Bagnasco: “A Genova il Papa incontrerà il mondo del lavoro”

Nella sua visita a Genova, prevista per il prossimo 27 maggio, Papa Francesco incontrerà “il mondo del lavoro. E’ inevitabile, perché sappiamo la storia di Genova e le sue difficoltà” e questa storia, “in qualche modo, è emblematica del Paese”. E’ quanto afferma l’arcivescovo di Genova, il cardinal Angelo Bagnasco. L’anno appena trascorso, afferma il presidente della Cei, è stato “un anno di grazia per il dono del Congresso Eucaristico nazionale, un momento molto bello e importante”, mentre “si apre un nuovo anno con un altro evento di grazia che sarà la visita del santo padre Francesco”. La visita del Papa “è un grande onore e una grande gioia. Non è potuto venire l’anno scorso per il Congresso eucaristico – ha ricordato Bagnasco – però viene quest’anno, proprio per Genova, e naturalmente ci sarà un eco della Liguria”. Il Papa, “viene a confermare la fede del popolo di Dio. Poi la carica di simpatia, affetto e calore che è tipica della sua umanità e del suo ministero, andranno a beneficio della nostra comunità cristiana e di tutta Genova”.

Al nuovo sindaco della città ricorda che “la priorità assoluta di tutto il Paese: creare occupazione, lavoro. La nostra città – dice – ha una vocazione portuale, in modo prioritario, e industriale”. E anche se nel capoluogo ligure “sta crescendo il turismo” che scopre Genova “come città di bellezza, storia, cultura e fede, non ci si può illudere che questo sia l’avvenire come neppure l’avvenire esclusivo del nostro Paese che è uno scrigno, un tesoro di arte, storia, bellezza indiscutibile”. Infatti, secondo il presidente della Cei, “la vocazione portuale e industriale, e l’impresa sia essa piccola, media o grande, devono essere assolutamente riprese in mano e difese non per rinchiudersi in se stessi, ma per non essere depauperati di eccellenze che fanno parte della storia di Genova e che occupano tantissimi posti di lavoro”.

Altra tematica affrontata dal presule è il calo demografico che interessa l’Italia “è un dato triste, drammatico sul quale mi pare non pensiamo e non prendiamo abbastanza in considerazione. E come l’Italia mi pare così anche qualche altro paese dell’Europa”. Per il cardinale il calo demografico rappresenta “un dato assolutamente delicato, sensibilissimo” perché, senza figli, “non esiste futuro”. Inoltre, visto che “questo calo c’è anche in Paesi europei dove le politiche a sostegno della famiglia sono certamente più incisive, vuol dire che non è soltanto una questione di tipo economico, anche se questo è un dato necessario, ma è un dato di ordine culturale”. Infatti, “dove si spegne la speranza, dal punto di vista spirituale, certamente non vi è grembo di vite nuove”.

“Il presepe non deve sparire” perché “è il simbolo più bello, caro, dolce, del santo Natale“, ha detto il presidente della Cei, sottolineando che “deve essere incentivato per bambini, per i giovani e gli anziani, adulti e famiglie” perché è una immagine “estremamente significativa, incisiva. Vedere la grotta, con le figure della sacra famiglia e dei pastori – ha proseguito – è un messaggio che nessuna predica o omelia può ripetere, è un messaggio che arriva al cuore”. Per questo, “spero e mi auguro che il presepe venga fatto così come viene fatto l’albero di Natale”, ma l’immagine del presepe “che ci ha lasciato in modo particolare San Francesco deve essere riproposta, ripresa ovunque, perché è messaggio universale di tenerezza, bontà, mitezza e salvezza”. Ai cristiani la natività ricorda che “il figlio di Dio è venuto per salvarci dalle nostre solitudini, per restituirci all’amore del Padre, e quindi all’amore fraterno”. Per questo, ha concluso, “mi auguro che tutti abbiano in famiglia o in chiesa un momento di pausa dalle attività dalla frenesia di questi giorni, per poter guardare la grotta di Natale nel presepe e per lasciarsi parlare”.

Parlando dei recenti fatti che hanno scosso Berlino, il porporato ha affermato che la risposta agli attacchi terroristici in Europa è “non cadere nel panico e non cedere”. “Spegnere o limitare la vita quotidiana – ha detto – non è la risposta migliore, anzi è il gioco di chi sta nell’ombra per eventi di morte e per follia omicida. La risposta migliore è duplice: sicurezza e cultura“. E se la sicurezza “prevede misure accresciute”, compito delle istituzioni, la cultura “riguarda tutti. Se diventiamo più consapevoli delle nostre radici, della nostra cultura, della nostra identità, queste schegge impazzite si trovano più isolate”. Ma “se trovano una cultura popolare sempre più debole, sfaldata, confusa, le follie possono proliferare”. Questo “non significa chiudersi dietro trincee culturali o sociali” ma “sapere di avere qualcosa da dire di bello, grande e buono come i valori della nostra vita cristiana e della civiltà occidentale pur con limiti e difetti”. Solo così “si può dialogare” perché “si dialoga solo quando le parti hanno qualcosa di buono e di interessante da dire”