La disabilità non va in confinamento. Come uscire dalla pandemia

A Interris.it la testimonianza di Antonio Massacci (Anffas) sull'emergenza sanitaria nelle famiglie dei disabili intellettivi. Gli effetti delle mascherine e del distanziamento sociale sulla terapia e la vita quotidiana

Anffas (Associazione nazionale delle famiglie di persone con disabilità intellettiva o relazionale) è l’onlus che si occupa della tutela dei diritti di persone gravemente disabili e dei loro genitori e familiari. Antonio Massacci è tra coloro che durante il lockdown hanno garantito il sostegno dell’Anffas alle situazioni di disabilità complessa e a Interris.it spiega cosa significa l’emergenza sanitaria collettiva per chi è costretto ad affrontare quotidianamente la propria condizione di pesante disagio personale.

Cosa significa la terapia in mascherina?

“La legge stabilisce l’obbligo dell’uso delle mascherine nei luoghi di vita comune, nei luoghi dove si fanno attività, nei luoghi dove si fanno terapie riabilitative/abilitative. Ci sono persone alle quali non è possibile imporne l’uso. Ci sono persone che non hanno costanza, nel farne uso. Ci sono persone alle quali non è possibile far capire che l’utilizzo della mascherina è un segno di affetto e di rispetto verso il prossimo. Una delicatezza nei confronti di chi ci è caro o di chi nemmeno conosciamo ma che è bene non contaminare con le nostre “goccioline”. Nel nostro caso, nei casi più complessi di persone con disabilità intellettiva e disturbi del neurosviluppo, non sempre è possibile farne uso, farne un uso corretto. Ma è corretto che le persone che con loro lavorano, parlano, interagiscono le utilizzino: quelle persone che manipolano, nutrono, puliscono, quelle persone che di loro si prendono cura”.

Con quali effetti?

“Cosa toglie, la mascherina dell’educatrice/educatore, dell’insegnate, del/la terapista, del caregiver alla persona con disabilità? Cosa tolgono nascondendo la bocca? Noi sappiamo che, la comunicazione, in molte condizioni di disabilità, è corporea e parla il linguaggio del corpo, è visiva. Occultare la bocca significa non mostrare il sorriso ed il sorriso è di notevole importanza nella gestione dei rapporti, siano essi affettivi, siano essi di richiesta o di concessione o di autorità. Impedire la lettura delle labbra limita la comunicazione, non solo per i non udenti. Certo la mascherina, occultando parti importanti del volto, può essere vista come una cornice, una cornice degli occhi e finisce per metterli in risalto. Sappiamo bene che proprio gli occhi, sono la prima cosa che le persone con disabilità, guardano, studiano interpretano. Perché gli occhi non mentono mentre la bocca lo fa. La bocca può mentire, con le parole, con i sorrisi e la mascherina interrompendo l’interazione tra tutte le parti del volto di chi ci parla, aggiunta alla distanza di sicurezza, rende difficile la comprensione, la lettura de i messaggi, importantissimi, degli occhi: di questi organi sensoriali così complessi, così belli, così espressivi”.

Può farci un esempio?

“Ci sono culture e culti che adottano/impongono la copertura del viso di parte della popolazione da tanto tempo. Ci sono luoghi nel mondo dove è necessario coprirsi il volto per proteggersi dalle tempeste: di sabbia, dalle polveri, dal freddo. Ci sono professioni che esigono l’uso delle mascherine, per tutelare chi le indossa da ciò che inspira,  ci sono professioni che ne prevedono l’uso per tutelare gli altri da ciò che chi le indossa espira e poi ci siamo noi e questo sarebbe anche il caso nostro ma non sempre ci riesce di comprenderlo, ci volete perdonare? Sappiamo, e ne siamo dispiaciuti, che indossare una mascherina per lungo tempo può creare danno alla salute, alla cute specie a quelle pelli più delicate e l’uso prolungato di una mascherina fa inalare un maggior quantitativo di anidride carbonica, di propria emissione certo, ma comunque dannosa. Sappiamo anche che una mascherina va indossata correttamente, che non dovrebbe essere toccata con le mani e questo ci è difficile da comprendere, da fare. Sappiamo che ha un tempo limitato di funzionamento, che più si inumidisce e meno funziona e l’alito la inumidisce”.

