Nel carcere bolognese pochi detenuti hanno scelto di votare

Sono state solo una quindicina le richieste inoltrate dall’amministrazione penitenziaria all’ufficio elettorale di Bologna, da parte dei detenuti del carcere Dozza chiamati ad esprimere la propria preferenza alle Elezioni Regionali appena concluse. Delle poche domande, circa la metà sono state accettate: tra le cause di rigetto, l’interdizione dai pubblici uffici e problemi di residenza. Quindi, solo pochissime persone hanno espresso la propria scelta politica. Questo, in netta controtendenza rispetto ai restanti votanti della Regione. Infatti, dopo anni in cui è stata in caduta libera, è tornata a crescere sensibilmente l'affluenza alle urne. In questa tornata elettorale l'Emilia Romagna ha fatto un vero e proprio boom di presenze: alle 23 di domenica 27 gennaio, è andato a votare il 67,67% degli aventi diritto, ben trenta punti in più rispetto al 2014 quando andò a votare solo il 37,76% degli elettori emiliano-romagnoli. Un exploit che ha portato alla vittoria del candidato di centro-sinistra Stefano Bonaccini che ha attribuito il successo all'aver saputo recuperare il voto degli astenuti e ha ringraziato il Movimento delle Sardine per le migliaia di persone (tra cui tantissimi giovani) che hanno saputo portare in piazza e, presumibilmente, alle urne. Il carcere di Dozza presenta problematiche comuni alle case circondariali italiane. L'istituto – scrive Antigone – presenta un livello di sovraffollamento importante: 826 detenuti (di cui 79 donne) a fronte di una capienza regolamentare di 500 posti. Altissima la percentuale di stranieri sul totale dei detenuti: sono più del 60 per cento della popolazione (contro una media del 30%) e provengono principalmente da Marocco, Tunisia, Albania e Romania.

Il commento

InTerris.it ha chiesto un commento sulla defezione al voto dei detenuti a Giorgio Pieri, responsabile della Comunità Educante con i Carcerati (Cec) dell'Associazione Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. “L'uomo non è il suo errore!” era una delle frasi di don Oreste, secondo cui è necessario passare dalla certezza della pena alla “certezza del recupero”: “solo un uomo recuperato e rieducato alla Vita non è più pericoloso. La giustizia vendicativa, al contrario, produce persone che scelgono di nuovo la via delinquenziale. La società può e deve coinvolgersi nel recupero dell’uomo che sbaglia”. Come interpretare la mancanza di presenza alle Regionali da parte dei detenuti? “Io la interpreto in questi termini”, esordisce Pieri: “essendo regionali, per quanto sia un appuntamento significativo, per i carcerati è probabilmente solo un evento relativamente poco importante. Questo perché, sapendo che non cambia il Governo, i detenuti pensano che non cambierebbero neppure le leggi che in qualche modo possono influenzare o modificare la loro permanenza in carcere, dalla durata della pena, alla modalità di detenzione, dalla possibilità o meno di lavorare all'esterno o di essere accolti in una Comunità educante con i carcerati. Bisogna tenere inoltre conto che circa il 30% dei detenuti nelle carceri italiane è di origine straniera, e dunque non vota perché non ha la cittadinanza. Una percentuale che in Emilia-Romagna è addirittura più alta, tanto da arrivare a circa il 45-60% (a seconda dei periodi) delle presenze totali: vale a dire che oltre la metà dei detenuti in Emilia non ha diritto di voto. Se a questi aggiungiamo tutti quelli che non hanno fissa dimora, perciò non hanno né la residenza né un documento di identità valido, la percentuale relativa degli aventi diritto si abbassa ulteriormente. Aggiungo però che l'Emila-Romagna ha particolarmente a cuore il futuro e il reinserimento sociale dei detenuti. La passata amministrazione, confermata dai risultati del voto di domenica scorsa, ha preso (con una delibera specifica) un importante impegno di spesa a favore delle pene alternative. La Regione adesso deve dimostrare la volontà di onorare l'impegno preso”. “Insomma – conclude Pieri – speriamo che questo nuovo inizio porti buone notizie”.