Bassetti contro l'eutanasia: “La vita non è un possesso”

Ha usato parole nette concise il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, card. Gualtiero Bassetti, nella sua prolusione al convegno “Eutanasia e suicidio assistito. Quale dignità della morte e del morire?”. Davanti all'idea del diritto alla morte quale diritto alla libertà, il prelato ha ricordato che la vita, “dal suo concepimento al suo fine naturale, possiede una dignità intangibile“. Nel suo intervento, il cardinale non ha nascosto una certa emozione nel trattare argomenti così delicati, poiché ogni storia è un “pezzo di vita”. Come presidente dell'associazione nazionale dei vescovi, Bassetti ha espresso la necessità di esprimere la posizione netta della Chiesa sul rischio di una  regolamentazione del suicidio assistito da parte del Parlamento. 

Tempi stretti

Come l'arcivescovo ha ricordato, “la questione è stata sollevata il 14 febbraio dello scorso anno dalla Corte d'Assise di Milano, a proposito della sospetta illegittimità costituzionale dell'articolo 580 del Codice Penale, che punisce chi aiuta o istiga una persona al suicidio”. Il contesto riguarda il processo a Marco Cappato per aver assistito e confermato Fabio Antoniani – noto come dj Fabo – nelle sue intenzioni di porre fine alla sua esistenza in una clinica all'estero. Nell'attesa che la questione sia trattata nell'udienza prevista per il prossimo 24 settembre, in nome dei vescovi italiani, il cardinal Bassetti ha espresso preoccupazione per un Paese che “discute la possibilità di ricorrere all’eutanasia come via d’uscita al problema di una prolungata malattia e di un’intensa sofferenza fisica”. Per il prelato, l'eutanasia va anzitutto scissa dal rifiuto dell'accanimento terapeutico, “distinzione che spesso non è compresa, quasi si volesse porre sempre in atto ogni possibile intervento medico, senza una valutazione delle ragionevoli speranze di guarigione e della giusta proporzionalità delle cure”. 

I risvolti culturali

La pratica dell'eutanasia, secondo Bassetti, qualora regolamentata avrebbe effetti importanti dal punto di vista culturale “poiché il suicidio assistito è inteso dai suoi promotori come un diritto da assicurare a chi sia irreversibilmente malato e come un'espressione di libertà personale”. Davanti a questa scelta, il prelato si domanda: “In che modo, però, può dirsi accresciuta la libertà di una persona alla quale, proprio per esaudirla, si toglie la vita?” e ha aggiunto: “Da parte nostra affermiamo con forza che, anche nel caso di una grave malattia, va respinto il principio per il quale la richiesta di morire debba essere accolta per il solo motivo che proviene dalla libertà del soggetto. […] La libertà – ha aggiunto – non è un contenitore da riempire e assecondare con qualsiasi contenuto, quasi la determinazione a vivere o a morire avessero il medesimo valore”.

Il valore della malattia

Partendo dal presupposto che l'essere umano, sia esso sano o malato, ha una sua dignità, il cardinale ha sottolineato come “la stessa malattia, se vissuta all’interno di relazioni positive, può assumere contorni molto diversi, e fare percepire a chi soffre che egli non solo riceve, ma anche dona. Anche per il malato, sottrarsi a questo reciproco scambio sarebbe – lo dico con grande rispetto ma con franchezza – un atto di egoismo, un sottrarsi a quanto ognuno può ancora dare”. Illuminata dalla luce della fede, la stessa vita ha un peso anche quando si è malati, in consonanza con la battaglia di Papa Francesco contro la “cultura dello scarto“: porta molta consolazione il riconoscere che la vita, più che un nostro possesso, è un dono che abbiamo ricevuto e dobbiamo condividere, senza buttarlo, perché restiamo debitori agli altri dell’amore che dobbiamo loro e di cui hanno bisogno”.

