Nascere al tempo della pandemia. I figli della quarantena

Corsi pre-parto on line, controlli annullati per evitare il contagio, travaglio con mascherina e guanti. Partorire durante l'emergenza sanitaria è un percorso ad ostacoli

Sono i “figli della quarantena” e come nelle gravidanze in tempo di guerra metterli al mondo è per i loro genitori un mix di paure e speranze. Un autentico percorso ad ostacoli.

 

Dalla finestra

Luca (il nome è di fantasia, precisa Dire che ha raccolto in un dossier le testimonianze di quattro coppie di genitori) ha poco più di dieci giorni. I nonni e lo zio, quando il sole è alto, scendono nel cortile della loro villetta vicino Roma per guardarlo dalla finestra, in braccio alla sua mamma. Probabilmente potranno stringerlo tra le braccia solo quando avrà un paio di mesi perché “la paura  tanta“, racconta la mamma, tornata a casa a due giorni dal parto al policlinico Gemelli di Roma, in dimissione precoce. Una maternità sbocciata in mascherina, la stessa che Vanessa ha tenuto “per l’intero travaglio e durante il parto, molto fastidiosa durante la respirazione, tanto che non so se l’ho tenuta sempre. Non ricordo”, dice. Il contagio da coronavirus montava in Italia proprio durante l’ultimo mese di gravidanza di Vanessa, segretaria di 32 anni, diventata mamma del suo primo bambino in una tiepida nottata di primavera. Tre i monitoraggi a distanza ravvicinata effettuati durante la 40° settimana, la penultima di marzo.

A distanza di sicurezza

“All’ingresso del Pronto Soccorso ostetrico c’era un’infermiera che misurava la temperatura – racconta – La mascherina era d’obbligo, io per precauzione ho messo anche i guanti. Mi hanno fatto entrare da sola, ho compilato un modulo relativo al coronavirus. Nella sala d’attesa, con le altre donne, abbiamo mantenuto la distanza di sicurezza. Nonostante le precauzioni, non nego di aver avuto paura del contagio quando ero in ospedale”. Dopo l’ultimo monitoraggio, il 25 marzo, Vanessa viene ricoverata. Il bimbo è pronto a venire al mondo. Passano 16 lunghe ore, “mi hanno fatto l’epidurale e sono riuscita a riposare un pò. Del parto ricordo poco, medici e ostetriche avevano tutti la mascherina“. Obbligatoria anche in camera, dopo il parto. “Siamo andati al reparto maternità tutti e tre, ci hanno messo a disposizione un’intera stanza con il bagno- aggiunge Vanessa-. Non potevamo andare in giro nei corridoi ovviamente, le ostetriche quando entravano ci chiedevano sempre di rimettere la mascherina. Due giorni in quella camera senza che nessuno potesse venire da fuori”. Foto, video, messaggi. Luca lo hanno conosciuto così i suoi nonni, gli zii. Dallo schermo di uno smartphone. “Ti aspetti un giorno di festa, come in effetti è stato. Solo che non ho potuto condividerlo- è il rammarico della mamma-.Così, tutto a distanza, è stata una cosa molto fredda. Mi è mancato non poter vivere quel momento con le persone a me care”. Il rientro a casa, dopo due giorni, “è stato un sollievo, perché comunque avevo paura di poter prendere qualcosa in ospedale, o che potesse prenderlo il bambino. Dopo altri due giorni, però, siamo dovuti tornare per la prima visita pediatrica. Quando siamo arrivati nel reparto abbiamo visto altre persone, ma tendevano a far entrare ogni coppia in stanze vuote, in attesa del medico, senza creare folla in corridoio”. La neo-mamma, anche se questo momento lo immaginava diverso, è felice. “Luca è bellissimo. Vorrei tanto portarlo fuori, con queste belle giornate. Invece dovrò restare a casa. E mia madre dovrà continuare a vederlo dal vetro della
mia finestra“.

