San Giovanni Paolo II: Dio cammina nella storia sulle gambe degli uomini

La ricerca antropologica di Dio nelle vicende dell'umanità. L'umanesimo integrale del Papa mistico Karol Wojtyla

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San Giovanni Paolo II, Papa mistico e antropologo, era in costante ricerca di Dio nella storia. Quasi che il Creatore abbia “ceduto il passo”  alle creature nella comprensione delle vicende umane. A Karol Wojtyla interessavano la fede e le domande ultime sul senso della vita, per lui la Chiesa era un mezzo, non un fine. Una Chiesa impegnata a fondo nel movimento ecumenico. Con un grande sviluppo delle relazioni con le altre Chiese cristiane e con le altre religioni.  Una Chiesa che non teme le sfide della modernità. Ormai conosce bene il senso della vera laicità, dei confini tra ciò che è di Dio e ciò che è di Cesare. E se rivendica la propria identità e una presenza nella vita civile, non per questo aspira a un ritorno alla societas christiana, a un nuovo integralismo religioso.

Dio nella storia

Una Chiesa incarnata nella storia, e che si è affrancata definitivamente da ogni connivenza, da ogni compromesso con sistemi politico-economici, con ideologie. Così, adesso, può testimoniare credibilmente l’esperienza cristiana nelle diverse società. Può scendere in campo e combattere la sua “battaglia” in difesa dei diritti umani, a partire dal diritto alla vita. Una Chiesa che è immagine più trasparente e convincente dell’amore di Dio, della sua misericordia, e quindi di una fede più dentro la quotidianità della vita umana. Una Chiesa più vicina agli uomini e ai problemi degli uomini. E più coraggiosamente impegnata nella costruzione della pace, della giustizia. Nel segno della solidarietà, e di una autentica “famiglia” di popoli e di nazioni. Non era però un progetto chiuso, definitivo, né tantomeno un modello da imporre comunque e dappertutto.

L’azione dello Spirito

Giovanni Paolo II concepiva la Chiesa come frutto di ciò che lo Spirito le dice, e che, attraverso i carismi, suggerisce alle singole persone, ai gruppi, alle comunità. In altre parole, la Chiesa è espressione della fede del popolo, dell’insieme di esperienze, anche le più diverse tra di loro, anche apparentemente contraddittorie. Ma che concorrono tutte a diffondere la parola di Dio, a instaurare il suo “regno”. Ad esempio, fu papa Wojtyla a dare una poderosa spallata a quella che una volta aveva criticato come “l’antica unilateralità clericale”. Ma fu poi la “realtà” profonda del cattolicesimo, sotto l’azione dello Spirito, a emergere alla superficie. A imporre nuovi protagonisti (i giovani, i movimenti, le donne) e nuove vie. Per il passaggio da una Chiesa gerarchica, clericale, a una Chiesa più comunitaria, più laicale, più popolo di Dio.

In cerca di Dio

Ma questo progetto di Chiesa, si imbatté in forti resistenze, subì ritardi e addirittura correzioni di “rotta”, e, in genere, andò incontro a molte incomprensioni. E non sempre a causa di una vera e propria opposizione, ma anche, non di rado, per “pigrizia”, per timore delle novità. Fu quanto accadde, con diverse intensità, sia nella Curia romana, sia in non poche diocesi, e perfino in numerose parrocchie. Dove spesso (per la persistenza di un autoritarismo clericale, quello del parroco-padrone) i laici continuavano a essere esclusi da qualsiasi responsabilità. Na già Giovanni Paolo II, per primo, aveva messo in conto tutto questo. Sapeva bene come le rivoluzioni, specialmente quelle spirituali, avessero bisogno di tempi lunghi, prima di riuscire a entrare nelle coscienze e, più ancora, nelle strutture. Infatti, il Papa non si preoccupò più di tanto, quando venne a sapere dell’esistenza di un “fronte del no”. A lui importava seminare, e cioè che, nell’humus profondo del cattolicesimo, si depositasse questa immagine di una Chiesa rinnovata. Più che un uomo di governo, Wojtyla si sentiva fondamentalmente un pastore, un vescovo, e non era ossessionato dal fare-per-fare, o dal vederne subito i risultati. E allora, più che governare, a Giovanni Paolo II interessava andare alla sostanza della fede, della missione della Chiesa. Che è vivere il Vangelo, e far incontrare l’uomo con Dio. È vivere il Vangelo, e rispettare la dignità dell’“altro”, degli “altri”, qualunque sia il colore della pelle, l’origine razziale, il credo religioso, l’appartenenza politica, ideologica. “L’altro mi appartiene“, aveva scritto San Giovanni Paolo II in un suo documento.