In Bolivia l'evangelizzazione diventa un crimine?

Polemiche in Bolivia per la riforma del Codice penale. Tra i diversi aspetti che stanno suscitando critiche e mobilitazioni nel Paese, ce n'è uno che desta preoccupazione tra i cristiani. Si tratta dell'art. 88,che recita: “Chiunque recluti, trasferisca, privi della libertà o ospiti persone con l’intento di reclutarle a prendere parte a conflitti armati o a organizzazioni religiose o di culto sarà condannato a 5-12 anni di prigione”.

Le proteste degli evangelici

Il rischio, secondo molti, è che così verrà bandita l'evangelizzazione. Sugli scudi cattolici (il 77% della popolazione è battezzato) e protestanti (circa il 16%, comprese le Chiese evangeliche). Non sono mancate proteste vibranti. Diversi pastori evangelici si sono radunati a La Paz, la Capitale, per esprimere il dissenso delle loro comunità. “Terremo alto il livello di allerta degli evangelici boliviani, e organizzeremo in tutte le città e i luoghi dove ci sono chiese o organizzazioni cristiane evangeliche degli eventi, riunioni, incontri di preghiera e intercessione”. Si domanda il pastore Miguel Machaca Monroy: “Ci denunceranno se portiamo un gruppo di persone in un luogo cristiano? Non potremo più predicare il Vangelo per le strade?”.

Un “abuso di Stato”

“È deplorevole che la Bolivia diventi il ​​primo Paese latinoamericano a perseguitare i diritti della libertà di coscienza e di religione, che sono protetti dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, dalla dichiarazione di San José de Costa Rica e dalla nostra Costituzione”, ha commentato in una nota la National Association of Evangelicals in Bolivia (Andeb). Il Codice – prosegue il testo – “è impreciso, ambiguo, scritto male, contraddittorio, e il suo potere punitivo può costituire abuso di Stato“.

I leader evangelici lamentano, inoltre, la scarsa partecipazione del popolo nella scrittura della riforma del Codice penale. Di qui l'esortazione ai politici a “lavorare su un nuovo Codice penale che rifletta la realtà sociale della Bolivia”.

Le critiche dei vescovi

Prende posizione anche la Conferenza episcopale boliviana. Nei giorni scorsi la segreteria generale dei vescovi ha diffuso una nota in cui si sottolinea che “non contribuisce alla pace sociale il fatto che il sistema giuridico del Paese si vada costruendo senza tenere conto della volontà popolare, con leggi approvate prescindendo dall’indispensabile dibattito nella società”. Nel chiederne il ritiro, i presuli ricordano che la nuova legge “suscita la maggiore e comprensibile contrarietà, da parte di tutta la società boliviana per diversi aspetti”.

Critiche della Chiesa cattolica anche per l'art. 157, che depenalizza l'aborto. Secondo l'episcopato, si tratta di “un Codice fatto per l’interesse del potere e non del popolo. Esso va contro i diritti umani e di cittadinanza fondamentali”, crea insicurezza giuridica e costituisce “un significativo passo indietro dei valori democratici conquistati dalla società boliviana”.

La scelta di Morales

Le proteste hanno prodotto un risultato. Lunedì scorso Evo Morales ha deciso di congelare la riforma per un anno, durante il quale verranno “socializzati” e “discussi” i contenuti del testo con le varie organizzazioni di rappresentanza popolare.