Appello al Parlamento

Finora il Parlamento ha presentato soltanto alcune proposte di legge. Per evitare che una sentenza della Consulta provochi “lo smantellamento del reato di aiuto al suicidio”, il Parlamento avrebbe una manciata di giorni per discutere e modificare l'articolo 580 o, in ogno caso, avviare una discussione che potrebbe indurre la Corte Costituzionale a concedere un tempo supplementare. Davanti a quest'attesa stringente, il cardinale Bassetti ha fatto un appello, perché “la via più percorribile sarebbe quella di un'attenuazione e differenziazione delle sanzioni dell'aiuto al suicidio, nel caso particolare in cui ad agire siano i familiari o coloro che si prendono cura del paziente. Questo scenario, tutt'altro che ideale, sarebbe comunque altra cosa rispetto all’eventualità di una depenalizzazione del reato stesso”. La depenalizzazione, secondo il prelato, regolamenta il suicidio assistito“. Lo scenario, che in questo caso si aprirebbe, prevederebbe una società dove i malati, in gran numero psichici, possano accedere al suicidio. Dal punto di vista giuridico, il prelato ha inviato il Parlamento ad occuparsi, più che sul reato del suicidio, delle disposizioni anticipate di trattamento, approvate con la legge 219, del dicembre 2017, che vede la nutrizione e l'idratazione assistite come accanimento terapeutico: “Come si fa a considerare un trattamento sanitario il dar da mangiare e bere a un affamato?” si domanda il cardinale.  

I casi vari

Nel suo intervento, il prelato ha citato Noa, Vincent Lambert, Charlie: volti di una situazione spesso equivoca, dove si può arrivare a sospendere le cure sulla base di un accordo tra il medico e il legale senza alcun coinvolgimento del giudice. Il timore di Bassetti è che: “L'approvazione del suicidio assistito nel nostro Paese aprirebbe allora un'autentica voragine dal punto di vista legislativo, ponendosi in contrasto con la stessa Costituzione italiana, secondo la quale 'la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo', il primo dei quali è quello alla vita. Tale contrasto segnerebbe dal punto di vista giuridico un passaggio irreversibile, con le enormi conseguenze sul piano sociale che tenterò ora di tratteggiare”. Il prelato ha aggiunto: “Siamo una società che già seleziona, e stabilisce chi tra gli esseri umani sia anche persona e porti o meno il diritto di nascere e di vivere: i più indifesi sono già eugeneticamente selezionati e in una grande percentuale non sono fatti nascere se portano qualche malattia o malformazione”.

Le parole di Papa Francesco

Il presidente dei vescovi italiani ha citato l'insegnamento di Papa Francesco in consonanza con il magistero universale della Chiesa: “Dopo aver riconosciuto che 'in molti Paesi c’è una crescita della richiesta di eutanasia', Papa Francesco afferma: 'Ciò ha portato a considerare la volontaria interruzione dell’esistenza umana come una scelta di 'civiltà'. È chiaro – aggiunge – che laddove la vita vale non per la sua dignità, ma per la sua efficienza e per la sua produttività, tutto ciò diventa possibile. In questo scenario occorre ribadire che la vita umana, dal concepimento fino alla sua fine naturale, possiede una dignità che la rende intangibile […]. Il dolore, la sofferenza, il senso della vita e della morte sono realtà che la mentalità contemporanea fatica ad affrontare con uno sguardo pieno di speranza. Eppure, senza una speranza affidabile che lo aiuti ad affrontare anche il dolore e la morte, l’uomo non riesce a vivere bene e a conservare una prospettiva fiduciosa davanti al suo futuro. È questo uno dei servizi che la Chiesa è chiamata a rendere all’uomo contemporaneo'”. Per il cardinale, il compito della Chiesa è, dunque, quello di testimoniare il Vangelo nella tutela della dignità umana: “la Chiesa questi valori deve viverli, facendo anche sentire la propria voce senza timore, soprattutto quando in gioco ci sono le vite di tante persone deboli e indifese” e ha concluso: “su temi che riguardano tutti, il contributo culturale dei cattolici è non solo doveroso, ma anche atteso da una società che cerca punti di riferimento. Ci è chiesto infatti, come Chiesa, di andare oltre la pura testimonianza, per saper dare ragione di quello che sosteniamo”.