Tra paure e speranze

“Quando ho sentito il battito la prima volta e’ stato tutto surreale. Ero concentrata su quell’emozione, che però è stata inquinata dal fatto che non ho potuto vedere un sorriso intorno a me. Io ho sorriso, ma né il mio compagno né la ginecologa probabilmente se ne sono accorti“. Nella testa e nel cuore di Claudia (il nome è di fantasia), impiegata di 31 anni incinta alla nona settimana, il ricordo dell’ecografia della prima maternità sarà ancora più indelebile. Le mascherine a coprire metà del viso sono nelle sue parole quelle “necessarie attenzioni che hanno appesantito un momento di bellezza“. Di essere in dolce attesa Claudia, che vive da quattro anni col compagno a Roma, l’ha scoperto il 4 marzo scorso, “in quei giorni strani che hanno preceduto il lockdown e al centro-sud ancora non era chiaro cosa sarebbe successo. La prima cosa a cui ho pensato quando cominciavo ad avere il sospetto che avrebbero fermato tutto– racconta a Dire– era che forse non avrei avuto la possibilità di dirlo a mia madre di persona. Ed è quello che è successo”.  Quella mamma “in Nord Italia“, con la quale Claudia ha sempre avuto “un legame speciale. Avrei voluto condividere con lei questo momento importante e mi è toccato dirglielo per telefono. Io, la sua unica figlia, incinta per la prima volta nella vita, che non sa quando potrà rivedere”.

Bollettini drammatici

L’emergenza coronavirus che da settimane drammaticamente inchioda l’Italia ai bollettini di morti e nuovi contagiati della Protezione Civile, media tutto e tutto rende asettico. Anche la scoperta della maternità. “La coppia che era nello studio della ginecologa appena è uscita l’hanno fatta entrare in una stanza per evitare l’incontro con noi”, racconta Claudia, che di quella giornata ricorda anche i minimi particolari: “Quando entri nello studio trovi scritto: “lavati le mani e metti l’amuchina“. Siamo arrivati senza mascherina perché non l’avevamo trovata, ce l’ha data l’infermiera. Mi sono dovuta spogliare stando attenta a poggiare i vestiti su un’unica superficie“, in un’atmosfera “guardinga. La ginecologa alla fine ci ha detto di andare a festeggiare, senza esagerare. Cosa avrebbe fatto Claudia una volta uscita da quello studio? Andare a passeggiare all’aperto in una profumata giornata di primavera – immagina – magari stare fuori l’intera giornata, anche a cena. Sono momenti che sarebbero potuti essere splendidi, che sono belli lo stesso, ma vissuti con costrizione. Se penso che dovrò fare tutta la gravidanza così”. Insofferenza, frustrazione. È quello che prova Claudia con la “consapevolezza che tutte le sensazioni nuove della prima gravidanza sarebbe stato bello viverle in un contesto più semplice, naturale e spontaneo, dalla condivisione della quotidianità, alle cene con gli amici, ai concerti, ai viaggi, al vedere mia madre. E invece- sottolinea- la vivo come se non fossi incinta. Anche se spesso penso che in mezzo alla morte io ho la fortuna di avere una vita dentro”.

In sospensione

Anche Carlotta, pasticciera di 33 anni all’ottava settimana, la sta vivendo “come se fossi in standby”. Non era programmata questa prima maternità, “aspettavamo un momento economico migliore. Ma è successo con un tempismo che non è dei migliori dal punto di vista sanitario- racconta a Dire– perché non puoi sapere se sarai contagiato dal coronavirus, nonostante le accortezze”. Per Carlotta è stato difficile anche trovare una ginecologa dalle sue parti, a sud di Roma: “La struttura dove vado di solito è chiusa, ho provato a chiamare un altro centro privato ma niente: chiuso anche quello. E allora ho sentito una mia parente che ha lo studio a Roma per farmi consigliare. E poi ho deciso di farmi seguire da lei, anche se ogni visita sarà un viaggio. Ma in questo momento ho bisogno di essere rassicurata”. Indossava “guanti, mascherina e camice durante la prima visita, il 14 aprile tornerò per un nuovo controllo e mi ha detto che cercherà di concentrare i vari test sul feto in modo da andare il meno possibile“.

