Israele: non si fermano le proteste contro Netanyahu

Non si fermano le proteste contro il premier Benyamin Netanyahu nonostante la pausa sulla riforma giudiziaria. Piccoli screzi anche con gli Usa

Gaza
(@ Taylor Brandon su Unsplash)

Non si fermano le proteste contro il premier Benyamin Netanyahu nonostante la pausa sulla riforma giudiziaria. Piccoli screzi anche con gli Usa. Israele è un “Paese sovrano” che prende le “decisioni per volontà del popolo e non sulla base di pressioni dall’estero, compresi i migliori amici”. Questa la risposta di Netanyahu al presidente Joe Biden secondo cui Israele “non può continuare sulla strada” della riforma giudiziaria.

La nota di Netanyahu a Biden

“Conosco il presidente Biden da oltre 40 anni e – ha detto Netanyahu in una nota del suo ufficio diffusa in nottata – apprezzo il suo impegno di lunga data nei confronti di Israele”. L’alleanza con gli Usa, ha continuato, “è indissolubile e supera sempre i disaccordi occasionali tra di noi”. “La mia amministrazione – ha sottolineato Netanyahu – è impegnata a rafforzare la democrazia ripristinando il giusto equilibrio tra i tre rami del governo, che stiamo cercando di raggiungere attraverso un ampio consenso”.

Secondo i media, Biden – che si trovava all’aeroporto di Morrisville (North Carolina) – aveva risposto alle domande dei giornalisti ed aveva escluso di voler in qualche modo “interferire” nelle faccende interne di Israele. “Non vogliamo interferire. Non stiamo interferendo – aveva poi spiegato – Sanno la mia posizione e quella dell’America. Conoscono la posizione dell’ebraismo Usa”.

Al via i colloqui sulla riforma ma la tensione resta altissima

La pausa sulla riforma giudiziaria e l’avvio del confronto con l’opposizione non spengono le proteste contro il governo Netanyahu in Israele. Le Bandiere nere – uno dei maggiori gruppi che organizza le manifestazioni – ha confermato la dimostrazione in programma sabato sera a Tel Aviv per la tredicesima volta consecutiva. E già ieri lo stesso gruppo ha sfilato in protesta in pieno centro città al grido di ‘democrazia’. “La battaglia è ancora lunga”, ha sostenuto l’organizzazione denunciando di non essere pronta ad “accettare una mezza democrazia”, in riferimento ai negoziati tra le parti.

Colloqui che – su input del presidente Isaac Herzog – sono partiti ieri sera tra la maggioranza e i due leader centristi Yair Lapid e Benny Gantz. “Un primo incontro di dialogo”, l’ha definito il presidente, il cui obiettivo è “un percorso negoziale” per raggiungere un compromesso. Ma è proprio la parola compromesso a costituire il problema: le organizzazioni di protesta hanno chiesto, e chiedono tuttora, il ritiro totale della riforma. Il sospetto – secondo molti analisti e la leader laburista Merav Michaeli – è che il congelamento della legge annunciato da Netanyahu non sia null’altro che un modo per guadagnare tempo. E certo non ha smorzato l’allarme il fatto che la coalizione di governo abbia presentato oggi alla Knesset, pronto per essere votato, uno dei disegni di legge più contestati della riforma: quello della nomina dei giudici della Corte Suprema. Una mossa – giustificata dall’esecutivo con motivi tecnici – che ha fatto infuriare l’opposizione visto che modifica la composizione e i criteri del comitato di nomina dei giudici a favore della maggioranza.

Il leader nazionalista laico Avigdor Lieberman non ha usato mezzi termini: “Netanyahu mente e sputa in faccia alla gente”. Il premier invece – che secondo un recente sondaggio non avrebbe più una maggioranza in Parlamento se si andasse a votare oggi – ha sottolineato che la sua coalizione è “impegnata in un dibattito importante e ne verremo fuori. Il nostro obiettivo – ha assicurato – è quello di raggiungere vaste intese”. Ma i problemi non mancano: innanzitutto ci sono differenze nette tra i suoi importanti alleati Bezalel Smotrich (Sionismo Religioso), che difende a spada tratta la riforma, e Itamar Ben Gvir (Potenza ebraica), che ha accettato la pausa in cambio della promessa di una Guardia nazionale civile sotto il suo comando. A questo si aggiunge la grana del ministro della Difesa Yoav Gallant (Likud), licenziato in tronco dopo la richiesta di sospendere la legge ma a cui la comunicazione ufficiale non è ancora arrivata: un imbarazzo istituzionale che investe uno dei ministri chiave dell’esecutivo.

Sembra poi sfumata l’imminenza (dopo la Pasqua ebraica) di un viaggio del premier a Washington, come annunciato stamattina dall’ambasciatore Usa in Israele Tom Nides. La Casa Bianca ha precisato che ad ora “non c’è alcun piano per una visita” e che Netanyahu “probabilmente ad un certo punto verrà”. Con toni che restano piuttosto freddi.

Fonte: Ansa