IL PONTEFICE AI RELIGIOSI CUBANI: “INCONTRARE GESÙ ‘BRUCIANDO’ LA PROPRIA VITA COI PICCOLI”

La tenerezza e la misericordia di Dio si manifestano nel sorriso di uno spastico, come “quando ti vogliono dare un bacio e ti sbavano sulla faccia”. Sono queste alcune delle parole pronunciate da Papa Francesco durante i vespri recitati con sacerdoti, religiosi e seminaristi nella cattedrale dell’Immacolata Concezione e San Cristóbal a L’Avana. Precedentemente il vescovo di Roma aveva compiuto un fuori programma recandosi presso la Chiesa del la Reina, una parrocchia retta dai Gesuiti. Ancora prima aveva incontrato il presidente cubano Raul Castro nel Palacio de la Revolucion per un colloquio privato durato circa 50 minuti. Il Santo Padre ha donato al premier un mosaico della Virgen de la Caridad del Cobre.

La riflessione del Santo Padre in cattedrale è scaturita dall’ascolto della testimonianza di una religiosa che opera in una “casa di misericordia” a favore dei disabili. Il successore di Pietro non ha letto il discorso che aveva preparato, ma ha parlato a braccio. Ha osservato che “bruciare” la propria vita “così, con questo materiale di scarto agli occhi del mondo” significa parlare “di Gesù che per pura misericordia del Padre si è fatto nulla, si è annullato”. “Questa gente a cui dedichi la tua vita – ha continuato – imita Gesù… non perché l’hanno voluto, ma perché il mondo li ha fatti così. Sono niente, vengono nascosti, non vengono mostrati, non vengono visitati… e se si può, e se c’è tempo, vengono rimandati indietro”.

Rivolgendosi poi ai sacerdoti ha affermato che “il più piccolo”, “l’ultimo”, “quello che mostra la misericordia del Padre” è la persona che il presbitero incontra nel confessionale. “Per favore non lo sgridare – ha continuato – non lo castigare… se non avete peccati scagliate la prima pietra, ma soltanto a quella condizione! Tu potenzialmente potresti arrivare anche più in basso!”. “Per favore non stancatevi di perdonare, siate ‘perdonatori’”, ha soggiunto.

Oggi il programma della visita pastorale di Papa Francesco prevede la partenza in aereo per la città di Holguín dove alle 10.30 (le 16.30 a Roma) officerà la liturgia eucaristica nella Plaza de la Revolución. A seguire benedirà la città dalla Loma de la Cruz per poi partire – nuovamente in areo – alla volta di Santiago. Alle 19 incontrerà i vescovi nel Seminario San Basilio, mentre alle 19.45 presiederà la preghiera alla madre di Dio nella Basilica minore del Santuario della “Virgen de la Caridad del Cobre”.

Si riporta di seguito il discorso ufficiale, preparato per i vespri, che il Papa ha consegnato e dato per letto.

Ci siamo riuniti in questa storica Cattedrale di La Habana per cantare con i salmi la fedeltà di Dio verso il suo Popolo, e ringraziarlo per la sua presenza e la sua infinita misericordia. Fedeltà e misericordia fatte memoria non solo nelle mura di questa casa, ma anche in alcuni che hanno i “capelli bianchi”, un ricordo vivente, attualizzato, del fatto che “infinita è la sua misericordia e la sua fedeltà dura in eterno”. Fratelli, ringraziamo insieme il Signore!

Ringraziamo per la presenza dello Spirito con la ricchezza dei diversi carismi nei volti di tanti missionari che sono venuti in queste terre, diventando cubani tra i cubani, segno dell’eterna misericordia del Signore.

