In ricordo di Beppe Montana

Beppe Montana era un mio amico ed è stato ucciso dalla mafia tanti anni fa, il 28 luglio 1985. Aveva 32 anni, Beppe, quando è morto. Avrebbe potuto evitare quella morte e come tanti suoi corregionali emigrare lontano dalla sua isola, la Sicilia.
Ma lui amava la sua terra e aveva scelto di fare servizio a Palermo, all’Ufficio Catturandi della Squadra Mobile, il compito più pericoloso.

Quando ci siamo conosciuti nell’inverno del 1983, a Merano, nel Castello Stifterhoff centro della polizia di stato eravamo entrambi molto giovani e commissari di polizia. Io ero con mia moglie e lui era fidanzato con una ragazza bellissima. Il Centro era frequentato da prefetti, questori e generali di polizia e noi due, giovani Commissari, eravamo entrambi quasi in disparte. Come se non volessimo essere notati e disturbare.
Finito di pranzare siamo andati entrambi con le nostre ragazze nella biblioteca e ci siamo presentati. Lui mi ha parlato del suo lavoro ed io del mio. Mafia il suo, terrorismo il mio.

Le nostre donne sembravano assenti dai nostri discorsi, come se non volessero condividere quella nostra passione che avrebbe potuto portarci ad un colpo di pistola in testa.
E per lui è stato così, perché gli assassini gli hanno sparato al volto devastandolo.
Poi, dopo quei quindici giorni trascorsi in passeggiate e lunghi discorsi, la sera ad ascoltare concerti lungo il Viale, ci siamo lasciati. Eravamo commossi nel salutarci. Lui a Palermo, io a Venezia. Quando mai ci saremmo potuti rivedere e frequentare?

Invece la nostra amicizia si consolidò e si trasformò in tante telefonate, fino ad una decisione: partire insieme per una vacanza in Spagna .
Allora amavo viaggiare in auto e gli proposi di prendere la mia, una Giulia Diesel che veniva scambiata per un trattore all’arrivo in Caserma ma che consumava quasi niente.
Quando sembrava tutto deciso arrivò la telefonata, l’ultima. E la litigata.
“Non posso partire , Italo. Ho impegni di lavoro”.
“Ma come, Beppe?”

Mi sembrò la scusa dell’ultima ora invece solo dopo la sua morte seppi che in quei giorni stava programmando l’arresto di un pericoloso latitante. Ma qualcuno lo tradì. Qualcuno dei nostri. Un Giuda , che non manca mai in famiglia.

Beppe fu ucciso a pochi metri dalla sua fidanzata, alla fine di una giornata spensierata, a pochi metri da quel mare che tanto amava.
La sua morte fu la dimostrazione che la mafia aveva alzato il tiro e gli assassinii e le stragi successive dimostrarono quanto alto fosse.

Anni dopo, per ironia del destino, da Capo della Criminalpol delle Marche mi fu affidata la tutela di uno di quei mafiosi che contribuì a quelle stragi.
A quest’uomo che mi parlava della mafia e delle morti di Palermo non ho mai parlato di Te , Giuseppe e del dolore che mi provocavano quei suoi racconti. Quest’anno mi ero dimenticato del giorno della morte di Beppe.
Mi sono svegliato nervoso, come se avessi un qualcosa che mi faceva male. Ho aperto distrattamente Facebook e ho visto il ricordo di Mario Catalano, un poliziotto vero, oggi in pensione che è stato tra i Falchi ai tempi della Mobile a Napoli, colpito anch’egli dalla grande sofferenza di aver perso un nipote, ucciso dalla mafia, oggi con la moglie gira l’Italia per insegnare ai giovani che la libertà e la pace si costruiscono con la giustizia.

Mario ha postato le foto della Cerimonia che volli da questore nel 2013 a Pesaro per ricordare Beppe. Uno dei miei ultimi atti. Una cerimonia semplice, molto sentita alla quale partecipò il fratello di Beppe, arrivato da Catania.

Oggi chi va a Pesaro trova un Centro polifunzionale composto dalla Caserma della Polizia Stradale, il Poligono di Tiro e una palazzina con dieci appartamenti destinati alla Polizia di Stato.
La stessa città di Pesaro ha contribuito a rendere più belli questi luoghi e due cari amici Vittorio Panzieri e Mauro Papalini mi aiutarono a sistemare il campo sportivo, la strada e gli appartamenti.
Ricordo ancora gli occhi rossi di una poliziotta, destinataria di un appartamentino che volle far entrare me e mia moglie nella sua nuova casa e volle presentarmi alla sua bimba.
Davanti al palazzo ove insiste la palazzina ho voluto un ulivo ed una dedica a Te, Beppe.
Che quell’ulivo ricordi ai nostri giovani quanto è costata al nostro Paese la parola libertà e giustizia.
Che quell’ ulivo sia di monito ai nostri politici che con la mafia non si scende a patti. A nessun patto. E chi fa affari di qualsiasi tipo con la mafia è colluso con essa e è non è degno di rappresentare gli uomini onesti.
Che quell’ulivo innaffiato con le lacrime di chi ti amato, Beppe, ricordi il tuo sacrificio.