Chi era don Puglisi

Puglisi

Il 15 settembre è la data in cui il Beato don Pino Puglisi nacque ed anche quella in cui morì, assassinato nel giorno del suo compleanno da un commando mafioso inviato dai capoclan Filippo e Giuseppe Graviano. Nei 56 anni di vita, il prete palermitano lasciò un segno indelebile nel tessuto della sua città, persuadendo intere generazioni di giovani di borgata a rifiutare la mano mortale tesa dalla mafia ai loro problemi e alle loro inquietudini. Terzo di quattro figli, don Pino Puglisi trascorse l’infanzia e l’adolescenza nel quartiere di Brancaccio, lo stesso in cui poi concentrò il suo indimenticabile impegno pastorale. Padre calzolaio, madre sarta, il giovane Pino scoprì la sua vocazione prima servendo messa da chierichetto nella parrocchia di San Giovanni Bosco, successivamente con l’attività nella sezione locale dell’Azione Cattolica. La decisione di entrare in seminario, come per tanti altri, maturò da un incontro, quello con monsignor Francesco Guercio e da una domanda a bruciapelo: “Ci hai pensato mai a farti prete?”

Una vita per il sacerdozio

Durante il periodo in seminario don Puglisi si mise subito in evidenza per le sue capacità pedagogiche e per un’innata predisposizione all’ascolto. Furono anni impegnativi in cui affiancò la vita di comunità con l’impegno nello studio ed i sacrifici sul lavoro, aiutando il padre nel lavoro di calzolaio. La sua missione di sacerdote iniziò proprio in un contesto largamente pervaso dalla criminalità organizzata, nel quartiere palermitano di Settecannoli dove venne chiamato a svolgere il ruolo di viceparroco nella chiesa del Santissimo Salvatore. La mafia, dunque, fu una realtà che don Puglisi conobbe subito da sacerdote e che imparò a contrastare già dall’epoca attraverso la forza e l’attrattiva delle sue lezioni di catechismo. La sua fama di eccezionale educatore crebbe nelle esperienze successive a Valdesi, a Mondello e come cappellano dell’istituto Roosevelt, a contatto con i ragazzi che ancora oggi lo ricordano con parole eloquenti: “Lì per lì non ci accorgevamo neanche che quel prete ci stava trasformando”. Don Puglisi mise a disposizione quella sua speciale capacità di ascoltare e far sentire capiti gli altri con l’attività di insegnante, indimenticato professore al ginnasio capace di farsi amare e rimpiangere da generazioni e generazioni di alunni. Non volle mai essere un prete protagonista, ma visse in piena comunione ed armonia con la Chiesa, con le sue gerarchie e con la diocesi di suo riferimento. Il professore non dismise mai i panni del sacerdote, i due aspetti andarono sempre insieme nella convinzione che la sua vocazione si esplicitasse proprio nell’attività pedagogica con i ragazzi. Le lezioni di don Puglisi penetravano nei suoi alunni come semi di legalità, nel nome del Vangelo, in un contesto in cui il malaffare e la criminalità costituivano troppo spesso la normalità. Il Beato palermitano insegnò loro che non era così, utilizzando la cattedra come un pulpito mediante cui evangelizzare.

Il centro Padre Nostro

L’esperienza di professore di religione, che non abbandonò mai, rappresentò un traino, una risorsa a cui attingere per far partire il progetto del centro “Padre Nostro”. La grande scommessa di don Puglisi, nel bel mezzo del quartiere di Brancaccio dominato all’epoca dal clan dei Graviano, destinata a dare sostegno a decine e decine di minori con iniziative, momenti d’incontro, di gioco, di studio e di riflessione. Un luogo concepito per accogliere ed anche per sottrarre: accogliere i ragazzi del quartiere, sottrarli in questo modo al reclutamento dei mafiosi. Un obiettivo perseguito offrendo uno spazio in cui tenersi impegnati, sentirsi importanti per qualcuno, uscire dal pericoloso cono d’ombra in cui poi le cosche sono ancora oggi abituate a pescare per rinfoltire le proprie fila. Don Puglisi investì tutto se stesso per rendere concreta quest’idea, ipotecando il suo stipendio da insegnante ed affrontando l’ostilità di molti: il prezzo di vendita della struttura, ad esempio, fu improvvisamente aumentato rispetto a quanto pattuito nel tentativo di scoraggiare il sacerdote. Operazione fallita: di fronte a quella circostanza, don Puglisi mise all’opera la sua grande capacità relazionale e trovò i benefattori necessari per coprire le spese rimanenti. Tra questi arrivò anche la commovente donazione di 25 milioni inviata da una pensionata del posto determinata a vedere riscattato il proprio quartiere.

Il martirio

Vedere  i ragazzi impegnati nell’ascoltare il Vangelo anziché in preda alla disperazione non piacque ai mafiosi. Come ricordato da alcuni pentiti durante il processo ai mandanti, i mafiosi decisero di uccidere don Puglisi perché “gli toglieva i ragazzi”. Il giorno del suo compleanno, davanti al portone di casa, mentre aveva già infilato le chiavi nella serratura, don Puglisi venne sorpreso alle spalle dai suoi sicari. Uno di loro, con un colpo alla nuca, mise fine alla vita del sacerdote coraggioso che convinse tanti giovani a non farsi ingannare dalle promesse sanguinose della criminalità organizzata. Prima di essere colpito, però, come ricorda Salvatore Grigoli, suo killer poi pentito e convertito, il prete di Brancaccio sorrise, com’era solito fare sempre con i suoi ragazzi, ed ebbe la serenità di sussurrare: “Me lo aspettavo”.

Oggi la Chiesa lo ricorda come suo primo martire di mafia, Beato per volere di Papa Francesco che ne firmò il decreto nel 2013. Oggi il Santo Padre gli renderà ancora omaggio con una visita nella sua Palermo, a 25 anni dall’assassinio. Ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella ha voluto ricordare il sacrificio di questo prete italiano con queste parole: “Venticinque anni fa la mano vile della mafia spezzò la vita di Pino Puglisi, ma non riuscì a ucciderne la testimonianza che, come un seme, ha poi germogliato nel cuore e nell'impegno di tanti palermitani onesti, di tanti giovani che lo hanno conosciuto e con lui hanno imparato a camminare a testa alta, dei tanti che amano la libertà e non accettano il giogo disumano dell'oppressione criminale”