Commento al decalogo dei vescovi argentini

Ci eravamo lasciati con la lettera di Papa Francesco al vescovo Sergio Alfredo Fenoy, delegato della regione pastorale di Buenos Aires, nella quale il Pontefice approvava come interpretazione giusta, il decalogo applicativo del cap. 8 dell'Esortazione Apostolica da parte di un gruppo di vescovi della regione ecclesiastica di Buenos Aires.

Affrontata la questione relativa a presunti problemi interpretativi addentriamoci nel documento realizzato dai presuli argentini

I punti

Nel punto 1, che è come l’esordio del documento, si legge: “Innanzitutto vogliamo ricordare che non è opportuno parlare di 'permesso' per accedere ai sacramenti, ma di un processo di discernimento accompagnati da un pastore. Questo discernimento è 'personale e pastorale'”.

Definire “inopportuno” il concetto di “permesso” per accedere, circa i casi di coppie di risposati civilmente  – documento di Buenos Aires non precisa questo e involontariamente lascia la porta aperta anche ai conviventi -, ai sacramenti, è strano perché in realtà il permesso in campo sacramentale non può non esserci da parte del sacerdote. Chiaro che il discernimento è realtà ben diversa da un permesso estrinseco, di applicazione meccanica, giudiziaria, e nessuno in campo ecclesiale può pensare alla parola permesso in tale maniera.

Al n. 2 si legge: “Il pastore deve porre l’accento sull’annuncio fondamentale, il kerygma, che stimoli all’incontro personale con Gesù Cristo vivo o a rinnovare tale incontro”. Il kerygma, come tutti sanno, è il primo annuncio, ma qua si tratta di cristiani che il primo annuncio l’hanno già avuto e quindi hanno già provato interesse per la Parola di Gesù, e se non lo hanno ancora avuto con efficacia testimoniale, lo devono ricevere, per poi approfondirlo nel percorso delle catechesi, così come è sempre avvenuto e avviene nella Chiesa. In tale cammino catechetico sicuramente entreranno, o rientreranno, in contatto con la verità dell’indissolubilità del matrimonio sacramento. In tal modo, il condizionamento dell’ignoranza non può essere invocato. Per maggior incisività dico che è doverosa l’opera di misericordia spirituale di “istruire gli ignoranti”. Restano altri condizionamenti, che vanno intesi nell’ambito della sessualità, perché di questo in fondo si tratta nel cap. 8 di Al e nelle direttive dei vescovi di Buenos Aires.

Al n. 5 si legge di una impossibilità in certi casi di seguire il proposito di vivere da fratello e sorella: “Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, in particolare quando entrambi sono cristiani con un cammino di fede, si può proporre l’impegno di vivere la continenza sessuale”. Il vivere da fratello e sorella, una volta posto come conseguenza dell’indissolubilità del matrimonio, non va relativizzato. Esiste, infatti, non la gradualità della legge, ma la legge della gradualità nel cammino pastorale (“Vademecum per i confessori su alcuni temi morali attinenti alla vita coniugale”, n° 9), per cui la legge non va fornita a piccole dosi graduali, incomplete, in modo da non produrre un cammino di precisa chiarezza. Il punto forte delle direttive di Buenos Aires è quello che riguarda l'impossibilità di avere un proposito di continenza. I vescovi argentini citano la lettera di Giovanni Paolo II al card. William Baum, del 22/03/1996, circa il mantenimento del proposito che si può prevedere fallimentare. Papa Wojtyla, tuttavia, precisa nella lettera che il proposito che si richiede deve essere fermo, anche se intellettualmente si possono prevedere delle cadute successive. Ovviamente, prevedere intellettualmente non vuol dire pianificare le cadute, accoglierle come fatto integrabile in una condotta di vita errata. Così dice Giovanni Paolo II: “Conviene peraltro ricordare che altro è l’esistenza del sincero proponimento, altro il giudizio dell’intelligenza circa il futuro: è infatti possibile che, pur nella lealtà al proposito di non peccare più, l’esperienza del passato e la coscienza dell’attuale debolezza destino il timore di nuove cadute; ma ciò non pregiudica l’autenticità del proposito, quando a quel timore sia unita la volontà, suffragata dalla preghiera, di fare ciò che è possibile per evitare la colpa”.

Al n 6 del documento di Buenos Aires si legge: “Se si giunge a riconoscere che, in un determinato caso, ci sono dei limiti personali che attenuano la responsabilità e la colpevolezza (Cf. AL 301-302;  ndr. nota 329 AL), particolarmente quando una persona consideri che cadrebbe in ulteriori mancanze danneggiando i figli della nuova unione, si può considerare la partecipazione ai sacramenti della riconciliazione e dell’eucaristia”. I limiti personali citati dal documento di Buenos Aires non possono, a un certo punto, includere l’ignoranza, per il cammino intrapreso; e allora quali sono?

