Il Santo Padre incontra i gesuiti: “Consolazione, compassione e discernimento”

Un Papa gesuita per la prima volta alla Congregazione generale della Compagnia. Dopo l’udienza concessa la scorsa settimana al nuovo preposito padre Arturo Sosa, questa mattina il Pontefice si è recato nella Curia dei gesuiti, a Borgo Pio, per incontrare i suoi confratelli riuniti nel massimo organo di governo dell’ordine. Non si tratta di un evento straordinario ma di una prassi abituale che serve a “fare memoria di quel legame speciale che lega la Compagnia di Gesù al capo della Chiesa in virtù del quarto voto – l’obbedienza diretta al sommo pontefice – fortemente voluto da Ignazio e dai primi compagni nel momento della fondazione della Compagnia”. Ma è chiaro che tra i padri c’è stata grande emozione nell’accogliere un Papa che appartiene al loro stesso ordine. “L’incontro con il Pontefice non è soltanto un momento di saluto ai congregati, bensì parte integrante della sessione della congregazione” ha sottolineato padre Sosa, in quanto “sorgente di ispirazione e discernimento per i delegati che stanno riflettendo sugli orientamenti prossimi della Compagnia universale”.

Come ha commentato a caldo il direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, il discorso del Papa “assume per la Compagnia un valore davvero forte, speciale. Ma prima ancora del suo discorso, è la stessa presenza del Papa ad avere un valore estremamente significativo, anche per le sue modalità inusuali: un’udienza che si è protratta per ore di incontro libero e spontaneo in un clima aperto e disteso”. Francesco ha voluto partecipare ai lavori fin dalla preghiera iniziale, durante la quale è stato ricordato il gesuita olandese Franz van de Lugt – “pastore del suo gregge” – assassinato a Homs in Siria il 7 aprile 2014, essendosi rifiutato di lasciare la città assediata. Poi il S. Padre ha rivolto ai padri un discorso, in spagnolo, piuttosto articolato, iniziato con le “parole finali che ci disse il Beato Paolo VI alla conclusione della nostra XXXII Congregazione Generale: «Così, così, fratelli e figli. Avanti, in Nomine Domini. Camminiamo insieme, liberi, obbedienti, uniti nell’amore di Cristo, per la maggior gloria di Dio»”. Incoraggiamenti ripetuti anche da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. “Camminare insieme – liberi e obbedienti – camminare andando alle periferie dove gli altri non arrivano”: così il Papa ha riassunto la missione dei gesuiti. Una libertà che si traduce nel mantenere fermo ciò che è “necessario e sostanziale” mentre tutto il resto è in divenire. Un modo di vedere le cose di S. Ignazio, ha detto il Papa, che “mi piace molto (…) perché toglie la Compagnia da tutte le paralisi e la libera da tante velleità”. “Il camminare, per Ignazio, non è un mero andare vagando – ha proseguito Francesco – ma si traduce in qualcosa di qualitativo: è “profitto” e progresso, è andare avanti, è fare qualcosa in favore degli altri”. Il giovamento che deriva da questo cammino non è individualistico, bensì comune.

Il Papa ha poi sviluppato la sua riflessione su questo “cammino” partendo da un’affermazione di padre Nadal, uno dei primi gesuiti: “La Compagnia è fervore”. “Per ravvivare il fervore nella missione di giovare alle persone nella loro vita e nella dottrina, desidero concretizzare queste riflessioni in tre punti che (…) hanno a che fare con la gioia, con la Croce e con la Chiesa, nostra Madre, e hanno l’obiettivo di fare un passo avanti”. Il primo punto, secondo Francesco, è che “si può sempre fare un passo avanti nel chiedere insistentemente la consolazione”. “E’ compito proprio della Compagnia – ha aggiunto – consolare il popolo fedele e aiutare con il discernimento affinché il nemico della natura umana non ci sottragga la gioia: la gioia di evangelizzare, la gioia della famiglia, la gioia della Chiesa, la gioia del creato… Che non ce la rubi né lo scoraggiamento di fronte alla grandezza dei mali del mondo e ai malintesi tra coloro che si propongono di fare il bene, né ce la rimpiazzino le gioie fatue che sono sempre a portata di mano in qualsiasi negozio”. Un “servizio della gioia e della consolazione spirituale” che “è radicato nella preghiera” perché “il gesuita è un servitore della gioia del Vangelo” che “lo porta ad uscire verso tutte le periferie”. Un altro passo è rappresentato dal lasciarsi “commuovere dal Signore posto in croce, da Lui in persona e da Lui presente in tanti nostri fratelli che soffrono – la grande maggioranza dell’umanità! Il Padre Arrupe diceva che dove c’è un dolore, là c’è la Compagnia. Il Giubileo della Misericordia è un tempo propizio per riflettere sui servizi della misericordia. Lo dico al plurale perché la misericordia non è una parola astratta ma uno stile di vita, che antepone alla parola i gesti concreti che toccano la carne del prossimo”. Lontano da “formulazioni astratte e condizioni legalistiche” che annacquano l’”esperienza della misericordia”, Dio “ci invia per far giungere con tutta la sua efficacia la stessa misericordia ai più poveri, ai peccatori, agli scartati e ai crocifissi del mondo attuale che soffrono l’ingiustizia e la violenza”. Infine, occorre “compiere il bene di buon animo, sentendo con la Chiesa, come dice Ignazio”. Spiega il Papa: “Questa grazia di discernere che non basta pensare, fare o organizzare il bene, ma bisogna compierlo con buon spirito, è quello che ci radica nella Chiesa”. “Il servizio del buon animo e del discernimento ci fa essere uomini di Chiesa – non clericali, ma ecclesiali – uomini “per gli altri”, senza alcuna cosa propria che isoli ma – ha concluso Francesco – mettendo in comunione e al servizio tutto ciò che abbiamo”.