“Ho gestito l'emergenza Sars e vi dico gli errori da non ripetere”

Da scienziato di fama mondiale ha sempre sotto mano i dati epidemiologi e quando Interris.it gli chiede di mettere a confronto Sars e coronavirus è come accedere alla memoria centrale delle politiche sanitarie dell'ultimo ventennio. Il professor Girolamo Sirchia, storico primario di ematologia al Policlinico di Milano, pioniere italiano delle trasfusioni nei trapianti di organi, nei quattro anni e mezzo (tra il 2001 e il 2005) da ministro della Salute ha affrontato per intero l'emergenza Sars e la parte iniziale di quella dell'influenza aviaria.  

Professor Sirchia, cosa non funzionò nel 2003 in Cina nella gestione dell'emergenza Sars?
“Ci furono innanzi tutto due gravissimi errori. L'allarme fu dato dalle autorità di Pechino in ritardo e sottostimando l'entità del contagio. Poi non fu messa in atto una misura fondamentale che noi in Occidente avevamo richiesto immediatamente e cioè la rilevazione della temperatura dei viaggiatori in partenza dagli aereoporti. Avevamo sollecitato che fosse controllato chiunque si imbarcasse su un aereo dalla Cina per accertare se avesse la febbre. Ma ciò non accadde, favorendo così la diffusione della Sars, che poteva invece essere subito fermata”.

Quale è l'anello debole della catena dei controlli sanitari? 
“Di fronte al dilagare della Sars non furono controllati gli scali intermedi e fu uno sbaglio enorme. Andavano subito installati in tutti gli aeroporti il rilevatore della temperatura e tutti i passeggeri andavano fatti passare da lì.  Le verifiche della temperatura non furono effettuate, per non parlare di chi arrivava via terra con la macchina o il treno. Stiamo parlando di un volume di traffico colossale”. 

Perché queste verifiche sono così difficili?
“Non vengono concordate a livello internazionale come dovrebbe essere. Le infezioni non hanno confini e chi impedisce di cooperare con gli altri Stati agevola la diffusione del virus. Le politiche devono essere concordate senza le restrizioni dovute ai confini e alla sovranità nazionale”.

Di chi è la colpa?
“Le organizzazioni sovranazionali dovrebbero fare molto di più. L'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sarebbe il soggetto giusto per passare oltre le limitazioni nazionali e invece le discussioni tra gli Stati ostacola le poltiche sanitarie. C'è sempre il problema che quando si tratta di salute pubblica si va sempre a toccare i commerci”

Come si possono superare gli egoismi nazionali?
“Bisogna mediare tra pur legittimi interessi economici e commerciali. La salute è fondamentale e dovrebbe venire prima di tutto il resto. Come nei Comuni l'autorità sanitaria è il sindaco così dovrebbe essere a livello internazionale per l'Oms e invece non è così. L'Organizzazione mondiale della sanità non ha i poteri per sovrapporsi alle autorità nazionali. Da ministro della Salute ho potuto sperimentare in concreto questa situazione”.

A cosa si riferisce?
“All'inizio degli anni Duemila si discusse della revisione dei trattati internazionali. E l'Italia fu direttamente coinvolta. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi delegò Gianfranco Fini di prendere parte alle riunioni per i nuovi trattati. Io avevo suggerito di tenere la salute pubblica fuori dalla sovranità nazionale. Ma questa proposta non fu accolta. E le cose rimasero come sempre”.

Con quali conseguenze?
“Basta che uno Stato si rifiuti di applicare un provvedimento o una misura di contrasto alla diffusione del virus e l'intero coordinamento internazionale diventa inefficace. E ciò priva di reale utilità le politiche sanitarie che vengono attuate. Purtroppo prevale sempre la paura di intralciare i commerci . E del resto non è un problema sono con i regimi come quello cinese. Lo vediamo anche adesso con il coronavirus. L'Europa nasce prima di tutto come area di libero scambio commerciale. Il suo fondamento originiario è stato l'interesse economico più che una cultura condivisa e i risultati si vedono anche sul piano della difesa del bene comune e della salute pubblica”.