L’85% dei migranti giunti dalla Libia in Italia ha subito torture

E' quanto emerge dal rapporto “La fabbrica della tortura” diffuso oggi da Medici per i diritti umani (Medu) basato su oltre 3.000 testimonianze raccolte in luoghi diversi

Centro di detenzione libico

L’85% dei migranti e rifugiati giunti dalla Libia in Italia dal 2014 al 2020 nel periodo che va dal 2014 al 2020 ha subito torture e trattamenti inumani e degradanti; i due terzi sono stati detenuti, quasi la meta ha subito un sequestro o si e trovata vicino alla morte; nove persone su dieci hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso o torturato. Sono le cifre terribili emerse dall’ultimo rapporto diffuso oggi da Medici per i diritti umani (Medu) e intitolato – non a caso – “La fabbrica della tortura”. Secondo report -basato su oltre 3.000 testimonianze raccolte in luoghi diversi –
l’eta media dei migranti e rifugiati (88% di sesso maschile e 12% di sesso femminile) assistiti e intervistati da Medu è di 26 anni. Tra di loro sono presenti oltre 300 minori (13%), incontrati negli insediamenti informali di Roma e presso il sito umanitario di Agadez. Il report constata anche il drastico calo dei flussi migratori che giungono in Italia attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, nel 90% dei casi in partenza dalla Libia. Nel triennio 2014-2017 sono sbarcate circa 504mila persone mentre nel triennio successivo ne sono arrivate 153mila con una riduzione di circa il 70%.

Il rapporto

Nello specifico, sintetizza il Sir, “il 79% è stato detenuto/sequestrato in luoghi sovraffollati e in pessime condizioni igienico sanitarie, il 75% ha subito costanti deprivazioni di cibo, acqua e cure mediche, il 65% gravi e ripetute percosse. Inoltre, un numero inferiore, ma comunque rilevante, di persone ha subito stupri e oltraggi sessuali, ustioni provocate con gli strumenti più disparati, falaka (percosse alle piante dei piedi), scariche elettriche e torture da sospensione e posizioni stressanti (ammanettamento, posizione in piedi per un tempo prolungato, sospensione a testa in giu, ecc)”. Questa tendenza, osserva Medu, “è rimasta invariata – o addirittura si è aggravatanel corso degli ultimi tre anni, a partire dal 2017, anno di sigla del Memorandum Italia-Libia sui migranti”. “Nove migranti su dieci hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso o torturato. Alcuni sopravvissuti sono stati costretti a torturare altri migranti per evitare di essere uccisi. Numerosissime le testimonianze di migranti costretti ai lavori forzati o a condizioni di schiavitù per mesi o anni”. L’80% dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati assistiti all’interno dei progetti di riabilitazione medico-psicologica per le vittime di tortura di Medu in Sicilia e a Roma (circa 800 pazienti) presentava ancora segni fisici compatibili con le violenze riferite e conseguenze psicologiche e psico-patologiche della violenza.

Centri di detenzione

Oggi in Libia sono operativi 11 centri di detenzione per migranti formalmente controllati dalle autorità del Governo di accordo nazionale (Gna) mentre nel corso degli ultimi anni sono stati censiti 63 centri di detenzione su tutto il territorio libico, si legge nel rapporto. Secondo le ultime stime, sarebbero circa 2.800 i cittadini stranieri ancora reclusi nelle strutture ufficiali, di cui 1.700 sotto mandato Unhcr. “Oltre ai centri ufficiali – si legge nel report -, sono proliferati nel corso di questi anni una miriade di luoghi di detenzione informali gestiti da grandi e piccoli organizzazioni criminali da cui sono transitati probabilmente centinaia di migliaia di migranti. Non esistono stime attendibili su quante persone siano attualmente rinchiuse in questi luoghi di sequestro anche se il loro numero è presumibilmente assai maggiore di quello dei detenuti nei centri ufficiali”, rileva Medu che chiede al governo italiano “la sospensione e la revisione integrale dell’accordo Italia-Libia”  mentre all’Unione europea e alla comunità internazionale avanza la richiesta di “chiusura immediata di tutti i centri di detenzione ufficiali e l’evacuazione, sotto l’egida delle Nazioni Unite, dei migranti e rifugiati lì detenuti verso Paesi sicuri”. “La comunità internazionale – afferma Medu – ha la responsabilità storica di non aver reagito in modo tangibile di fronte ad un fenomeno di queste proporzioni ed e oggi chiamata, seppur in gravissimo ritardo, a rispondere con le massime energia ed urgenza”.