Il Papa: “Una fede ridotta a formule è miope”

Chi è Gesù?”. E' questa la domanda che, spiega Papa Francesco durante l'Angelus in Piazza San Pietro, attraversa tutto il Vangelo di Marco. In un passaggio, però, è Gesù stesso a rivolgerla ai discepoli, interrogandoli (e aiutandoli in questo) sul mistero della sua ddentità. Prima, però, “Gesù vuole sentire da loro che cosa pensa di Lui la gente”, scoprendo che dal popolo è “considerato un grande profeta”. Non si tratta di un sondaggio, “a lui non interessano le chiacchiere della gente” e anche dai discepoli “non accetta risposte con formule preconfezionate, citando personaggi famosi della Sacra Scrittura, perché una fede che si riduce alle formule è una fede miope”.

La rivelazione

Nessuna risposta “standard” o frase fatta: il Signore “vuole che i suoi discepoli di ieri e di oggi instaurino con Lui una relazione personale, e così lo accolgano al centro della loro vita. Per questo li sprona a porsi in tutta verità di fronte a sé stessi, e chiede: 'Ma voi, chi dite che io sia?'”. Una richiesta “diretta e confidenziale”, che Gesù rivolge a ognuno di noi che, a nostra volta, siamo chiamati a rispondere con il cuore “lasciandoci illuminare dalla luce che il Padre ci dà per conoscere il suo Figlio Gesù. E può accadere anche a noi, come a Pietro, di affermare con entusiasmo: 'Tu sei il Cristo'”. Gesù, però, rivela ai suoi discepoli che “la sua missione si compie non nella strada larga del successo, ma nel sentiero arduo del Servo sofferente, umiliato, rifiutato e crocifisso”. E allora “può capitare anche a noi, come a Pietro, di protestare e ribellarci perché questo contrasta con le nostre attese. In quei momenti, anche noi meritiamo il salutare rimprovero di Gesù”.

Una regola fondamentale

Questo perché, spiega il Pontefice, “la professione di fede in Gesù Cristo non può fermarsi alle parole, ma chiede di essere autenticata da scelte e gesti concreti, da una vita improntata all’amore di Dio e del prossimo. Gesù ci dice che per seguire Lui, per essere suoi discepoli, bisogna rinnegare sé stessi, cioè le pretese del proprio orgoglio egoistico, e prendere la propria croce”. Ed è proprio Gesù a consegnarci una fondamentale: “'Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà'. Per capire questo paradosso, bisogna ricordare che la nostra più profonda vocazione è l’amore, perché siamo fatti a immagine di Dio che è Amore. Spesso nella vita, per tanti motivi, sbagliamo strada, cercando la felicità nelle cose, o nelle persone che trattiamo come cose. Ma la felicità – ha concluso -la troviamo soltanto quando l’amore, quello vero, ci incontra, ci sorprende, ci cambia. Lo dimostrano le testimonianze dei santi”.

Il grazie e il dono

Al termine dell'Angelus, Papa Francesco ha ricordato la giornata trascorsa ieri a Palermo, ringraziando “tutto il meraviglioso popolo di questa bellissima terra di Sicilia, per la loro calorosa accoglienza. L'esempio e la testimonianza di don Puglisi continuino ad illuminare tutti noi e a darci conferma che il bene è più forte del male, l’amore è più forte dell’odio. Il Signore benedica voi siciliani e la vostra terra”. E fa un dono a tutti i presenti in Piazza San Pietro, un crocifisso: “E' il segno dell’amore di Dio, che in Gesù ha dato la vita per noi. Vi invito ad accogliere questo dono e a portarlo nelle vostre case, nella camera dei vostri bambini, o dei nonni… In qualsiasi parte, ma che si veda nella casa. Non è un oggetto ornamentale, ma un segno religioso per contemplare e pregare. Guardando Gesù crocifisso, guardiamo la nostra salvezza. Non si paga niente”.