Il rischio del monopolio educativo nell’Italia del dopo-Covid

Un appello, passata l'emergenza, a scongiurare il rischio di precludere ai genitori la possibilità di scelta fra scuola pubblica e paritaria

In tempi di Coronavirus da più parti si invocano: senso di cor(con)-responsabilità, col(con)laborazione Stato-cittadini; task force compatta e potente “da cori di balcone” a servizio delle buone idee messe in campo per uscire da questa che appare una terza guerra mondiale, una pandemia globalizzata alla velocità di internet. Oggi non c’è più tempo né voglia per sterili contrapposizioni: avvertiamo tutti il bisogno di trovare soluzioni, di aiutarci come possiamo. Stride qualsiasi parola differente.

Il Presidente Mattarella dialoga, telefona personalmente a tutti i leader politici, nessuno escluso, e questi si guardano bene dall’essere iscritti nel libro nero degli “irresponsabili”, che in tempo di crisi non mettono al centro i fondamentali.  Archiviate le polemiche del crocifisso e del presepe, l’Italia si riscopre – addirittura – un Paese credente. A memoria non si ricordano Tg nazionali che abbiano dedicato tanto spazio alle Parole del Papa, addirittura all’indulgenza plenaria. I toni ci rimandano al suo omonimo San Francesco d’Assisi. Anche in quel periodo storico è stato il buon senso che in modo trasversale ha unito le varie sponde.

Insomma, senza falsi moralismi questo è il tempo che ci riporta tutti quanti ai “fondamentali”, alle piattaforme del buon senso. E’ lontana la comunicazione delle parole urlate, che parlano alla pancia … si è ritornati a parlare alle teste e al cuore (…Giusy Versace ha scritto che con testa e cuore si va ovunque anche senza gambe).

Passerà tutto, lo sappiamo, dopo la notte più buia il sole risorgerà ancora. E’ tutto normale, scontato, si tratta di far passare il tempo. Ed è qui che vorrei intervenire… quando quell’alba rinascerà, il sole possa scaldare una terra più equa e più giusta. Ecco perché con don Aldo Buonaiuto, che tira via dalla strada le donne sfruttate mettendoci la faccia oltre ogni falso moralismo, guardo a questo tempo come ad un tempo difficile ma anche di ampie possibilità di bene.

Interrompere la catena dell’ingiustizia

Ognuno di noi si batte per una porzione di diritto (dalla sanità alla scuola, dalla casa alla salute) e sogna ad occhi aperti una società più giusta. Quando si domanda la garanzia del diritto, e si chiarisce che non si desiderano né privilegi né favori, anche la politica si riscopre più responsabile e al servizio della giustizia.

Da anni la richiesta è unica e decisa: ai genitori sia garantito il diritto a poter esercitare la propria responsabilità educativa in modo libero, scegliendo fra scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria a costo zero, senza dover pagare due volte, con le tasse e con le rette.

Da qui trovano garanzia: il diritto di apprendere degli studenti senza discriminazione economica; il diritto dei docenti ad insegnare senza la discriminazione fra docenti di serie A e di serie B nel costante affanno del precariato; il diritto delle scuole statali e paritarie di agire in modo autonomo e libero sotto lo sguardo garante dello Stato; il diritto dei cittadini ad avere un sistema educativo di qualità; il diritto dei contribuenti a vedere spesi bene i loro denari dell’imposizione fiscale.

Lo scenario odierno

E’ una meraviglia quando si rompe la catena dell’ingiustizia, che in tempi di coronavirus emerge in modo sempre più dirompente. Ecco cosa sta accadendo oggi. Le famiglie che stanno ricevendo un servizio scolastico online nelle scuole pubbliche paritarie, a causa della crisi economica che ha peggiorato il loro status, non riescono a pagare la retta, dovuta perché le scuole sono aperte e funzionano, anche se con modalità diversa. “Di che cosa si lamentano?” risponde qualcuno, senza giri di parole.

