Perché il coronavirus sarebbe un problema per l'Italia

Resistere! Resistere!”. Quello che in altre circostanze sarebbe stato un inno alla resistenza cinese, è in realtà l'urlo della città di Wuhan, che con 11 milioni di abitanti è stata messa, a tutti gli effetti, in quarantena. Mentre scende la coltre di nebbia sulla città nella regione-focolario di Hubei, dalle finestre dei grattacielli si sente l'urlo di speranza della gente rintanata nelle case per non diffondere il contagio del virus 2019-nCoV, finora risultato fatale per 132 persone, e che ha superato per diffusione i contagi della Sars, la Sindrome respiratoria acuta grave che nel 2003 costò la vita a 349 persone, stando ai dati dell'Organizzazione Mondiale della Sanità. In Europa, i contagi accertati sono in Francia e in Baviera, dove sono scattate diverse misure preventive, a cominciare degli asili, dopo la scoperta della trasmissione del virus da parte della dipendente cinese di una società tedesca asintomatica a tre suoi colleghi.

Difficoltà di gestione

Il coronavirus può causare crisi respiratorie acute che inducono a polmoniti e, in taluni casi, alla morte perché, a differenza di una normale influenza, il virus penetra fino agli alveoli polmonari. Finora non è stata trovata una cura specifica sebbene la sua aggressività non sia al livello di quella della già citata Sars. Interris.it lo ha chiesto al virologo Giovanni Maga, Direttore dell'Istituto di Genetica Molecolare del Cnr.

Professore, che cosa sappiamo in più rispetto a sette giorni fa? 
“Non moltissimo, in realtà. Abbiamo solo qualche idea in più relativa all'andamento dell'epidemia. I casi continuano ad aumentare, ma questo non deve stupire perché i numeri sono confermati da un test diagnostico i cui risultati vengono rilasciati a blocchi nel tempo. L'epidemia è, tuttavia, ancora attiva, però sempre nella zona calda, con epicentro a Wuhan. Sembra che la sua efficienza di trasmissione sia, inoltre, superiore all'influenza stagionale, anche se è difficile fare una stima con l'epidemia in corso”

In che senso?
“Prendiamo il caso dell'influenza: ha un tasso di infezione per cui una persona infetta può contagiare 1,5 persone. Al momento, sempre su proiezioni epidemiologiche, si può dire che questo virus può infettare quasi il doppio (con un tasso di contagio del 2,5). In realtà, si tratta di valutazioni abbastanza contrastanti. Sembrerebbe, inoltre, che la trasmissione di questo virus non sia rapida come l'influenza, quindi è probabile che il numero sembri più alto, ma non rifletta il reale potenziale d'infezione”.

E a livello globale, invece?
“Globalmente, si tratta di un virus che si diffonde rapidamente, non è particolarmente letale rispetto alla Sars (che ha un tasso di letalità del 2%, mentre la Sars raggiungeva il 10%), però può causare sintomi gravi come la polmonite. Piuttosto, aumenta la domanda di coloro che chiedono assistenza ospedaliera. Nella zona calda, il problema è quello dei posti letto, perché il numero delle persone contagiate comincia a diventare importante. Al di fuori della Cina i casi sono limitati, circa 87 casi”.

E nel caso della donna che ha infettato i suoi colleghi senza presentare sintomi?
“L'assenza di sintomi può essere unproblema, ma anche questo aspetto non è infrequente. La stessa influenza normale presenta caratteri analoghi. A oggi noi non sappiamo quale sia il tempo di incubazione virus, il perido più lungo attestato finora è di 14 giorni, ma non sappiamo nemmeno quando la persona è infettiva. Per questo è importante tenere sotto controllo le persone attenzionate, magari prolungando un periodo di isolamento. I protocolli prevedono un monitoraggio per un periodo successivo. Le autorità sanitarie dovrebbero verificare se queste persone manifestano i sintomi e recarsi da un medico se ne hanno di più acuti. Più l'epidemia si fa intensa, più bisogna avere cautela. Al moemtno, possiamo dire che misure di contenimento funzionano perché il numero casi bassissimo. Per cui non 'è motivo allarme per la popolazione, ma di allerta”.

La Farnesina ha annuciato che domani torneranno gli italiani che si trovano nella regione-epicentro. Come reputa questa scelta?
“L'Organizzazione mondiale della sanità ha innalzato il livello di emergenza sanitaria, ma non bisogna fare allarmismo. Il trasporto via aerea è una questione delicata. È chiaro che la preoccupazione del Governo sia portare connazionali in un'area sicura, perché lasciarli lì li espone a un rischio di gran lunga maggiore. Se si parla di come farlo, è necessario farlo con necessarie cautele, perché il trasporto di persone dev'essere fatto con tutti i protocolli di sicurezza, che includerebbero la quarantena. Il ministero della Sanità ha protocolli precisi: l'importante è che il pubblico non pensi che ritornare in Italia significhi ritornare prontamente a casa propria. Sono necessari controlli e periodi di quarantena”.