Va premesso che sicuramente se i due intraprendono il vivere da fratello e sorella hanno l’aiuto dell’Eucarestia. L’Eucarestia, come tutti sanno, è forza di virtù e di perseveranza nella virtù. In tal modo i due trovano la forza costante per procedere, e ciò torna a vantaggio anche dei figli. Nessun sacerdote, poi, che si trovi di fronte a due che vivono da fratello e sorella negherà loro l’assoluzione in caso di caduta, ma non potrà trasformare il fatto della caduta in una linea da seguire, anche nel caso di limiti attenuanti. Gli ostacoli della vita da fratello e sorella, con incidenza sui figli, è facile pensarli: liti davanti ai figli, musi lunghi, nervosismo, pressioni sul partner affinché acconsenta. Tutto questo, ci chiediamo, si risolverà, mentre si rimane in tali inciampi, dando l’Eucarestia? Se prima in uno stato di buona volontà l’Eucarestia non ha prodotto, non certo per inefficienza sua, un cammino di coraggio, e perciò virtuoso, in successivo stato di “gettata la spugna” non si vede proprio come lo possa produrre. Invece è ben raccomandabile ricominciare con un cammino di preghiera per arrivare a rimuovere le indecisioni. Nel magistero precedente si faceva proprio leva sulla preghiera per giungere alla soluzione di vivere da fratello e sorella.

Restando lo stato di peccato oggettivo, come afferma senza incertezze esegetiche il Vangelo. Il magistero precedente non poneva la questione sulla salvezza eterna, considerando la realtà soggettiva di ciascuno, da Dio giudicata, ma della partecipazione all’Eucarestia, poiché segno dell’indissolubile vincolo che unisce Cristo alla Chiesa. E anche il matrimonio sacramento, che si fonda su Cristo, è indissolubile.

E’ vero che i sacramenti sono fatti per i peccatori, quali tutti noi siamo, e i perfetti sono sempre di perfezione relativa al dato umano di partenza (1Cor 2,6; Ef 4,13; ecc.), ma è pur vero che i sacramenti agiscono in noi positivamente alla condizione che noi ci adattiamo a essi, a ciò che sono. Se i sacramenti li adattiamo a noi, noi appanniamo il nome della misericordia. La misericordia del Padre, ha un nome: Gesù Cristo, e la misericordia del Figlio si chiama Sangue. Infatti egli non è venuto solo con acqua, ma con acqua e sangue (1Gv 5,6-13).

Chiarissimo che la Comunione vuole preparazione e ci si deve interrogare su tale preparazione (Denzinger, 2094:  Decreto del Concilio Cum ad Aures, 12 febbraio 1697, Innocenzo XI) (Cf. 1Cor 12,28). Così chi si accosta alla Comunione deve necessariamente esaminarsi con grande onestà.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica (2352) nei riguardi della masturbazione causata da limiti dice: “Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l'azione pastorale, si terrà conto dell'immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d'angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare, se non addirittura ridurre al minimo, la colpevolezza morale”. Ma con ciò non si dà il via libera al fatto, considerandolo esente da ogni responsabilità, magari ridotta al minimo, con la conseguenza di togliere il senso del peccato. Certo nessuno vorrà negare l’assoluzione a chi di frequente cade in tale peccato, a causa di suoi limiti, ma non potrà dire che può continuare senza confessarlo.

Se posto il proposito di vivere da fratello e sorella uno è caduto si deve ammettere che l’aiuto dell’Eucarestia non ha raggiunto il suo effetto di grazia (ex opere operantis).

I sacramenti, che erano risultati inefficaci prima, nella presenza di un proposito, non potranno diventare efficaci in stato di ibernazione del proposito – con il permesso del sacerdote -, per arrivare nuovamente allo scongelamento del proposito. Così si legge al n.6 circa i sacramenti nelle situazioni di un proposito non possibile, e perciò non in atto, “Disporranno la persona a continuare il processo di maturazione e a crescere con la forza della grazia”.

Al numero 9 delle linee guida elaborate dai vescovi della regione di Buenos Aires si legge: “Può essere opportuno realizzare in modo riservato un eventuale accesso ai sacramenti soprattutto quando si dia il caso di situazioni conflittuali, ma allo stesso tempo non si deve smettere di accompagnare la comunità affinché cresca nello spirito di comprensione e accoglienza, senza che ciò implichi creare confusione nell'insegnamento della Chiesa sulla indissolubilità del matrimonio. La comunità è strumento di una misericordia che è ‹immeritata, incondizionata e gratuita”.  

La speranza che una comunità venga ad accettare, se educata adeguatamente, l’accesso consueto di casi specifici di divorziati risposati in civile (anche conviventi?) alla comunione Eucaristica pare veramente misconoscere le debolezze di una comunità santa e simultaneamente peccatrice, per figurarsene una ideale di santi. Trattandosi di casi, la loro palese pubblicità produrrà la situazione che le coppie fedeli al matrimonio sacramento vedranno indebolita, anche se non annullata, la loro testimonianza di scelta generosa e vitale della Parola. Resterà una popolare casistica dei casi “risolti” diventati pubblici, fonte di forte pressione sui sacerdoti, in contraddizione con i confini del caso per caso. Si parlerà certamente di abusi, e quindi di difesa da essi, ma intanto gli abusi filtreranno ugualmente, e non vorranno ritenersi tali. Infatti ci dice san Paolo: “Non sapete che un po' di lievito fa fermentare tutta la pasta?” (1Cor 5, 6b)