Braccio di ferro sulla sperimentazione animale

L'Italia è il paese che impone le regole più restrittive sulla sperimentazione animale. A Milano 4 mila scienziati (tra i quali i Nobel Eric Kandel e Francoise Barré-Sinoussi) firmano un manifesto contro l’eccesso di limitazioni e la scarsità dei fondi per l’innovazione. In Terris ha raccolto l’appello a favore della ricerca del professor Girolamo Sirchia, scienziato di fama mondiale ed ex ministro della Salute.

Professore, cosa deve fare il governo per mettere gli scienziati nelle condizioni di lavorare al meglio?
“In Italia la sperimentazione animale è imbrigliata da regole più stringenti di quelle richieste dall’Unione europea. E questo è un grave pericolo per la salute. E’ assolutamente necessario fare sperimentazione animale. Per ora è insostituibile”.

Animalisti italiani, Lav, Oipa e Animalisti manifestano in piazza per la revoca dell’autorizzazione al protocollo che prevede l’utilizzo e la morte di macachi per esperimenti sulla cecità. Si tratta davvero di “inutili, dolorosi e anacronistico esperimenti”?
“Per quanto non siano del tutto trasferibili all’uomo, i risultati della sperimentazione animale sono fondamentali per l’innovazione scientifica. Le caratteristiche del mondo animale sono intrinsecamente le più vicine a quello umano. Ovviamente gli esperimenti devono essere condotti in centri di ricerca adeguati, con le dovute cautele, secondo le modalità opportune e le regole ritenute eticamente ammissibili a livello internazionale. La sperimentazione non deve mai essere una strage di animali, ma oggi abolire questi test provocherebbe un disastro nell’individuazione di terapie, device e farmaci salvavita”.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte propone un’agenzia nazionale per rendere più competitiva la ricerca. E’ un passo necessario?
“E’ urgente rilanciare l’investimento pubblico nella ricerca, però bisogna mettere soldi solo se si cambia il modo di usarli. La ricerca scientifica non può più essere una greppia in cui attingere risorse senza effettivi ritorni in termini di risultati quantificabili e benefici per la collettività. Un’agenzia nazionale può servire a porre fine a una serie di doppioni e arrembaggi alle risorse pubbliche. A patto, però, che non divenga l’ennesimo carrozzone clientelare”.

Come andrebbe strutturata questa Authority?
“Come un’anagrafe, un ordine come avviene nel resto del mondo. Una struttura centrale di controllo e di conduzione c’è ovunque, ma bisogna dotarla di personale qualificato cha sappia cosa significa fare ricerca scientifica e non di burocrati che non hanno mai messo piede in un laboratorio”.

La petizione dei 4 mila scienziati (Research4Life) punta ad adeguare la legge alla direttiva europea del 2010. Come andrà a finire?
“In Italia vengono coinvolti nella sperimentazione 500 mila animali all’anno. In Germania sono 2 milioni. Negli Usa 20 milioni. Si tratta di uno strumento indispensabile. Sull’ultimo numero del “New England Journal of Medicine” simette in guardia la comunità scientifica e le istituzioni dal rischio di perdere una figura insostituibile come quella del ricercatore clinico che inventa e innova per curare i malati. Oggi è un settore non adeguatamente sostenuto. Eppure in Italia avremmo proprio le strutture adeguate per la ricerca clinica e cioè i policlinici universitari, gli istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs). Senza ricerca clinica non avanzano né la medicina né l’industria farmaceutica”.

Business e ricerca scientifica possono convivere o c’è il pericolo della corruzione?
“La ricerca industriale e quella clinica devono lavorare insieme per quanto possibile. La cronica, insostenibile frattura tra accademia e industria ha effetti disastrosi sulla ricerca scientifica. Serve una collaborazione tra questi due mondi, non una collusione. L’idea di tenere rigidamente separati i due ambiti è scriteriata e provoca una dispersione di forze, energie, risorse. Collaborare non significa essere collusi. Quando si tratta di formulare conclusioni e linee guida, ci si deve attenere alle prassi consolidate a livello universitario. Non devono esserci figure che si arricchiscono lavorando contemporaneamente per l’industria e per gli enti che fanno ricerca clinica. Cooperare alla luce del sole consente ai due contesti di evitare qualunque conflitto o commistione di interessi”.

Da ex ministro della Salute quale consiglio si sente di dare al nuovo governo?
“Sostenere la ricerca è indispensabile. Ma attenzione a destinare risorse a un sistema che prima va riformato radicalmente. Non si deve mai mettere acqua in un secchio bucato. Per aiutare davvero la ricerca scientifica c’è bisogno di un gruppo di persone che seguano linee e prassi internazionalmente collaudate in campo clinico. Guai a creare un nuovo carrozzone per piazzare in modo clientelare gente che non fa nulla e che provoca sprechi di denaro pubblico. Poi avrei un suggerimento della cui necessità ho quotidianamente riscontro”.

A cosa si riferisce?
“La legge contro il fumo nei luoghi pubblici viene colpevolmente disattesa in numerosi contesti lavorativi e di svago. Auspico che il personale dei servizi di prevenzione delle asl vangano inviati a fare le verifiche in questi luoghi. Manca una guida per applicare norme basilari per la difesa della salute pubblica. Il giro d’affari attorno al tabagismo è colossale. L’Italia è in testa alla classifica del tabacco in Europa e invece di favorirne la riconversione in altre coltivazioni agricole ci si compiace se le multinazionali acquistano il nostro prodotto. Se il punto è vantarsi di primeggiare in questa industria di morte, allora tanto vale coltivare direttamente l’oppio che è anche più remunarativo”.