L’ansia che non passa

Tante le preoccupazioni. “Ogni giorno mi chiedo: starò facendo tutto il possibile affinché tutto vada bene? Io sto a casa, cerco di mangiare bene e bere tanto, mi lavo spesso le mani e più spesso la casa, mi riposo appena ho un crampetto. Però mi viene voglia di fare le analisi più spesso, perché questa situazione fa aumentare l’ansia a chi già ne soffre. E poi il lavoro..”. Il lockdown, infatti, per Carlotta è arrivato proprio quando gli affari sembravano andar bene. “Ho avviato da poco la mia attività di pasticceria, una microimpresa domestica- racconta- Avevo tutti i weekend di aprile già pieni di
prenotazioni: feste di pensione, battesimi, compleanni, eventi, anniversari di matrimonio. Tutto cancellato, nessuno festeggia, le cerimonie sono annullate. Avrò perso almeno mille euro, senza contare maggio. Mio marito, uno sportivo, è fermo anche lui. La
nostra vita ora è un grande punto interrogativo”. Forse per questo Carlotta ha deciso di dare la bella notizia ad una cerchia ristretta di familiari: “In un altro momento magari avrei messo i manifesti- dice- E invece l’ho detto solo ai miei genitori, agli amici di una vita, a uno zio. Fino al terzo mese non lo dirò a nessun altro, perché se succede qualcosa devo dare spiegazioni a troppe persone. Insomma, in questa situazione non la vivi tranquillamente”. Per ora nessuna idea per il nome. “Sono sicura che lo chiameranno il “figlio della quarantena” e che un giorno mi chiederà: “perche’ mi chiamano cosi’ mamma?”. E io dovrò dirgli: “perché non abbiamo vissuto la guerra, ma quasi'”.
Nell’attesa, Carlotta e il suo compagno ogni sera aggiungono un pezzo al puzzle regalato da una coppia di amici, oggi lontani, al loro matrimonio: “L’abbraccio” di Romero Britto. “Mio marito mi ha detto che non vede l’ora di mandare a questi amici la foto del puzzle finito. Il suo abbraccio per loro“.

Tutto chiuso

Tutine di ciniglia, body, pannolini, camicie da notte. “Ho fatto appena in tempo a comprare le cosine per l’ospedale per me e per lui. Dopo qualche giorno hanno chiuso tutto”. Lo chiama il “mio bambino arcobaleno” Fabiana il piccolo che porta in grembo. Nascera’ a meta’ giugno, con un cesareo programmato. Un figlio voluto, cercato, per anni. Una gravidanza “doppiamente sudata“, perché, racconta Fabiana a Dire, “ho dovuto ricorrere alla fecondazione assistita, dopo quattro aborti, di cui uno terapeutico”. E ora, alla trentesima settimana, “è arrivata l’epidemia” e so che “dovrò partorire senza poter avere vicino mio marito. Mi dispiace, per la storia dolorosa che ci portiamo dietro, che tutto si debba concludere così- dice- Ma quello che conta è che il piccolo stia bene“. Maestra in un asilo nido in provincia di Roma, soprano lirico per passione, a 40 anni Fabiana ha deciso che diventare madre era un sogno da avverare, al di là di ogni ostacolo.

