Papa in udienza dopo la pausa estiva: “In Canada è stato un pellegrinaggio penitenziale”

Papa: "La fortezza e l’azione pacifica dei popoli indigeni del Canada sia di esempio per tutte le popolazioni originarie a non chiudersi, ma ad offrire il loro indispensabile contributo per un’umanità più fraterna"

Il Papa all'udienza Generale in Aula Paolo VI (Fonte: Vatican Media)

Papa Francesco ha fatto ingresso stamane alle 9:00 nell’Aula Paolo VI, dove stamane ha tenuto l’udienza generale, la prima dopo la pausa osservata in tutto il mese di luglio.

Accolto dall’ovazione delle migliaia di pellegrini, il Pontefice, che cammina appoggiandosi a un bastone per i problemi al ginocchio, è entrato dall’ingresso posto sul palco e, senza scendere nella platea, ha salutato e benedetto i presenti. Riportiamo la catechesi integrale del Papa.

La catechesi del Papa

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi vorrei condividere con voi alcune riflessioni sul viaggio apostolico che ho compiuto in Canada nei giorni scorsi. Si è trattato di un viaggio diverso dagli altri. Infatti, la motivazione principale era quella di incontrare le popolazioni originarie per esprimere ad esse la mia vicinanza e il mio dolore e chiedere perdono per il male loro arrecato da quei cristiani, tra cui molti cattolici, che in passato hanno collaborato alle politiche di assimilazione forzata e di affrancamento dei governi dell’epoca.

In questo senso, in Canada è stato intrapreso un percorso per scrivere una nuova pagina, una pagina importante, del cammino che da tempo la Chiesa sta compiendo insieme ai popoli indigeni. E infatti il motto del viaggio era ‘Camminare insieme’. Un cammino di riconciliazione e di guarigione, che presuppone la conoscenza storica, l’ascolto dei sopravvissuti, la presa di coscienza e soprattutto la conversione, il cambiamento di mentalità. Da questo approfondimento risulta che, per un verso, alcuni uomini e donne di Chiesa sono stati tra i più decisi e coraggiosi sostenitori della dignità delle popolazioni autoctone, prendendo le loro difese e contribuendo alla conoscenza delle loro lingue e culture; ma, per altro verso, non sono purtroppo mancati quanti hanno partecipato a programmi che oggi capiamo che sono inaccettabili e contrari al Vangelo.

È stato dunque un pellegrinaggio penitenziale. Tanti sono stati i momenti gioiosi, ma il senso e il tono dell’insieme è stato di riflessione, pentimento e riconciliazione. Quattro mesi fa avevo ricevuto in Vaticano, in gruppi distinti, i rappresentanti dei popoli originari del Canada; ma il mio desiderio, come il loro, era di poterci incontrare là, nelle terre dove vissero i loro antenati. E il Signore ha permesso che ciò avvenisse: a Lui per primo va il nostro ringraziamento.

Le grandi tappe del pellegrinaggio sono state tre: la prima, a Edmonton, nella parte occidentale del Paese. La seconda, a Québec, nella parte orientale. E la terza nel nord, a Iqaluit. Il primo incontro si è svolto a Masqwacis – “La collina dell’orso” – dove sono convenuti da tutto il Paese capi e membri dei principali gruppi indigeni: First Nations, Métis e Inuit. Insieme abbiamo fatto memoria: la memoria buona della storia millenaria di questi popoli, in armonia con la loro terra, e la memoria dolorosa dei soprusi subiti, anche nelle scuole residenziali, a causa delle politiche di assimilazione culturale. Accompagnati dal suono dei tamburi, abbiamo lasciato spazio al silenzio e alla preghiera, perché dalla memoria possa ripartire un cammino nuovo, senza più dominatori e sudditi, ma solo fratelli e sorelle.

Dopo la memoria, il secondo passo del nostro cammino è stato quello della riconciliazione. Non un compromesso tra noi – sarebbe un’illusione, una messa in scena – ma un lasciarsi riconciliare da Cristo, che è la nostra pace (cfr Ef 2,14). L’abbiamo fatto tenendo come riferimento la figura dell’albero, centrale nella vita e nella simbologia dei popoli indigeni; l’albero, il cui senso nuovo e pieno si svela nella Croce di Cristo, mediante il quale Dio ha riconciliato tutte le cose (cfr Col 1,20). Sull’albero della croce il dolore si trasforma in amore, la morte in vita, la delusione in speranza, l’abbandono in comunione, la distanza in unità. Le comunità indigene che hanno accolto e assimilato il Vangelo ci aiutano a recuperare la dimensione cosmica del mistero cristiano, in particolare della Croce e dell’Eucaristia. Intorno a questo centro si forma la comunità, la Chiesa, chiamata ad essere una tenda aperta, spaziosa e accogliente, la tenda della riconciliazione e della pace.

