Palermo: blitz contro il clan Torretta, 11 misure cautelari

Le indagini hanno documentato il legame con esponenti di spicco di "cosa nostra" statunitense capace di condizionare gli assetti della cosca

I Carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno eseguito una misura cautelare nei confronti di 11 persone accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, detenzione di stupefacenti, favoreggiamento personale e tentata estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Sarebbero – scrive Ansa – tutti componenti del clan mafioso di Torretta, comune in provincia di Palermo, da sempre con solidi legami con la mafia newyorkese.

Le indagini coordinate dalla Dda hanno portato nove persone in carcere, una agli arresti domiciliari e una all’obbligo di dimora nel comune di residenza.

La roccaforte mafiosa degli ‘scappati’

Al centro dell’indagine, condotta dal Nucleo investigativo dei Carabinieri e coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, ci sono il mandamento di Passo di Rigano e la famiglia mafiosa di Torretta, un piccolo borgo con poco più di 4.000 abitanti nell’hinterland palermitano, da sempre roccaforte mafiosa alleata dei cosiddetti ‘scappati‘, boss della fazione sconfitta dai corleonesi di Totò Riina al termine della seconda guerra di mafia e costretti all’esilio negli Usa.

Il clan Torretta

Ruolo di rilievo nel clan avrebbe Raffaele Di Maggio, figlio dello storico esponente mafioso Giuseppe Di Maggio detto “Piddu”, ucciso e gettato in mare legato mani e piedi – in classico stile mafioso – nel gennaio 2019.
Giuseppe Di Maggio, 42 anni, era a sua volta il figlio dello storico capo mafia di Cinisi, Don Procopio.

Fedelissimi del boss erano Ignazio Antonino Mannino, anche lui con funzione direttiva e organizzativa, Calogero Badalamenti cui era stata affidato il controllo sul territorio di Bellolampo, Lorenzo Di Maggio, detto ‘Lorenzino’ scarcerato nell’agosto del 2017 e sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di Carini, Calogero Caruso, detto Merendino, ritenuto una figura di vertice della ‘famiglia’, il nipote Filippo Gambino e Calogero Christian Zito, che faceva la spola tra la Sicilia e gli Usa.

Le mani del clan sulle opere pubbliche

Le attività indagine hanno interessato anche due fratelli imprenditori edili di Torretta. La mafia di Torretta si sarebbe infatti inserita nel tessuto economico legale, tra edilizia, agricoltura e allevamento di bestiame attraverso il diretto intervento nelle dinamiche di compravendita degli animali e dei terreni.

Il clan – prosegue Ansa – avrebbe controllato inoltre le commesse pubbliche e private non solo a Torretta, dove sarebbe riuscito ad infiltrarsi nella locale amministrazione influenzando e modificando l’esito delle elezioni comunali del 2018, fino allo scioglimento del Comune del 2019, ma anche nei comuni limitrofi di Capaci, Isola delle Femmine e Carini, oltre che in alcuni quartieri di Palermo che fanno capo al “mandamento” di Passo di Rigano.

I carabinieri hanno ricostruito i numerosi incontri riservati organizzati nelle campagne per sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine tra gli affiliati del clan di Torretta ed in particolare un summit avvenuto la sera del 21 novembre 2018 in casa di Raffaele Di Maggio boss ai vertici del clan, arrestato oggi. Alla riunione presero parte anche Ignazio Antonino Mannino, e Calogero Badalamenti.

Forte il legame con la mafia americana

L’inchiesta ha inoltre accertato il solido e storico legame tra il clan mafioso di Torretta (Pa) e la mafia americana. Lo ha accertato l’inchiesta dei carabinieri che ha portato all’esecuzione di 11 misure cautelari.

Le indagini hanno documentato il legame con esponenti di spicco di “cosa nostra” statunitense capace di condizionare, attraverso propri emissari, gli assetti criminali della cosca.

Infatti, alla fine del mese di settembre del 2018 un emissario di Cosa nostra americana è stato accolto dai vertici della famiglia mafiosa di Torretta. La permanenza dell’uomo in zona fu coperta, tra gli altri, da due fratelli imprenditori che, dividendosi i ruoli, lo avrebbero preso in aeroporto e ne avrebbero garantito il soggiorno in una lussuosa villa con piscina di Mondello, regalandogli la cocaina in segno di benvenuto.

Nel periodo trascorso sull’isola, l’emissario avrebbe preso parte ad una riunione nell’abitazione del boss Raffaele Di Maggio, il 3 ottobre 2018 a Torretta, e a un secondo incontro nel comune di Baucina (Pa).

Scampata l’escalation di violenze

All’indomani dell’omicidio del mafioso americano Frank Calì detto “Franky Boy”, avvenuto a Staten Island (New York) la sera del 13 marzo 2019, i carabinieri hanno registrato una serie di fibrillazioni tra i mafiosi del clan palermitano. Nei giorni successivi, il figlio di uno degli indagati è partito per gli Usa e durante la sua permanenza a New York ha incontrato diverse persone tra cui proprio l’emissario arrivato a Torretta nel settembre 2018. Rientrato dal viaggio, il giovane ha raccontato il clima di profonda tensione creatosi sulla sponda americana, esprimendo le proprie valutazioni su chi sarebbe subentrato a Calì alla guida della compagine mafiosa americana.

A Torretta inoltre i carabinieri hanno registrato i commenti “di prima mano” di alcuni degli indagati che conoscevano personalmente Frank Calì e che, in un primo momento, avevano temuto che l’episodio potesse provocare una pericolosa escalation di violenze nella quale avrebbero rischiato di rimanere direttamente coinvolti anche altri soggetti. Cosa poi non avvenuta.