Così papa Paolo VI salutò la Luna

Spesso nei grandi eventi la consapevolezza del peso “storico” delle azioni è offuscata dal processo e solo in un secondo momento ci si rende coscienti della sua portata. Non fu così per papa Paolo VI e tutto il mondo che, il 20 luglio 1969, seguì via cavo l'atterraggio del LEM sulla luna e la susseguente passeggiata di Neil Armstrong ed Edwin Aldrin. L'Osservatore Romano, l'organo di stampa della Santa Sede, riporta la cronistoria dettagliata di tutto l'evento, dalla discesa del LEM sulla luna a quota 15.000 metri sino al particolare – curioso, per la verità – degli arnesi, del costo complessivo di 28 milioni di lire, utilizzati dagli astronauti per scavare e prelevare campioni del suolo lunare e lasciati colà. 

Un giorno storico per l'umanità

“Oggi è un giorno grande, un giorno storico per l'umanità” esordì papa Paolo VI nel breve discorso ai fedeli convenuti a Castel Gandolfo per la recita dell'Angelus – quell'anno, il 20 luglio cadde di domenica. Non era ancora avvenuto l'allunaggio, eppure il Pontefice nutriva grandi speranze per questo sforzo dell'umanità unito al progresso scientifico tipico di quegli anni ferventi: “Noi con tutto il mondo trepidante, esultante e orante, auguriamo che ciò possa avvenire” sottolineò. Per Paolo VI, da sempre sensibile al mistero schiuso nelle applicazioni umane, lo sbarco sulla luna fu l'occasione per meditare, l'assist teologico offerto all'uomo da un cosmo con il “volto muto”, riflesso intelligibile dell'infinità di Dio : “Faremo bene a meditare sopra questo straordinario e strabiliante avvenimento; a meditare sul cosmo, che ci apre davanti il suo volto muto, misterioso, nello sconfinato quadro dei secoli innumerevoli e degli spazi misurati”. 

Che cos'è l'universo?

È come se da quell'ignoto che Armstrong e Aldrin erano in procinto di “colonizzare” idealmente scaturisse, nella mente del Pontefice, una riflessione profonda sul senso dell'uomo: “Che cos’è l’universo, donde, come, perché? Faremo bene a meditare sull’uomo, sul suo ingegno prodigioso, sul suo coraggio temerario, sul suo progresso fantastico. Dominato dal cosmo come un punto impercettibile, l’uomo col pensiero lo domina. E chi è l’uomo? Chi siamo noi, capaci di tanto? Faremo bene a meditare sul progresso. Oggi, lo sviluppo scientifico ed operativo dell’umanità arriva ad un traguardo che sembrava irraggiungibile: il pensiero e la azione dell’uomo dove potranno ancora arrivare?” Queste domande aperte, suscettibili del fascino insito nell'esplorazione stessa, per Paolo VI furono anche l'occasione per pensare ai pericoli dell'eccessiva ammirazione svuotata di aspirazione: “L’ammirazione, l’entusiasmo, la passione per gli strumenti, per i prodotti dell’ingegno e della mano dell’uomo ci affascinano, forse fino alla follia. E qui è il pericolo: da questa possibile idolatria dello strumento noi dovremo guardarci. È vero che lo strumento moltiplica oltre ogni limite l’efficienza dell’uomo; ma questa efficienza è sempre a suo vantaggio? Lo fa più buono? Più uomo? O non potrebbe lo strumento imprigionare l’uomo che lo produce e renderlo servo del sistema di vita che lo strumento nella sua produzione e nel suo uso impone al proprio padrone?” 

Il vero bene

Con queste domande, le parole del Papa srotolano l'inquietudine dell'uomo del post-Sessantotto, innervata da un progresso veloce, inimmaginabile sino a pochi anni prima. Eppure, Paolo VI non intendeva ridimensionarne la portata. Il suo messaggio era, invece, rivolto alla centralità di quell'uomo stesso: un'invito a non smarrire, nella corsa allo spazio, il fulcro costitutivo della sua passione, vale a dire il cuore: “Tutto ancora dipende dal cuore dell’uomo. Bisogna assolutamente che il cuore dell’uomo diventi tanto più libero, tanto più buono, tanto più religioso, quanto maggiore e pericolosa è la potenza delle macchine, delle armi, degli strumenti che l’uomo mette a propria disposizione”. In qualità di guida spirituale, il Pontefice richiama “il bisogno e il dovere che l'uomo ha di dominare se stesso”. Erano anni difficili, che nemmeno l'entusiasmo per l'allunaggio non sbiadì. La “festa” dell'uomo sulla luna non avrebbe potuto cancellare i drammi dello stesso sulla terra: erano gli anni della guerra in Vietnam, deii conflitti in Africa e in Medio Oriente. Nel suo equlibrato discorso, il Papa passò in rassegna tutti quei teatri di battaglia, ricordando anche “la fame che affligge intere popolazioni”. Per questo, il saluto che il Papa rivolge alla luna è il saluto a un'umanità che, attraverso “questa sublime vittoria” del progresso, possa fare memoria della sua vera missione: “rivolgersi al vero bene temporale e morale dell'umanità”.