D’altronde ognuno cura i propri interessi: i gestori che devono pagare i docenti hanno bisogno di quella retta. Sono scuole già altamente indebitate (la retta applicata di euro 3.000/4.000 è ben lontana dal coprire i costi) e non possono alzare la soglia dell’indebitamento. Dunque la prospettiva è di mettere in cassa integrazione i docenti. Non si paga il personale e questo, a sua volta, non compera da mangiare per la famiglia, anche se i supermercati sono aperti. Non si pagano le tasse e le utenze (quelli di prima: “Vorrà dire che staccheranno la luce”). Si fanno saltare le 12 mila scuole paritarie, si invitano i 900mila allievi a spostare l’iscrizione nella scuola statale e si licenziano i 100 mila dipendenti, che chiederanno di essere assunti dallo Stato. In fondo le scuole dove hanno lavorato fino al coronavirus sono scuole pubbliche, appartenenti al Servizio Nazionale di Istruzione.

Ecco cosa accade quando si pongono a confronto due povertà, lasciando che la natura faccia il suo corso. Muore l’anello più debole… bisogna solo capire chi è l’ultimo a restare con il cerino in mano. Ma il coronavirus ci ricorda che “l’ immunità di gregge”, ottenuta lasciando che la situazione evolva naturalmente senza alcun accorgimento esterno, mettendo in conto una normale % di morti, non è né umana né etica. L’Europa, insieme ai cittadini interessati, si è sdegnata e anche i più estremisti hanno dovuto dichiarare il blocco e la chiusura di scuole, bar, pub anche nel resto del mondo… Questo è segno che le soluzioni prive di logica non sono convenienti neppure per chi governa, oltre che per chi è governato.

Istanze di senso civico

Qui trovano senso e comprensione le reazioni di alto senso civico che non possono essere declassate a superficiali lamentele a fronte dell’emergenza sanitaria. Sono denunce di chi crede che dalla crisi si esce sia curando il corpo che utilizzando la testa:

  • quelle delle famiglie che chiedono aiuto alle scuole, al governo e a tutte le forze politiche: “Non possiamo in tempi di coronavirus pagare le tasse (10 mila euro per la scuola statale che non frequentano i nostri figli) e la retta (per la scuola paritaria che abbiamo scelto e che sta svolgendo il suo servizio), perché i soldi non li abbiamo e il futuro è nero”;

  • quelle delle scuole paritarie che prima di gettare la spugna denunciano alle autorità politiche, al governo – non per polemica ma per senso di responsabilità – l’evidente ed imminente perdita del pluralismo educativo con il conseguente, reale pericolo di a perdere un patrimonio educativo di secoli; condannare l’Italia del dopo coronavirus al monopolio educativo, con l’esistenza della sola scuola statale e la sopravvivenza delle paritarie con rette over 8.000 euro, cioè quelle dei ricchi; produrre un costo economico enorme (il costo per studente dall’Infanzia al diploma è di 89.336 come dichiarano Ocse-Pisa e Ministero dell’Istruzione) che per i 900 mila allievi delle pubbliche paritarie (per i quali lo Stato oggi spende euro 500,00 pro capite all’anno) inseriti nelle pubbliche statali ammonterà a euro 80.400.000.000 di sforamento da dichiarare all’Europa.

Se non si volesse fare buon uso dello sforamento a noi concesso per affermare la libertà di scelta educativa, lo si faccia per una “oculata gestione dei danari pubblici in tempi di coronavirus”, come auspicato in TV. Non si possono tacere queste verità e conseguenti necessità, perché costerebbe assai caro all’Italia.

Il gestore serio vive sulla propria pelle la fatica di andare a letto la sera con il cuore a pezzi e la testa come un frullatore, dopo 15 ore trascorse a mediare fra la paura delle famiglie sfogata sulla retta, i docenti stravolti dalle lezioni online (che si provi a spiegare Dante e teoremi per ore all’occhio di una telecamera) e dalle legittime pretese delle famiglie; gli amministratori che non trovano la quadra fra il pagamento degli stipendi (i docenti nelle scuole paritarie sono pagati ai sensi del CCNL e costano da euro 1.000 a euro 2.000 netti a cui va aggiunto il 67% di imposizione fiscale che la scuola versa allo Stato); degli acquisti per attività scolastica; delle utenze; delle spese generali; oneri diversi e oneri figurativi; degli oneri straordinari; delle imposte e tasse (una scuola paga luce, gas di riscaldamento, approvvigionamento idrico, Tari e Tares, servizi di pulizie, assicurazioni, cancelleria, imposte di bollo, imposte di registro, consulenze tecnico amministrative, consulenza privacy, consulenza Dpo, consulenza L. 231/2000, certificazione di Qualità, carta per fotocopie, canoni per stampanti e attrezzature elettroniche, programmi di contabilità, paghe, fatturazione elettronica). La burocrazia imperante ha un costo anche psicologico e – se non fosse sufficientemente chiaro – la scuola paritaria redige un bilancio pubblico, paga imposte e tasse, non è una realtà sommersa. Altrimenti non è scuola pubblica: è associazione a delinquere con connivenze istituzionali altolocate. Delenda Carthago.

