Cattolici e protestanti contro i nazionalismi

Violazioni alla libertà religiosa attraverso l’imposizione di una identità nazionale religiosamente fondata”, un fenome che si sta diffondendo in molte zone del mondo. E' quanto emerge dal “Rapporto ecumenico sulla libertà di religione dei cristiani nel mondo” della Conferenza episcopale tedesca (Dbk) e della Chiesa evangelica tedesca (EKd), presentato a Berlino. Il testo mette in luce tutti quei contesti in cui la “linea di demarcazione” non è tra chi crede e chi non crede, ma tra “l’appartenenza nazionale” e chi è di un’altra appartenenza.

Libertà non garantite

Un esempio è il caso del Myanmar, ma anche dello Sri Lanka dove “identità nazionale e buddismo sono strettamente legati a danno della minoranza non-cingalese”, e ancora dell’India dominata da un gruppo fondamentalista indù. Ma non solo. Come riporta il Sir, anche in Russia “la religione è sempre più strumentalizzata con un atteggiamento ‘nazional-romantico’ – si legge nel testo -, non contrastato così chiaramente dalla Chiesa ortodossa”. Tra i Paesi che violano la libertà religiosa, ci sono anche Stati autoritari che contemporaneamente ledono le “libertà di opinione, riunione e associazione”, con un “forte controllo sulle comunità religiose”; invevitabilmente questo porta anche alla frattura tra coloro che vogliono cooperare e coloro che vogliono sottrarsi al controllo delle autorità. Cina, Vietnam e Laos vengono inseriti in questa categoria, ma anche Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan e Turkmenistan, dove le moschee sono poste sotto controllo video o la Bielorussia dove a essere controllata è la Chiesa cattolica a motivo della sua popolazione polacca.

Violenza in nome della religione

Il rapporto evidenzia poi che dal 2013 ad oggi è “significativamente cresciuta la violenza in nome della religione” in alcuni Paesi dell’Africa subsahariana: Kenya, Mali, la Repubblica centrafricana, Djubuti e Camerun. Nella Repubblica centrafricana dove si sono verificati nuovi scontri tra i ribelli seleka e le milizie anti-balaka, i primi di matrice musulmana, i secondi cristiana, responsabili di aver fatto fuggire dal Paese l’80% dei musulmani. Nella regione settentrionale della Nigeria il terrore di Boko Haram ha ucciso oltre 28 mila persone dal 2011 ad oggi. In America latina, invece, crescono i conflitti, a tratti anche violenti, tra le diverse confessioni e i “tentativi di missione in regioni abitate da comunità indigene sono motivi di contrasto”, come in Guatemala, Colombia, Brasile, Argentina e Paraguay, al punto che i convertiti ricevono minacce dagli appartenenti alle comunità indigene.

Il reato di “conversione”

Altro tema emerso dal rapporto è quello del “diritto di cambiare religione”. Secondo i cattolici e i protestanti tedeschi, questa è la “prova del nove” della libertà religiosa: infatti, “solo se è legalmente riconosciuta la possibilità di cambiare, anche il rimanere in una comunità religiosa può essere compreso come espressione della libertà personale”. Si tratta di un aspetto controverso anche dal punto di vista giuridico. Ci sono Paesi in cui il cambio di religione è perseguito fino alla pena di morte (Afghanistan, Iran, Arabia Saudita, Sudan); altri in cui vigono “norme penali” che di fatto hanno la stessa funzione, come le “leggi sulla blasfemia” che esistono in molti Paesi non solo “nella sfera di influenza dell’Islam (Pakistan, Yemen, Egitto, Malesia o Indonesia), ma anche in quelli storicamente influenzati dal buddismo, dall’induismo o dal cristianesimo (specialmente il cristianesimo ortodosso), come in Russia”. Alcuni Stati, poi, vietano il “proselitismo”: Marocco, Bangladesh, Armenia e Grecia, dove questo divieto è nella Costituzione. La fluidità interpretativa in questo ambito, segnala il rapporto, “dà agli Stati un ampio campo di manovra per sanzionare forme indesiderate di propaganda religiosa”. Ci sono poi Paesi, come l’Egitto o la Giordania, in cui i musulmani convertiti continuano a essere considerati come “musulmani” e i loro figli, ad esempio, costretti a essere cresciuti come musulmani; in altri, dove pure vige un “diritto familiare laico”, la conversione dà origine a “incertezze legali”, a volte fino allo scioglimento del vincolo matrimoniale o alla perdita dei diritti d’istruzione per i figli. L’elenco di pregiudizi e stigmatizzazioni sociali è altrettanto articolato e giunge fino alla situazione attuale in cui si mette in dubbio l’autenticità di un “cambiamento di religione”, con il sospetto si tratti di una strategia per poter ottenere più facilmente un permesso di asilo.