Contro il totalitarismo con la “libertà interiore”

Una nazione non può essere libera se non è capace, in maniera privata e pubblica, di nutrire le sue tradizioni e la sua cultura, e di utilizzare i simboli che esprimono questa cultura e queste tradizioni”, sostiene il neo-porporato lituano. Sei anni fa in patria è stato insignito del “Premio della libertà”. Ora papa Francesco lo crea cardinale per il servizio reso alla “Chiesa del silenzio” d’oltrecortina durante la guerra fredda.  

Padre dell’indipendenza

Monsignor Sigitas Tamkevičius, gesuita, arcivescovo emerito di Kaunas. È nato nel 1938 a Gudonys (regione di Lazdijai). È stato ordinato sacerdote nel 1962. Ha compiuto diversi incarichi come vicario parrocchiale de Alytus, Lazdijai, Kudirkos Naumiestis, Prienai, Simnas. Nel 1968 entra alla Compagnia di Gesù. Nel 1983 fu arrestato,  10 anni di prigionia nei campi di lavoro di Perm e Mordovia per propaganda ed agitazione anti sovietica. Nel 1988 fu esiliato in Siberia fino alla sua liberazione. Nel 1990 è nominato rettore del Seminario Interdiocesano de Kaunas. Dal 1999 al 2002 e dal 2005 al 2014 l’arcivescovo è stato nominato presidente della Conferenza episcopale di Lituania. Dal 2002-2005 ha ricoperto l'incarico di vice-presidente. Nel luglio 2015, Papa Francesco ha accettato la rinuncia come arcivescovo, presentata per limiti d’età. Il suo paese, la Lituania, ha istituito una Giornata di commemorazione dei difensori della libertà, per ricordare il 13 gennaio 1991: le truppe sovietiche uccisero 13 persone a Vilnius nel tentativo di domare la rivolta che portò all’indipendenza delle repubbliche baltiche.

L’accusa di propaganda anti-sovietica

Cinque anni fa venne inaugurata una mostra “La verità rende liberi” nel palazzo del Seimas (parlamento), proprio dedicata all’arcivescovo Sigitas Tamkevičius che commentò al Sir: “Oggi sembriamo liberi, in realtà siamo liberi solo dall’occupazione straniera del Paese, ma questa non è la vera libertà. Per essere completamente liberi abbiamo bisogno della libertà interiore”. La mostra raccontava la vita del presule eroe di Kaunas che dal 1983 al 1988 fu imprigionato in Siberia con l’accusa di propaganda anti-sovietica, essendo l’editore della “Cronaca della Chiesa cattolica in Lituania”, periodico che dal 1972 egli redigeva e spediva clandestinamente in occidente per far conoscere le discriminazione e persecuzione vissute dai cattolici in Lituania. Nove anni fa l’arcivescovo gesuita si fece portavoce in Europa di chi si è visto strappare dalla propria terra simboli di fede difesi con la testimonianza, a costo della vita. “Richiedere la rimozione dei simboli religiosi dagli spazi pubblici non dimostra la neutralità dello Stato né assicura il vero pluralismo- affermò monsignor Sigitas Tamkevicius, allora presidente dei vescovi cattolici di Lituania-. Una richiesta come questa semplicemente mostra che, sotto le mentite spoglie della neutralità e della laicità, la priorità viene data ad una visione atea e ad un’ideologia laicista”. L’arcivescovo denunciò come a Strasburgo la croce fosse “sul banco degli imputati”. Il riferimento era all’imposizione di togliere i crocifissi dalle scuole per non violare il diritto di chi non crede.

Dimostrazione pubblica di fede

“Parlare di croce e Lituania fa andare subito alla mente a un’eloquente immagine di fede popolare e di resistenza all’ateismo di Stato imposto dal comunismo: la celebre Collina delle Croci, visitata nel 1993 da Giovanni Paolo II, che vi lasciò un suo personale crocifisso di ricordo”, sottolinea Avvenire. Chiaro il riferimento del presule lituano all’epoca sovietica e ai ripetuti tentativi di far sparire le croci della gente e di abbattere la Collina, divenuta nel tempo un luogo di pellegrinaggio: “Coloro che hanno occupato la nostra nazione capirono molto bene tutto questo dal momento che cercarono di sopprimere la nostra libertà, di spezzare il nostro spirito e indebolire la nostra coscienza nazionale. Non è passato molto tempo da quando la nostra nazione ha sofferto, lungo le epoche, allorché i simboli nazionali, statali o religiosi vennero pubblicamente spazzati via, mentre chiunque ne faceva uso veniva perseguitato”. La Collina delle croci (kryžiu kalnas in lingua locale) è uno dei luoghi di maggior dimostrazione pubblica di fede di tutt’Europa. “Ancor oggi sono 56 mila le croci, di diversa foggia, colore, materiale, che campeggiano sulla collinetta nei pressi della cittadina di Siauliai, nella zona settentrionale della Repubblica baltica – evidenzia Avvenire -. Una pratica, quella di piantare il simbolo cristiano, che risale al 1831 quando, dopo la conquista russa e la conseguente repressione russa dell’insurrezione polacco-lituana, le croci diventarono manifestazione pubblica di protesta contro la violenza degli zar”.

Le croci più forti della distruzione

Durante l’epoca sovietica (la Lituania venne annessa dall’Urss nel 1940, a seguito del patto Molotov-Ribbentrop) che la Collina balzò agli onori della cronaca e divenne simbolo del cristianesimo sofferente d’Oltre cortina. Gli occupanti sovietici per quattro volte spianarono con i bulldozer la piccola collinetta (una decina di metri), schiacciando le croci e seppellendole sotto la terra. Ma dopo ogni rituale distruttivo  (la prima fu nel 1961, quindi, nel 1973 e ancora nel ’75) i cattolici lituani tornavano con i loro simboli religiosi e li ripiantavano sulla collina.