In che modo si può procedere?

“Sappiamo che lavorare su di noi persone con disabilità, che lavorare con noi è difficile, è faticoso, che curare, che prendersi cura è una speciale “vocazione” e a volte pensiamo che richieda anche un po’ di follia. Sappiamo che l’uso della mascherina rende ancor più complicato e faticoso il vostro agire, il vostro lavoro: è per questo che vi amiamo. E’ per questo che amiamo ancora di più tutte, tutti: Caregiver, Familiari, Educatrici, Educatori tutte le persone che ci curano, che di noi si prendono cura, che ci stanno vicino, che ci supportano. Non faccio commenti sullo specifico linguaggio tenuto/utilizzato per l’occasione “pandemica”. Cerchiamo di riportare il linguaggio, non alla “normalità”, cos’è poi la normalità, cos’è normale e cos’è che non lo è? Sono stati utilizzati però, termini e modi di dire che hanno messo a dura prova la capacità di sopportazione, la pazienza, la tolleranza di molte persone. Il peggio del peggio io lo trovo comunque concentrato nel: “distanziamento sociale”. Io trovo questa definizione, un’assurdità, che non dice quello che vorrebbe dire quindi inutile e soprattutto dannosa”.

Cosa colpisce maggiormente le famiglie di disabili intellettivi in questa fase?

“Per chi ha speso parte della propria esistenza per favorire l’inclusione l’espressione ‘distanziamento sociale’ è sbagliata, sempre, in particolare se utilizzata per questi scopi. Non dico ciò che penso nei confronti di chi la usa, non lo dirò. Dico invece che è tempo di riprendere il cammino verso l’inclusione, verso una vera inclusione. Ad un certo punto della storia avevamo capito che era necessario andare oltre l’integrazione. Un processo, quello dell’integrazione che presuppone cambiamenti, modifiche non sempre possibili, impossibili per alcune persone, impossibili per vari motivi e quindi, l’integrazione non integra tutti e noi vogliamo esserci ed esserci tutti. L’integrazione è un funzionale completamento mediante opportune addizioni e compensazioni. Noi abbiamo intrapreso quindi, la strada dell’inclusione sociale perché noi vogliamo esserci, tutti , ognuno con le proprie caratteristiche, ognuno con le proprie ricchezze, ognuno con le proprie povertà. L’inclusione non obbliga cambiamenti e prende così come si è perché vogliamo esserci: con la nostra intelligenza, con il nostro aspetto, con la nostra età. Perché siamo disposti a “spendere” per il nostro cambiamento, si! Lo faremo però soltanto se ciò ci sarà possibile altrimenti rimarremo così e così vogliamo essere inclusi”.

Cosa proponete?

“Un’inserimento stabile e funzionale, anche perché il fine ultimo dell’inclusione sociale è garantire l’inserimento di ciascun individuo all’interno della società, indipendentemente dalla presenza di elementi limitanti. Il nostro obbiettivo era e rimane quindi la costruzione di contesti inclusivi capaci di includere le differenze di tutti, eliminando ogni forma di barriera. Il nostro scopo è pertanto: l’avvicinamento sociale, indipendentemente dalla distanza fisica, che sarà quella che deve essere e che sarà determinata dalle leggi dello stato, dalle leggi culturali e cultuali, dalle leggi della necessità e dalle leggi dell’amore. Cercherò di far capire, a più persone possibile, che l’invito al distanziamento sociale è, secondo me, e lo dirò con un eufemismo visto che non dirò quello che penso, un grave errore. La distanza da tenere quindi, per questioni di sanità, è quella fisica. La dobbiamo tenere e la terremo finché sarà necessario. La terremo in tutti i contesti possibili. Ci sono però condizioni e contesti che non la rendono possibile. Ci sono persone che non la possono rispettare. Ci sono condizioni umane che non la consentono e lì si continuerà ad abbracciare, ad accudire, ad amare”.