Francesco: “L'America latina è laboratorio di dialogo”

Francesco lo dice con la sua consueta naturalezza: “Il dialogo interreligioso è un fatto comune e naturale in Argentina. Ho frequentato la scuola pubblica statale, tranne l’ultimo anno delle elementari quando per una malattia di mia madre fui mandato coi miei fratelli in un collegio salesiano”, racconta Jorge Mario Bergoglio e aggiunge: “Nella scuola pubblica statale, in quasi tutte le classi c’erano tre o quattro amici ebrei, e li chiamavano: “Ehi tu, russo!”. O qualche dicevamo: “Ehi tu, turco!”. Questo succedeva molto di più nella regione del nordest, che scherzando noi chiamavamo “Turkestan”, per il grande numero di immigrati dal Medio Oriente, e siccome arrivavano con il passaporto dell’impero ottomano, li chiamavamo tutti “turchi”. Vivevamo insieme. Rispetto al dialogo interreligioso, si trattava di un fatto del tutto naturale”.

 

Contro la cultura dello scarto

La casa editrice cattolica San Paolo ha appena pubblicato in un denso volume a domande-risposte di 187 pagine un’intervista rilasciata da Francesco, il primo pontefice latinoamericano. E’ la prima intervista interamente sul suo continente e per questo il volume si intitola “America latina”. Papa Bergoglio parla, con la schiettezza e la libertà che lo contraddistinguono, dei temi più importanti del suo Pontificato: la cura dell’ambiente, la politica, la corruzione, il populismo, i giovani, le donne, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso… Riflette sulle sfide che l’America Latina è chiamata ad affrontare, sulle gravi crisi economiche e politiche e sul ruolo del Vaticano. Non si sottrae alle questioni più spinose, come il crescente influsso di un sistema finanziario che scarta i poveri e i più deboli. Sul tema dell’ambiente, riferendosi al Sinodo straordinario per l’Amazzonia, papa Francesco rivela che ha pensato di scrivere l’Enciclica Laudato si’ quando ha sorvolato in elicottero la Terra dei fuochi e ha visto lo scempio procurato dalla mano dell’uomo. Queste conversazioni con il giornalista Hernán Reyes Alcaide ci mostrano un Papa lucido, schietto e profondo. L’intervistatore, Hernan Reyes Alcaide è nato nel quartiere portuale di La Boca (Buenos Aires) nel 1983, è corrispondente dell’agenzia argentina Télam per il Vaticano. Ha pubblicato articoli sui quotidiani El Observador e L’Osservatore Romano e sulla rivista di analisi politica El Estadista. Jorge Mario Bergoglio è nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, figlio di emigranti piemontesi. Perito chimico, a 21 anni entra come novizio nella Compagnia di Gesù. Laureato in filosofia, il 13 dicembre 1969 viene ordinato sacerdote. Prosegue quindi la preparazione tra il 1970 e il 1971 in Spagna, e il 22 aprile 1973 emette la professione perpetua. Di nuovo in Argentina, il 31 luglio 1973 viene eletto provinciale dei gesuiti argentini. Il 20 maggio 1992 è nominato vescovo titolare di Auca e ausiliare di Buenos Aires. Il 3 giugno 1997 è promosso arcivescovo coadiutore di Buenos Aires. Passati neppure nove mesi, alla morte del cardinale Quarracino gli succede, il 28 febbraio 1998, come arcivescovo, primate di Argentina, ordinario per i fedeli di rito orientale residenti nel Paese. Nel Concistoro del 21 febbraio 2001 viene creato cardinale da Giovanni Paolo II. Il 13 marzo 2013 è eletto Papa con il nome di Francesco. In America Latina la  battaglia di Jorge Mario Bergoglio gli ha guadagnato la stima dei leader del movimento per i diritti umani, come Alicia de Oliveira, e il rispetto delle madri di Plaza de Mayo, durissime nei confronti della gerarchia cattolica. Bergoglio non si è mai piegato ai caudillos, militari o politici, che si sono alternati alla guida dell’Argentin. Condivide l’impostazione politica del suo predecessore, l’arcivescovo emerito di Buenos Aires Antonio Quarracino, non lontano dall’ala popolare dei peronisti. 

Dalla parte degli esclusi

La sua biografia offre spunti di comprensione per la “rivoluzione” che sta realizzando sul Soglio di Pietro. Bergoglio ha studiato e si è diplomato come tecnico chimico, ma poi ha scelto il sacerdozio ed è entrato nel seminario di Villa Devoto. Da arcivescovo della capitale ha vissuto l’esperienza traumatica del default del 2001, con le strade invase dal rumore assordante delle “cacerolas”. Fu accanto agli argentini che protestano contro le politiche neoliberiste e che scesero in piazza a milioni battendo sulle pentole. Erano gli anni del fallimento dell’Argentina e l’arcivescovo di Buonos Aires criticò apertamente le scelte di Nestor Kirchner, ritenendole incapaci di risolvere la crisi, anzi, colpevoli di aggravare la povertà nel quale erano confinati troppi argentini. Non appena il cardinale protodiacono Jean-Louis Touran ha annunciato al mondo il nome del nuovo Pontefice, i media argentini hanno rievocato i rapporti complicati con la famiglia Kirchner. E cioè con l’attuale presidente argentino, Cristina Fernández de Kirchner e con il suo predecessore, il marito Nestor Carlos nel 2010. In particolare il Clarin e la Nacion hanno ricordato che Nestor Kirchner definì Bergoglio il “vero rappresentante dell’opposizione”. Severo gesuita dalle sobrie abitudini, amava girare per la sua città in autobus, vestito da semplice prete. A 35 anni era già il Provinciale, cioè il capo dei gesuiti d’Argentina. Nella prova terribile della dittatura militare, Bergoglio si mosse per salvare preti e laici dai torturatori. Di lui si diceva prima del conclave: “Gli basterebbero quattro anni per cambiare le cose”. Pessimi i rapporti con Menem e Duhalde, gelidi con de la Rua (Bergoglio andò a trovarlo il 12 dicembre 2000 per avvertirlo del rischio di una rivolta popolare, scoppiata un anno dopo), freddi appunto con Kirchner, che non ha seguito tra la folla sulla piazza della Casa Rosada (la cattedrale era stracolma) la messa celebrata da Bergoglio in morte di Wojtyla. Buone invece le relazioni con Luis D’Elia e il movimento dei piqueteros: un giorno Bergoglio chiamò il ministro dell’Interno per lamentarsi della polizia che manganellava una donna inerme.