“Dio oggi si chiama anche Rohingya”

Cooperare alla formazione di una “cultura dell’incontro” e “del dialogo” al servizio della famiglia umana. E' l'appello che lancia Papa Francesco nel corso dell'Incontro Interreligioso ed Ecumenico per la Pace. Nel giardino dell'Arcivescovado di Dacca, il Pontefice, rivolgendosi ai rappresentati delle altre fedi del Bangladesh e alle oltre cinquemila persone che affollano il porticato della Curia, parla di accoglienza, di rispetto della dignità umana. Auspica uno “spirito di apertura, accettazione e cooperazione tra i credenti”: questo costituisce il “cuore pulsante” di una società “che batte con forza per contrastare il virus della corruzione politica, le ideologie religiose distruttive, la tentazione di chiudere gli occhi di fronte alle necessità dei poveri, dei rifugiati, delle minoranze perseguitate e dei più vulnerabili!”. Chiaro il riferimento alla comunità dei Rohingya, minoranza musulmana in fuga dal Myanmar. 

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Prima di partire per questo Viaggio Apostolico, il 21mo del suo pontificato, gli era stato chiesto di non pronunciare la parola Rohingya. Ma, nel corso della sua visita in Myanmar in maniera implicita, e nel suo discorso alle Autorità del Bangldesh in maniera esplicita, Papa Francesco è intervenuto sulla grave crisi umanitaria  che afflige quest'etnia, chiedendo a gran voce l'intervento dell'intera comunità internazionale, fino ad oggi rimasta in silenzio davanti alla persecuzione messa in atto dal Governo militare del Myanmar contro gli abitnati dello Stato di Rakhine. E al termine dell'Incontro Interreligioso, il Papa saluta proprio i Rohingya. Si tratta dei componenti di tre famiglie di profughi, ospitati nel campo d'accoglienza di Cox Bazar, probabilmente il più grande del Bangladesh. Dopo la preghiera per la pace, guidata dal vescovo anglicano, i 18 perseguitati salgono sul palco per salutare il Pontefice.

Dio è anche Rohingya

“La vostra tragedia è molto dura e grande, ma vi diamo spazio nel cuore. A nome di tutti quelli che vi hanno perseguitato, che vi hanno fatto del male, chiedo perdono“, dice il Papa ai profughi fuggiti dal Myanmar. “Anche questi fratelli e sorelle – aggiunge – sono l'immagine del Dio vivente”. Poi, rivolgendosi dierettamente a loro, dice: “Una tradizione della vostra religione dice che Dio ha preso dell'acqua e vi ha versato del sale, l'anima degli uomini. Noi tutti portiamo il sale di Dio dentro. Anche questi fratelli e sorelle”. I 18 Rohingya sfilano uno ad uno davanti al Pontefice. Gli raccontano le loro storie e Francesco, commosso, li ascolta abbracciandoli e stringendo loro le mani. Infine, a braccio, afferma: “Mi appello al vostro cuore grande perché sia capace di accordarci il perdono che chiediamo. Continuiamo a stare vicino a loro perché siano riconosciuti i loro diritti. Non chiudiamo il cuore, non guardiamo dall'altra parte. La presenza di Dio oggi si chiama anche Rohingya. Ognuno ha la sua risposta”.