Ultima messa a Kabul. La pandemia chiude l’unica chiesa cattolica in Afghanistan

Il paese, che non dispone di adeguate strutture sanitarie per rispondere ad una crisi sanitaria, vive anche uno stato di totale incertezza politica, Chiusa la cappella cattolica all'interno dell'ambasciata italiana a Kabul

Finora sono 80 i contagiati da Covid-19 registrati in Afghanistan, tra cui due diplomatici e quattro militari italiani. Il paese, che non dispone di adeguate strutture sanitarie per rispondere ad una crisi sanitaria, vive anche uno stato di totale incertezza politica, dovuta al dualismo tra il presidente eletto Ashraf Ghani e il suo avversario Abdullah Abdullah, entrambi autoproclamatisi vincitori delle ultime elezioni.

Il contagio prosegue

La cappella cattolica dell’Ambasciata italiana a Kabul (l’unica chiesa cattolica sul territorio afgano) ha sospeso le celebrazioni per rispondere alle misure di contenimento del coronavirus, riferisce a Fides padre Giovanni Scalese, sacerdote barnabita, responsabile della Missio sui iuris in Afghanistan. “A fine febbraio- afferma il sacerdote all’agenzia missionaria- avevo inviato una comunicazione sulle misure precauzionali per prevenire la diffusione della malattia covid-19. Sfortunatamente, il virus ha continuato a diffondersi. Anche se, grazie a Dio, in Afghanistan il contagio non ha raggiunto i livelli della Cina o dell’Italia, proprio l’esperienza di quei paesi suggerisce di non sottovalutare la pericolosità del virus. Il diffondersi dei primi casi a Kabul ha indotto le autorità dell’ambasciata a chiudere il compound. Quindi, lunedì 23 marzo ho celebrato l’ultima messa con le suore. La partecipazione alla messa domenicale, comunque, si era già ridotta notevolmente nelle ultime settimane, un segno che molti sono già tornati nel proprio paese”.

I riti della Settimana Santa

Padre Scalese, sottolinea Fides, continua a celebrare personalmente l’Eucarestia nella chiesa all’interno dell’ambasciata: “Non so se sarà possibile per me vivere i riti della Settimana Santa, perché richiedono la partecipazione dei fedeli o, almeno, di alcuni ministri, ma comunque, ogni volta che ci sarà la possibilità di celebrare una santa messa, lo farò”. L’esortazione di padre Scalese è quella di vivere questo tempo accompagnati dalla preghiera personale: “Incoraggio tutti a vivere il proprio cammino di fede avvalendosi delle celebrazioni e dei momenti di preghiera diffusi attraverso i mezzi di comunicazione. Vi esorto a vivere questo periodo di prova in uno spirito di penitenza e riconciliazione. Vi invito a pregare ogni giorno la Coroncina della Divina Misericordia e il Santo Rosario per noi stessi, per i nostri cari, per le vittime del Coronavirus, per gli operatori sanitari e per le autorità civili”.