Strage Via D’Amelio, Mattarella: “Borsellino pagò con la vita la propria rettitudine”

Mattarella: "La memoria di quella strage rinnova la consapevolezza della necessità dell’impegno comune per sradicare le mafie"

L’attentato di via D’Amelio, ventinove anni or sono, venne concepito e messo in atto con brutale disumanità. Paolo Borsellino pagò con la vita la propria rettitudine e la coerenza di uomo delle Istituzioni. Con lui morirono gli agenti della scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina”. Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella dichiarazione in memoria dell’attentato mafioso di via D’Amelio, dove persero la vita il giudice Borsellino e la sua scorta.

La dichiarazione di Borsellino

“La memoria di quella strage, che ha segnato così profondamente la storia repubblicana, suscita tuttora una immutata commozione, e insieme rinnova la consapevolezza della necessità dell’impegno comune per sradicare le mafie, per contrastare l’illegalità, per spezzare connivenze e complicità che favoriscono la presenza criminale”.

Paolo Borsellino, e come lui Giovanni Falcone, sapevano bene che la lotta alla mafia richiede una forte collaborazione tra Istituzioni e società. Per questo si sono spesi con ogni energia. Da magistrati hanno espresso altissime qualità professionali. Hanno intrapreso strade nuove, più efficaci, nelle indagini e nei processi. Hanno testimoniato, da uomini dello Stato, come le mafie possono essere sconfitte, hanno dimostrato che la loro organizzazione, i loro piani possono essere svelati e che i loro capi e i loro sicari possono essere assicurati alla giustizia”.

“Per questo sono stati uccisi. Non si sono mai rassegnati e si sono battuti per la dignità della nostra vita civile. Sono stati e saranno sempre un esempio per i cittadini e per i giovani. Tanti importanti risultati nella lotta alle mafie si sono ottenuti negli anni grazie al lavoro di Borsellino e Falcone”.

“La Repubblica – conclude Mattarella – è vicina ai familiari di Borsellino e ai familiari dei servitori dello Stato, la cui vita è stata crudelmente spezzata per colpire le libertà di tutti. Onorare quei sacrifici, promuovendo la legalità e la civiltà, è un dovere morale che avvertiamo nelle nostre coscienze”.

La strage di via D’Amelio

Il 19 luglio 1992, alle ore 16:59, una Fiat 126 rubata contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo del tipo Semtex-H, telecomandati a distanza, venne fatta esplodere in via Mariano D’Amelio al civico 21 a Palermo, sotto il palazzo dove all’epoca abitavano Maria Pia Lepanto e Rita Borsellino (rispettivamente madre e sorella del magistrato), presso le quali il giudice quella domenica si era recato in visita.

Lo scenario descritto da personale della locale Squadra Mobile giunto sul posto parlò di “decine di auto distrutte dalle fiamme, altre che continuano a bruciare, proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla chiedendo aiuto, nonché alcuni corpi orrendamente dilaniati”. L’esplosione causò inoltre, collateralmente, danni gravissimi agli edifici ed esercizi commerciali della via, danni che ricaddero sugli abitanti.

Messina Denaro: l’anello stragista

A novembre 2019 si è concluso in appello il quarto processo per la strage di via D’Amelio, confermando la condanna all’ergastolo per i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino, imputati il primo come mandante e il secondo come esecutore della strage, e a 10 anni per i falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci, accusati di calunnia.

Il 21 ottobre 2020 – ricostruisce Agi – la Corte d’Assise di Caltanissetta ha condannato all’ergastolo Messina Denaro, riconosciuto tra i mandanti delle stragi del 1992 e già condannato per le bombe del 1993 a Firenze, Roma e Milano.

La sentenza ha riconosciuto il ruolo nella ‘strategia stragista‘ di Cosa nostra del latitante, quale anello di collegamento tra le bombe del 1992 e gli attentati nel nord Italia, a Firenze, Milano e Roma del 1993. I magistrati di Caltanissetta stanno adesso anche valutando la consistenza dello spunto su via d’Amelio emerso dalle intercettazioni in carcere di Totò Riina, da cui si evincerebbe la presenza, in via D’Amelio del latitante, bollato in altri passaggi intercettati come “quello della luce”, in relazione ai suoi interessi nel business delle energie rinnovabili.