Il Papa nel Giappone degli ultimi

Proteggere ogni vita” è il motto della visita di Papa Francesco in Giappone. La spiritualità e la filosofia shintoiste portano con sé una millenaria tradizione che dà tanto valore alla vita, ma il Papa sa bene di lambire una terra dove l'ombra del disagio sociale tocca punte di estrema violenza. Il Giappone è, infatti, il Paese con il più alto tasso di suicidi al mondo: 1 ogni 15 minuti, secondo i dati del governo riportati dal Sir. Da anni la parola “suicidio” in Giappone è entrata nel lessico quotidiano, soprattutto fra i più giovani. In alcune fermate della metro di Tokyo sono installate alte barriere di cemento per scongiurare i pendolari dal togliersi la vita e – dato raccapricciante – nelle scuole si trovano sovente avvisi che invitano gli studenti a “non buttarsi sotto i treni in determinati orari” di sovraffollamento. 

L'altra faccia delle città

È il lato oscuro di Tokyo, una città popolata da oltre 30 milioni di abitanti e con servizi puntualissimi: segno che, malgrado tutto, nella “giungla urbana” aumentano gli scarti della società della globalizzazione. Papa Francesco lo sa bene: il Pontefice delle periferie è stato arcivescovo di una megalopoli altrettanto complessa come Buenos Aires. Ha vissuto, dunque, in prima linea il sovraffollamento di quelle città plasmate su una “cultura dello scarto”, simbolo di una modernità così contraddittoria da perdere la bussola dell'umanità. Nell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, il Pontefice invita la Chiesa del nuovo millennio a  considerare la città quale “luogo privilegiato della nuova evangelizzazione”, ma il suo “magistero metropolitano” si radica nella città porteña da dove, allora arcivescovo, denunciava la cultura dello scarto, la disattenzione per gli esclusi e, soprattutto, l'indifferenza verso gli ultimi, gli abbandonati. In Giappone, la fine della Seconda Guerra Mondiale e dell'ostilità statunitense hanno indotto il Paese a puntare sullo sviluppo economico, anche a discapito di un'idea comunitaria della società, che è stata sempre presente nelle famiglie nipponiche. Si può dire che il capitalismo senza freni ha fatto a pezzi le relazioni interpersonali e la solitudine di molti giapponesi è l'esito di tale politica. Il libro Chō kodoku-shi shakai di Kumiko Kanno è la tragica radiografia di un Paese dove la pressione economica e sociale tendono sempre più a svalutare la stessa vita.

Tra hikikomori kodoku-shi

I primi ad essere svalutati sono i giovani. Lo ha ricordato poco fa lo stesso Pontefice nel discorso ai vescovi nipponici: “L'aumento del numero di suicidi nelle vostre città, così come il bullismo (ijime) e varie forme di auto-esigenza, stanno creando nuovi tipi di alienazione e disorientamento spirituale. Quanto tutto ciò colpisce soprattutto i giovani! Vi invito a prestare particolare attenzione a loro e ai loro bisogni, a cercare di creare spazi in cui la cultura dell'efficienza, della prestazione e del successo possa aprirsi alla cultura di un amore gratuito e altruista, capace di offrire a tutti, e non solo a quelli 'arrivati', possibilità di una vita felice e riuscita” ha detto il Papa. Egli sa bene che, nei luoghi dove si sviluppano tecnologie sempre più avanzate, si protrae una manifestazione antica di disagio: si tratta dell'hikikomori, la scelta dei giovani e neet di isolarsi dal mondo fino ai casi estremi di suicidio. Su 127 milioni di abitanti, circa 500.000 giapponesi praticano l'hikikomori. Nel dizionario cinese, un'altra parola descrive il dramma del disagio sociale: è kodoku-shila scelta degli adulti di auto-recludersi e lasciarsi andare alla trascuratezza totale. Sono individui solitari che, dopo aver subìto fallimenti di vario tipo (perdita del lavoro, fine di una relazione sentimentale), decidono di chiudersi nella propria abitazione ed isolarsi dal mondo. Questa tendenza al self-neglect raggiunge esiti raccapriccianti, con uomini e donne che si lasciano morire e vengono scoperti soltanto per gli odori prodotti dalla loro decomposizione. Il governo nipponico stima che circa 10 milioni di persone sono a rischio di isolamento sociale, hanno cioè scarsissimi rapporti con altri esseri umani.

 A Tokyo, Francesco porta con sé la sua esperienza di arcivescovo, prima di tutto: in fondo, chiede che si abbia coscienza della realtà della città perché si possa vivere, agire e dialogare restando aperti alla speranza e al bene comune.