Il Vangelo ci presenta Gesù in dialogo con il Padre, ci pone nel centro dell’intimità tra il Padre e il Figlio divenuta preghiera. Quando si avvicinava la sua ora, Gesù pregò il Padre per i suoi discepoli, per quelli che stavano con Lui e per quelli che sarebbero venuti (cfr Gv 17,20). Ci fa pensare il fatto che, nella sua ora cruciale, Gesù ponga nella sua preghiera la vita dei suoi, la nostra vita. E chiede al Padre che li mantenga nell’unità e nella gioia. Gesù conosceva bene il cuore dei suoi, conosce bene il nostro cuore. Perciò prega, chiede al Padre che non li prenda una coscienza che tende ad isolarsi, a rifugiarsi nelle proprie certezze, sicurezze, nei propri spazi, a disinteressarsi della vita degli altri, chiudendosi in piccole “aziende domestiche”, che rompono il volto multiforme della Chiesa. Situazioni che sfociano nella tristezza individualista, in una tristezza che a poco a poco lascia spazio al risentimento, alla continua lamentela, alla monotonia; «questo non è il desiderio di Dio per noi, questa non è la vita nello Spirito» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 2) alla quale Lui vi ha chiamato, alla quale ci ha chiamato. Per questo Gesù prega, chiede che la tristezza e l’isolamento non prevalgano nel nostro cuore. E noi vogliamo fare lo stesso, vogliamo unirci alla preghiera di Gesù, alle sue parole per dire insieme: «Padre, custodiscili nel tuo nome … perché siano una sola cosa, come noi» (Gv 17,11) «e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).

Gesù prega e ci invita a pregare perché sa che ci sono cose che possiamo ricevere solamente come dono, cose che possiamo vivere solo come un regalo. L’unità è una grazia che può darci solo lo Spirito Santo, a noi spetta chiederla e mettere a disposizione il meglio di noi stessi per essere trasformati da questo dono.

E’ frequente confondere unità con uniformità, con un fare, sentire e dire tutti le stesse cose. Questo non è unità, ma omogeneità. Questo significa uccidere la vita dello Spirito, uccidere i carismi che Egli ha distribuito per il bene del suo Popolo. L’unità si vede minacciata ogni volta che vogliamo rendere gli altri a nostra immagine e somiglianza. Per questo l’unità è un dono, non è qualcosa che si possa imporre a forza o per decreto. Sono lieto di vedervi qui, uomini e donne di diverse generazioni, contesti, esperienze di vita differenti, uniti per la preghiera in comune. Chiediamo a Dio che faccia crescere in noi il desiderio di prossimità. Che possiamo essere prossimi, stare vicini, con le nostre differenze, propensioni, stili, però vicini. Con le nostre discussioni, le nostre “litigate”, parlando di fronte e non alle spalle. Che siamo pastori vicini al nostro popolo, che ci lasciamo mettere in discussione, interrogare dalla nostra gente. I conflitti, le discussioni nella Chiesa sono auspicabili e, oserei dire, addirittura necessarie. Segno che la Chiesa è viva e lo Spirito continua ad agire e continua a renderla dinamica. Guai a quelle comunità dove non c’è un sì o un no! Sono come quegli sposi che non discutono più perché hanno perso l’interesse, hanno perso l’amore.

In secondo luogo, il Signore prega perché noi siamo riempiti della stessa “gioia perfetta” che Egli possiede (cfr Gv 17,13). La gioia dei cristiani, e specialmente dei consacrati è un segno molto chiaro della presenza di Cristo nella loro vita. Quando ci sono volti tristi è un segnale di allarme, di qualcosa che non va bene. E Gesù fa questa richiesta al Padre nientemeno che prima di recarsi all’orto degli ulivi, quando deve rinnovare il suo “fiat”. Non dubito che tutti voi dobbiate portare il peso di non pochi sacrifici e che per alcuni, da decenni, i sacrifici siano stati duri. Gesù prega, anch’Egli a partire dal suo sacrificio, perché noi non perdiamo la gioia di sapere che Egli vince il mondo. Questa è la certezza che ci spinge giorno dopo giorno a riaffermare la nostra fede. «Egli – con la sua preghiera, sul volto del nostro Popolo – ci permette di alzare la testa e ricominciare, con una tenerezza che mai ci delude e che sempre può restituirci la gioia» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 3).

Quanto è importante, che preziosa testimonianza per la vita del popolo cubano è quella di irradiare sempre e dappertutto questa gioia, nonostante le stanchezze, gli scetticismi, a volte anche la disperazione, che è una tentazione molto pericolosa che atrofizza l’anima!