dodici apostoli. Ma nel cuore nostro dobbiamo avere la certezza, dobbiamo essere sicuri che il Signore quando ci lava i piedi, ci lava tutto, ci purifica. Ci fa sentire un’altra volta il suo amore”.

“Nella Bibbia c’è una frase, nel profeta Isaia, tanto bella: può una mamma dimenticarsi del suo figlio? Se una mamma si dimenticasse del suo figlio, io mai mi dimenticherò di te. Così è l’amore di Dio per me. E io laverò oggi i piedi di dodici di voi. Ma in questi fratelli e sorelle sono tutti voi, tutti, tutti quelli che abitano qui. Voi rappresentate loro. Ma anche io ho bisogno di essere lavato dal Signore, e per questo pregate durante questa messa perché il Signore lavi anche le mie sporcizie, perché io diventi più schiavo di voi, più schiavo nel servizio della gente, come è stato Gesù”.

Conclusa l’omelia Papa Francesco ha lavato e baciato i piedi a dodici carcerati – due detenute nigeriane, una congolese, due italiane, una ecuadoregna, n brasiliano, un nigeriano e quattro italiani – inginocchiandosi, con l’aiuto di due cerimonieri, davanti a ognuno di loro, a partire da una giovane detenuta nigeriana con in braccio il figlio di pochi anni, al quale ha pure accarezzato i piedi.

Al momento delle preghiere finali don Spriano, il cappellano del carcere, ha ricordato il detenuto che si è suicidato lo scorso 28 marzo, pregando in particolare per “l’amico che è morto pochi giorni fa in questo carcere”. Francesco prima di lasciare la cappella ha salutato e abbracciato i detenuti ed è stato salutato da un lungo applauso.

Francesco è il terzo pontefice a visitare Rebibbia, dopo Giovanni Paolo II che nel 1983 abbracciò il suo attentatore Alì Agca e Benedetto XVI che visitò l’Istituto nel 2011. Per la Messa del Giovedì santo dell’anno scorso il Papa aveva scelto l’istituto per disabili Don Gnocchi e il primo anno, aveva celebrato la messa «in coena Domini» nel carcere minorile di Casal del Marmo.