Inghilterra: vietato pregare fuori dalle cliniche abortiste

Gruppi pro-life si radunano spesso fuori dagli ospedali o dalle cliniche dove si praticano aborti e danno vita a veglie di preghiera. Succede anche in Italia, ma soprattutto negli Stati Uniti e in Canada. Da oggi, invece, non potrà più accadere in Gran Bretagna. Come riporta Corrispondenza Romana, infatti, la Corte suprema britannica ha confermato il divieto di organizzare veglie di preghiera dinanzi all’ingresso delle cliniche abortiste, veto già emesso in prima istanza dal consiglio comunale del distretto di Ealing, Londra, per disperdere i manifestanti davanti all’ospedale “Marie Stopes” e creare attorno alla struttura una sorta di “zona di esclusione” di almeno cento metri. I giudici hanno stigmatizzato il gesto di pregare fuori dalle cliniche come “illegale e ingiustificato”.

La stampa riporta le parole di diverse donne in procinto di abortire che raccontano di essere state intimidite dagli attivisti pro-life, ma anche quelle fuori dal coro di una 34enne, Alina Dulgheriu, che afferma che le è stato offerto aiuto finanziario e morale, oltre ad un alloggio, e che avendo accettato l'offerta dei pro-life oggi è madre di una “bellissima” figlia di 6 anni. La donna ha così commentato la sentenza: “Sono rattristata e scioccata dal fatto che la Corte abbia sostenuto una misura che impedisce alle persone buone di dare aiuto alle madri che lo desiderano disperatamente“. Come riferisce il Catholic Herald, la madre sta valutando di fare ricorso contro la sentenza “per il bene delle donne vulnerabili e il futuro delle nostre libertà fondamentali”.

Le fa eco Elizabeth Howard, portavoce della campagna pro-life Be Here for Me, la quale ha dichiarato: “Questa decisione è un duro colpo per la libertà di parola e per i diritti umani in questo Paese. Ma la lotta per i diritti umani non è mai stata facile. E continueremo a fare del nostro meglio per raggiungere quelle donne che sentono di non avere altra scelta che un aborto che non vogliono”. Del resto – ha annunciato la Howard – “questa decisione non è certamente la fine della testimonianza pro-vita in questo Paese”.