Qual è il profilo della persona a rischio?
“Sicuramente gli anziani o persone nelle quali c'è un indebolimento del sistema immunitario, per le quali il coronavirus andrebbe ad aggravare patologie croniche. Pochi, invece, i casi d'infezione di bambini piccoli”. 

Secondo l'Istat, al 1 gennaio 2019 gli over 65enni in Italia erano 13,8 milioni, circa il 23% della popolazione nazionale. Un eventuale contagio potrebbe rendere il Paese vulnerabile?
“Se il coronavirus dovesse arrivare in Italia, la situazione italiana sarebbe più critica. Soprattutto perché gli anziani oggi sono già a rischio per l'influenza, che viene spesso sottostimata. Oggi uno dei problemi che abbiamo in Italia è che ci si vaccina poco e gli anziani sono sempre più esposti: nel mondo muoiono da 300mila a 500mila anziani, in Italia si può arrivare a un migliaio di morti per influenza. Quindi, innanzitutto ci dev'essere consapevolezza del problema e poi si dovrebbe tenere a mente che un contagio esponenziale peserebbe sulla nostra capacità assistenziale. In altre parole, gli ospedali non sarebbero in grado di assistere così tante persone”.

Made in Italy minacciato?

Il coronavirus non è, tuttavia, solo un'emergenza sanitaria. Lo ha mostrato l'andamento altalenante della Borsa di Hong Kong che, dopo il Capodanno lunare, ha riaperto con l'indice Hang Seng al 2,82%, con un calo – riporta Il Sole24ORE – di circa 789 punti. E mentre restano chiusi i mercati azionari di Shanghia e Shenzhen, almeno fino al 1 febbraio, alcune compagnie estere, da Ikea a Starbucks, hanno deciso di sospendere le loro produzioni nell'Impero Celeste per evitare la diffusione dell'infezione sul luogo di lavoro. Interris.it ha chiesto l'impatto del virus sull'economia a Giuseppe Di Taranto, professore emerito di Economia alla Luiss (Roma) e docente di Economia all'Universtà degli Studi Suor Orsola Benincasa (Napoli)

Il virus avrà degli effetti economici a livello globale?
“Si tratta di previsioni difficili, se non azzardate, perché dipenderà dalla diffusione e dall'intensità del virus, oltre che dai rapport geoeconomici della Cina con il resto del mondo. Finora è stato  calcolato che il coronavurs ha portanto a una riduzione dell'1,2% del pil della Cina, che già sta subendo un decremento dall'8 al 6% dovuta alla guerra commerciale con gli Stati Uniti. Ciò che è importante è, a mio avviso, capire il ruolo della Cina nel commercio mondiale”.

Cosa significa?
“La Cina è fra i principali attori del commercio mondiale. Sulle esportazioni, il Paese ha una quota del 16%, vicina a quella dell'Unione Europea, mentre gli Stati Uniti si attestano all'11%. Se si guarda alle importazioni, invece, gli Usa sono al primo posto, seguita dall'Ue, mentre la Cina si attesta al terzo posto. All'interno del processo di glibalizzazione, mondiale, quindi, quasi la metà del commercio mondiale è in mano alla Cina, insieme a Stati Uniti ed Europa. Se, dunque, colleghiamo il virus ai flussi commerciali, c'è da preoccuparsi”.

Si può parlare di emergenza, anche in tal senso?
“Occorre non fare allarmismo, però, perché spesso l'aspettativa dell'evento può fare più danni dell'evento stesso ed ingrandire un fenomeno che, quando si realizza, è meno cruento. Sulla scelta di compagnie come Starbuck o Toyota, io direi che si tratti di prudenza, piuttosto: è indubbbio che riunire più lavoratori in Cina può avere delle conseguenze”.

L'Italia subirà alcuni effetti economici del coronavirus?
“Certamente, il nostro Paese ha saldi rapporti commerciali con la Cina. L'esportazione registra un ammontare di 13 miliardi e le importazioni sono più del doppio. Tra l'altro, quest'anno dovrebbero festeggiarsi i 50 anni di relazioni economico-commerciali con la Cina: per ora alcune manifestazioni previste in Estremo Oriente sono state annullate. Gli effetti del coronavirus potrebbero riflettersi sul Made in Italy, che si traduce nei beni d'alta gamma esportati in Cina: questo significa che alcuni beni di lusso potrebbero risentirne l'effetto, come già dimostra, a livello mondiale, il deprezzamento in Borsa di alcune griffe. Ma Made in Italy significa anche il settore agro-alimentare, con prodotti che esportiamo e che potrebbero subire la riduzione dei flussi commerciali verso Pechino. Per ora quest'effetto è visibile nell'andamento altalenante delle Borse”.