La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha confermato che nel prossimo decreto di aprile l’Italia potrà contare su 11 miliardi di Fondi strutturali non spesi: «Li lasciamo per spenderli dove sono utili, per esempio sul mercato del lavoro». La presidente della Commissione conferma inoltre che “il Patto di stabilità concederà la massima flessibilità all’Italia” e che “massima flessibilità” c’è anche sugli aiuti di Stato.

Infine la necessità. Il governo ora è in grado di compiere un gesto di responsabilità: dire ai genitori italiani, cittadini e contribuenti – abbattuti dalla crisi economica del coronavirus e pieni di incertezza sul futuro proprio e dei figli – che si interverrà a copertura della retta scolastica per una cifra totale del 100% e comunque non inferiore al 70% di quanto definito dai costi standard di sostenibilità”. E’ parola dovuta, non solo in punto di diritto, ma anche di bilancio statale, che altrimenti collasserebbe.

La logica del costo standard

Si precisa che viene indicato il “costo standard di sostenibilità per allievo” quale parametro, perché trattando di danari pubblici, cioè di danari dei cittadini, occorre dare a questi garanzia che vengono spesi dalle famiglie presso scuole paritarie che agiscano ai sensi di legge e che quindi non siano dei diplomifici, presenti sul territorio in percentuale minima e ormai tutti ben noti alle autorità scolastiche, purtroppo prive di un adeguato apparato ispettoriale. L’affermazione, di cui per pudore non si cita la fonte, “non si diano i danari pubblici alle scuole private alias diplomifici” non solo è priva di fondamento quanto alla similitudine, ma è anche rivelatrice di crassa ignoranza.

Non si auspica più, in regime di costo standard di sostenibilità per allievo, un finanziamento alla scuola, ai contenitori, indistinto e “a piè di lista”. Ben vengano tutti i controlli di bilancio previsti dal costo standard che diano garanzia non solo agli scettici ma anche alle scuole paritarie serie (che stanno soccombendo sotto la morsa dell’ideologia), alle quali i controlli non fanno nessun timore, e che auspicano la libertà esercitata dalle famiglie. L’Europa che permette lo sforamento ha diritto di sapere che non sono finanziamenti a pioggia ai privati. Non possiamo permetterci che questi danari vengano intercettati dalla malavita, che in tempo di coronavirus si deve reinventare altre fonti di guadagno.

Il nuovo meccanismo di finanziamento, infatti, oltre a mettere lo studente al centro, crea più equità nel sistema, più libertà, più tensione «al rialzo». Oggi questa operazione costa due miliardi di euro a fronte di una spesa di 5 miliardi di euro che lo Stato si dovrebbe preparare a sostenere nel 2021. Di fronte a questo scenario incontrovertibile, non è casuale che le Presidenze Usmi e Cism, per il comparto che rappresentano, chiedano al Governo un ulteriore sforzo per continuare a porre al centro la famiglia anche al capitolo scuola, in un’ottica di miglioramento del maxi decreto (clicca qui per leggere).

Il testo delle due presidenze merita la massima diffusione e condivisione perché definisce i termini della questione e suggerisce le soluzioni. In questo momento storico il Governo e la classe politica tutta in modo compatto, come ha chiesto il Presidente Matterella, possono rispondere alle legittime angosce e domande dei cittadini. Oggi non c’è più tempo né voglia per sterili contrapposizioni: si avverte da parte di tutti il bisogno di trovare soluzioni, di vedere riconosciuto il diritto, di evitare la guerra tra i poveri (vedi la relativa petizione). Stride qualsiasi parola differente.