Strada tutta in salita

“Sono andata in Spagna  in un centro Ivi e sono rimasta incinta il 10 ottobre. Da quel momento in poi è stata dura. Ho avuto diverse emorragie durante le prime settimane – racconta la donna – Fortunatamente al “Grassi” di Ostia, una vera eccellenza per me, mi hanno rassicurata: l’ecografia era a posto, le beta erano triplicate. Si trattava semplicemente di emorragie da impianto”. Che, però, nei ricordi di Fabiana tornavano come spie di pericolo. I primi tre mesi “sono andata avanti con i cerotti di estrogeni sulla pancia. E poi il progesterone fino al quinto mese”. Una strada tutta in salita, col timore di poter perdere il bambino, di nuovo. “I primi tempi facevo controlli quasi tutte le settimane perché la mia ginecologa conosceva la mia storia- continua la maestra- dalla morfologica, al quinto mese, ho cominciato ad andarci una volta al mese“. La routine dei controlli di Fabiana, però, non è cambiata, anche in emergenza Covid-19. “Continuo a farli una volta al mese, l’ultimo è stato il 19 marzo, ci tornerò il 16 aprile, sempre con guanti e mascherina, e saprò qual è la data del parto– sottolinea- Finora sono sempre stata visitata in uno studio privato e non ho avuto paura del contagio. In ospedale dovro’ andare a fine aprile per il colloquio con l’anestesista. Quello un po’ mi preoccupa”, confessa. Fabiana vive la sua gravidanza in quarantena, settimana per settimana, “cerco di non pensare passando le mie giornate tra libri e tanta musica“. La sua aria preferita “Vissi d’arte” dalla “Tosca” di Puccini, interpretata dalla Callas.

Emozione unica

“Quando la ascolto o avvicino le cuffie alla pancia il mio bambino arcobaleno, che di solito è molto calmo, si muove quasi sempre. Ho paura di avergli trasmesso tante ansie- confessa- quando faccio l’ecografia e lo vedo con la manina appoggiata alla guancia penso: nasce già con i pensieri. Poi però mi dico che abbiamo la fortuna di avere un cuore che batte nel cuore e provo un’emozione unica”. Nel frattempo il lockdown mette in standby le tante piccole gioie che accompagnano l’arrivo di una nuova vita: “La cameretta è ancora spoglia e mi dispiace perché avevo in programma di fare tanto altro– racconta ancora Fabiana- Ora mi sto dedicando ai confettini, per dare a questo bimbo l’esclusività che merita. Ma il fasciatoio che mi ha regalato un’amica è rimasto parcheggiato dai miei e il trio che avevo ordinato in un negozio non so se riuscirò ad averlo”. Fermo anche il corso pre-parto, “che ho provato a sostituire informandomi o chiedendo consigli ad un’amica ostetrica, soprattutto per l’allattamento”. Mentre Sara (il nome è di fantasia), impiegata 33enne laureata in ingegneria gestionale, il corso pre-parto lo sta facendo online su YouTube.
Foto © TG Padova

Traguardo vicino

Il momento in cui darà alla luce la sua bambina è ormai vicino, “finisco il tempo il 12 aprile- racconta a Dire-. Annullato anche il controllo di marzo con la mia ginecologa perché la struttura dove visita è chiusa. Avrei potuto farla nel suo studio, ma alla fine non sono andata perché il 24 marzo sono stata in ospedale a Roma, dove mi ha visitata la ginecologa che si occuperà del mio parto. Aveva mascherina e guanti e mi ha detto che il mio compagno potrà assistere, ma che tutte le visite successive di parenti e amici sono sospese. Potrà entrare solo il papà, un’ora e mezza al giorno“. Il primo e ultimo monitoraggio “lo farò direttamente alla 40esima settimana- spiega la donna- magari in una situazione normale ne avrei fatto un altro attorno al 3 aprile”. Ma “se possono, evitano di farti andare in ospedale troppe volte, nonostante molti ambulatori non necessari siano fermi”. Un approccio che “mi rassicura“. Sara non è preoccupata per il contagio: “Ho letto che il coronavirus non si trasmette al feto e questo è stato rincuorante- confessa- Mi sembra di vivere una situazione surreale, soprattutto per il dopo. Non potrà venire nemmeno mia madre a darmi una mano”. Nei racconti di Sara e Fabiana, però, torna la parola vita, più forte di tutto. “Sarà il mio bambino arcobaleno perché sarà una rinascita da un momento buio epocale, caratterizzato da tante morti e dolori- conclude emozionata Fabiana- E poi perché ha fatto da ponte a tanti miei progressi. Ho sempre creduto in una rinascita. Spero che anche stavolta ci sia“.