La difesa delle foreste inizia a tavola

Gli stili alimentari possono cambiare il pianeta. Le scelte dei consumatori hanno, infatti, un evidente impatto sulla tutela del creato, cioè di quella “Casa comune” la cui salvaguardia papa Francesco ha posto al centro del proprio Magistero. “Si ritiene l’agricoltura responsabile della gran parte di consumo di questa risorsa e del suo inquinamento: lo affermano i dati resi disponibili da vari esperti, più o meno auto referenziati, ai media: alla produzione di alimenti pare essere destinato un volume pari a 3.100 miliardi di metri cubi di acqua annui, corrispondente circa al 70% dei consumi idrici complessivi del pianeta. E l’Italia sembra essere il secondo paese al mondo per importazione di acqua a causa della sua fiorente attività agro-alimentare”, dice all’Agi il professor Ettore Capri, ordinario della facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali e direttore del centro di ricerca per lo sviluppo sostenibile (Opera) dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

Il consumo delle risorse idriche

“E’ diffuso il luogo comune per cui servono 15 mila litri d’acqua per produrre un chilo di manzo, ma sono tanti gli esempi che si possono fare per dimostrare quanto le produzioni zootecniche consumino molto di più rispetto alle altre produzioni agricole – aggiunge Capri -. Però ci sono molti aspetti della questione ignoti ai più, che derivano da speculazioni politiche e metodologiche, su cui in una giornata come questa, ritengo si debba riflettere”. In realtà infatti i dati sopra citati non sono corretti; si tratta di valori da decurtare dell’ottanta percento, se non di più. Per questo è utile far riferimento al concetto di impronta idrica, indicatore del volume totale di risorse idriche utilizzate per produrre i beni e i servizi consumati da una nazione da un’azienda, ma anche da ciascuno di noi. “Il calcolo dell’impronta idrica della carne e delle produzioni zootecniche è piuttosto complesso e andrebbe eseguito con molta più precisione, in modo meno superficiale di quanto non avvenga – puntualizza il docente della Cattolica – Sono infatti molti gli aspetti che vengono inutilmente considerati, mentre altri non vengono valutati con la dovuta attenzione. In particolare da questi dati vanno decurtati il valore della evapotraspirazione delle produzioni foraggere di processo, quota di acqua che si sarebbe di per sé persa naturalmente in presenza di una vegetazione naturale. Infatti se applichiamo calcoli corretti ed analisi del ciclo di vita a livello complessivo, emerge come l’intero settore delle carni italiano (bovino, avicolo e suino) impiega per l’80-90% risorse idriche che fanno parte del naturale ciclo dell’acqua e che vengono restituite all’ambiente, come appunto l’acqua piovana. E dunque solo il 10-20% dell’acqua necessaria per produrre 1 kg di carne viene veramente consumata”. Però, evidenzia Capri. “molto si deve fare per essere ancora più sostenibili: basterebbero interventi semplici, affiancati da un indispensabile impegno di tipo politico e gestionale. Ad esempio seguendo le buone pratiche, e utilizzando le tecnologie genetiche-meccaniche-chimiche più avanzate, si potrebbero ridurre ulteriormente gli eventuali sprechi”.

Allevamenti e coltivazioni

Basterebbe seguire i modelli di riferimento delle best practice imprenditoriali nel settore zootecnico e degli altri settori agricoli italiani (come quello del vino) che già esistono, soprattutto nel contesto italiano. “Il modello italiano andrebbe esportato perché il fragile made in Italy si contestualizzi a livello internazionale come sistema di produzione alimentare di qualità e sostenibile anche perché attento alla tutela della risorsa acqua”, avverte Ettore Capri. Il 23% delle emissioni umane di gas a effetto serra derivano proprio dalla deforestazione, dagli incendi e dall'agricoltura industriale. Negli ultimi 60 anni il consumo di carne è più che raddoppiato e il suolo è stato convertito a uso agricolo ad un ritmo senza precedenti nella storia umana. Nel mondo, riferisce LaPresse, ci sono circa 2 miliardi di adulti in sovrappeso o obesi, mentre 821 milioni di persone sono denutrite: questi dati evidenziano la necessità di riformare l’attuale sistema alimentare.  Proteggere le foreste e proporre un nuovo paradigma per il sistema agro-alimentare: secondo il nuovo rapporto dell’Ipcc (gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici) sui cambiamenti climatici e l’uso del suolo, sono queste le soluzioni alla crisi climatica ed ecologica che stiamo affrontando. “Il suolo e la biodiversità stanno soffrendo una pressione enorme a causa dell’aumento della deforestazione in Amazzonia e degli incendi che proprio in questi giorni stanno devastando Siberia e Indonesia”, dichiara a LaPresse Martina Borghi, campagna foreste di Greenpeace Italia. “Questi fenomeni hanno un impatto diretto sulla vita di milioni di persone e sul clima, poiché minacciano la nostra sicurezza alimentare favorendo la desertificazione e il degrado del suolo. Alla luce del nuovo rapporto Ipcc, i governi dovranno perciò aggiornare e migliorare i propri piani d’azione per mantenere l’innalzamento delle temperature globali sotto il grado e mezzo”, aggiunge.

Biodiversità e agricoltura sostenibile

Dal rapporto dell'Ipcc, emerge che dal periodo preindustriale la temperatura sulle terre emerse è già aumentata di 1,53 gradi centigradi. La media globale dell’aumento è di 0,87 tenendo conto della variazione di temperatura sopra gli oceani. Più di un quarto della terra del Pianeta è soggetta al “degrado indotto dall'uomo” e la produzione di bioenergia può rappresentare un pericolo consistente per la sicurezza alimentare e la degradazione del suolo. Il rischio infatti è quello di privarci di preziosi terreni agricoli, spostando piantagioni e pascoli per il bestiame in aree naturali di grande importanza per la conservazione della biodiversità e la salvaguardia del clima, come le foreste. “Lottare contro i cambiamenti climatici è complicato, ma le soluzioni ci sono e bisogna agire immediatamente. Chiediamo ai governi e alle multinazionali di promuovere pratiche agricole sostenibili ed ecologiche, ma nel frattempo anche noi possiamo fare la nostra parte: una dieta più sana, con meno carne e pasti più ricchi di verdure e proteine di origine vegetale, aiuterà a migliorare l’equilibrio tra ecosistemi naturali e terreni per la produzione agricola”, spiega a LaPresse Borghi. Il rapporto dell’Ipcc fornisce anche altri importanti elementi per Greenpeace. Concentrarsi unicamente sull’uso del suolo non basterà per vincere la battaglia contro i cambiamenti climatici: per quello è fondamentale procedere all’eliminazione graduale dei combustibili fossili.