Memoria, riconciliazione, e quindi guarigione. Abbiamo fatto questo terzo passo del cammino sulle rive del Lago Sant’Anna, proprio nel giorno della festa dei Santi Gioacchino e Anna. Per Gesù il lago era un ambiente familiare: sul lago di Galilea ha vissuto buona parte della sua vita pubblica, insieme ai primi discepoli, tutti pescatori; lì ha predicato e ha guarito tanti malati (cfr Mc 3,7-12). Tutti possiamo attingere da Cristo, fonte di acqua viva, la Grazia che guarisce le nostre ferite: a Lui, che incarna la vicinanza, la compassione e la tenerezza del Padre, abbiamo portato i traumi e le violenze subiti dai popoli indigeni del Canada e del mondo intero; abbiamo portato le ferite di tutti i poveri e gli esclusi delle nostre società; e anche le ferite delle comunità cristiane, che sempre hanno bisogno di lasciarsi risanare dal Signore.

Da questo percorso di memoria, riconciliazione e guarigione scaturisce la speranza per la Chiesa, in Canada e in ogni luogo. I discepoli di Emmaus dopo aver camminato con Gesù risorto: con Lui e grazie a Lui passarono dal fallimento alla speranza (cfr Lc 24,13-35). Quante volte nella storia i discepoli di Cristo hanno ripercorso questa strada di Emmaus! Quante volte, dopo aver sperimentato lo scandalo della croce, a causa dei propri peccati, i cristiani hanno ritrovato la speranza grazie alla fedeltà del Signore! Lui mai ci abbandona, sempre si affianca ai nostri passi stanchi e tristi, ci conforta con la sua Parola e ci dona Sé stesso, Pane di vita nuova ed eterna.

Come dicevo all’inizio, il cammino insieme ai popoli indigeni ha costituito l’asse portante di questo viaggio apostolico. Su di esso si sono innestati i due incontri con la Chiesa locale e con le Autorità del Paese, alle quali desidero rinnovare la mia sincera gratitudine per la grande disponibilità e la cordiale accoglienza che hanno riservato a me e ai miei collaboratori. Davanti ai Governanti, ai Capi indigeni e al Corpo diplomatico ho ribadito la volontà fattiva della Santa Sede e delle Comunità cattoliche locali di promuovere le culture originarie, con percorsi spirituali appropriati e con l’attenzione alle usanze e alle lingue dei popoli. Nello stesso tempo, ho rilevato come la mentalità colonizzatrice si presenti oggi sotto varie forme di colonizzazioni ideologiche, che minacciano le tradizioni, la storia e i legami religiosi dei popoli, appiattendo le differenze, concentrandosi solo sul presente e trascurando spesso i doveri verso i più deboli e fragili.

Si tratta dunque di recuperare un sano equilibrio, un’armonia tra la modernità e le culture ancestrali, tra la secolarizzazione e i valori spirituali. E questo interpella direttamente la missione della Chiesa, inviata in tutto il mondo a testimoniare e “seminare” una fraternità universale che rispetta e promuove la dimensione locale con le sue molteplici ricchezze (cfr Enc. Fratelli tutti, 142-153). «In realtà, una sana apertura non si pone mai in contrasto con l’identità. […] Il mondo cresce e si riempie di nuova bellezza grazie a successive sintesi che si producono tra culture aperte, fuori da ogni imposizione culturale» (ibid., 148). In questo senso, ho incoraggiato i pastori, i consacrati e i laici della Chiesa in Canada a seguire le orme di San François de Laval, primo Vescovo di Québec: a servire il Vangelo e i poveri, per essere costruttori di speranza.

E nel segno della speranza è stato l’ultimo incontro, nella terra degli Inuit, con giovani e anziani. Anche in Canada questo è un binomio-chiave, è un segno dei tempi: giovani e anziani in dialogo per camminare insieme nella storia tra memoria e profezia. La fortezza e l’azione pacifica dei popoli indigeni del Canada sia di esempio per tutte le popolazioni originarie a non chiudersi, ma ad offrire il loro indispensabile contributo per un’umanità più fraterna, che sappia amare il creato e il Creatore.