Cento anni fa moriva Charles de Foucauld: una vita per gli altri, nell’amore di Dio

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Da una giovinezza scapestrata, a testimone della fratellanza tra popoli. La vita di Charles de Foucauld, a cento anni dalla sua uccisione, ha ancora tanto da insegnare. Il suo messaggio, mai così attuale e veritiero, porta con sé una profonda consapevolezza: “E’ con la santità e nel nulla dei mezzi umani che si conquista il cielo”. Un percorso, il suo, tracciato in un disegno più grande: dalla perdita dei genitori, andati via troppo presto, alla giovanile e sfrenata ricerca del proprio piacere personale, il suo sentiero verso la beatitudine si delineò infine nelle piane del deserto algerino, dove visse nella fede e comprese appieno la sua missione: essere il fratello di tutti, universale, nell’ospitalità e nella preghiera.

L’esperienza militare, terminata per indisciplina, e i viaggi nelle inesplorate terre del Marocco furono tra le tappe principali della sua strada verso la conversione. Ma fu l’incontro con alcuni musulmani, nel continente africano, a sconvolgere ogni sua convinzione: la conoscenza di una fede così radicata e incondizionata, cambiò per sempre il suo cuore e, insieme, il suo cammino in questo mondo. Tornò in Francia, sua patria, e si unì ai frati trappisti. Ma il richiamo della Terra Santa, dei luoghi di Gesù e del suo insegnamento, non tardò a farsi sentire. E qui, libero di seguire la sua vocazione, ebbe chiaro quanto il Signore si aspettava da lui: vivere come la Famiglia di Nazareth, senza possedere nulla, facendosi dono per gli altri.

Di nuovo in Africa, si stabilì in un’oasi fra le dune del Sahara. Qui, indossato un semplice saio bianco, con ricamato un cuore sormontato da una croce, visse nel nome di Cristo, fornì assistenza e ospitalità a chiunque passasse nei pressi della sua capanna, senza distinzioni di sorta. Una vita condotta nella semplicità, nel lavoro e nella preghiera, consacrando se stesso all’aiuto dei fratelli, amando il prossimo come si ama Dio.

Morì durante un attacco di predoni a Tamanrassett, in Algeria, dove aveva vissuto per 13 anni, annunciando il Vangelo ai Tuareg. Chi lo uccise, forse, neppure si rese conto di dove il suo corpo giaceva: vicino all’ostensorio, vicino alle ostie, vicino al Signore, ora più che mai.

Sono trascorsi cento anni da quel giorno. Eppure Charles e il suo messaggio di fratellanza continuano a vivere e a stupire con la loro immutabile valenza. L’urgenza del dialogo, della fraternità e dell’amicizia fra popoli erano i suoi capisaldi, rimarcati in ogni gesto, nell’amore dell’altro come in quello di Dio. Fu Benedetto XVI a beatificarlo, il 13 novembre 2005, e ora, a un secolo dalla sua morte, è Papa Francesco a ricordarlo, per ciò che è stato e per ciò che continuerà a essere: “E’ stato un uomo che ha vinto tante resistenze e ha dato una testimonianza che ha fatto bene alla Chiesa. Chiediamo che ci benedica dal cielo e ci aiuti a camminare sulle sue tracce di povertà, contemplazione e servizio ai poveri”.