Forse un italiano infetto sulla Diamond Princess

Tra i passeggeri contagiati a bordo della nave da crociera Diamond Princess “ci sarebbe un italiano infetto. “Aspettiamo ancora conferma”, ha detto Stefano Verrecchia, capo dell’Unita di crisi della Farnesina, ad Agorà su Rai Tre. L’uomo è partito con il volo americano perché è residente in America, sposato con una donna americana. Sarebbe il primo caso italiano. “Nei connazionali di cui ci dobbiamo occupare noi non risulta al momento alcun contagiato”, ha precisato Verrecchia. Sulla nave, ancorata dal 5 febbraio al porto di Yokohama, in Giappone, ci sono almeno 3.700 persone, 355 delle quali sono risultate positive e ricoverate in ospedale.

Niccolò

“La prima notte non ho capito subito quello che stava succedendo, ho telefonato ai miei genitori e pensavo che erano lontani e mi aspettavano. Subito dopo all’ambasciata ho avuto un po’ di paura, ma panico mai. Mi sono detto: se vai in panico non risolvi nulla. Ho pensato di doverla prendere come una lezione della vita e sapevo di non essere solo, che un sacco di persone mi stavano aiutando. Così Niccolò, il 17enne rientrato sabato a Roma da Wuhan, città epicentro dell'epidemia del coronavirus, al telefono dalla stanza dello Spallanzani a Roma intervistato dal Corriere. Il raggazzo per due volte ha iniziato il suo ritorno Italia ma era stato rimandato indietro perché aveva la febbre. “La seconda volta – racconta – mi sono arrabbiato, non era possibile, ancora la febbre che io non mi sentivo di avere”. “Ero finito a Wuhan per caso – prosegue -. Ero in Cina da agosto, con un gruppo di cento studenti italiani del programma Intercultura. Io stavo in una famiglia cinese al Nord, nella provincia di Heilongjiang. Il 19 gennaio siamo andati nello Hubei, a visitare i nonni della coppia che mi ospitava. Un villaggio di campagna, 50 case. E quel giorno sono arrivate le notizie dell’epidemia. Sono rimasto chiuso lì, fino al 3 febbraio”. È in quella casa di campagna poco riscaldata che Niccolò deve aver preso freddo, l’origine di quella febbricola.

Crisi infinita

Polemiche a Pechino sulla gestione della crisi. Il presidente cinese Xi Jinping era informato dell'epidemia del nuovo coronavirus Covid-19 settimane prima che affrontasse pubblicamente la questione e chiese un'azione decisa alle autorità locali per fermarla. Lo riporta Repubblica, riportando un discorso del 3 febbraio scorso in cui il presidente affermava di aver dato ordini sul contenimento dell'epidemia Covid-19 già il 7 gennaio scorso. Il testo, pubblicato dal Giornale del Popolo – organo del partito comunista cinese – dimostra che Xi durante una riunione del Politburo del partito ai primi di gennaio “emise ordini per lavorare al fine di prevenire e controllare la diffusione del nuovo coronavirus”. Gli ordini di Xi, però, non furono eseguiti dalle autorità di Wuhan che non avrebbero contenuto il virus, confermando per il 18 gennaio il banchetto di massa con 40 mila famiglie. Evento organnizzato nel tentativo di raggiungere il Guinness dei primati del banchetto più grande del mondo. 

Prima vittima a Taiwan

Sale a 1.765 il bilancio delle vittime del nuovo Coronavirus in Cina dopo il decesso di altre 139 persone nella provincia dell'Hubei, la più colpita dal contagio. Nel suo aggiornamento quotidiano, la commissione sanitaria dell'Hubei segnala 1.933 nuovi casi. L'aumento rispetto dei nuovi contagi rispetto a ieri pone fine a un calo consecutivo di tre giorni di nuovi casi. Taiwan ha annunciato oggi la prima vittima provocata dal virus. Si tratta, riporta il Global Times, di un uomo di 61 anni che soffriva anche di diabete ed epatite B. Le persone decedute fuori dalla Cina sono finora cinque: oltre a Taiwan, una anche in Francia, Hong Kong, Filippine e Giappone. I casi di contagio confermati nel mondo sono 69.266.

Task Force

Il direttore dell'Africa centers for disease control and prevention (Africa Cdc), John Nkengasong, nel corso di una conferenza stampa congiunta con l'Unione Africana nella sede di Addis Abeba, ha annunciato l'avvio di una task force continentale per limitare il propagarsi del virus in Africa, dopo il primo caso di contagio riscontrato in Egitto, avvenuto lo scorso 15  febbraio dalle autorità egiziane. Si tratterebbe di uno straniero, ma Il Cairo non ne ha rivelato la nazionalità. Gli stretti rapporti commerciali e politici con la Cina, cresciuti del 600% negli ultimi 10 anni, hanno permesso che “la probabilità e il rischio di avere un'epidemia in Africa di coronavirus siano molto alti”, come evidenziato dal responsabile del team dell'Oms per le emergenze nel continente, Ambrose Talisuma, ripreso da Agi. La Task Force Africa, che raggruppa esperti di epidemie di vari Stati e collabora con l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), è coordinata da cinque Paesi: Senegal, Kenya, Marocco, Nigeria e Sudafrica – quelli maggiormente preparati ed equipaggiati. Attualmente, come in molte altre aree del mondo, le autorità africae hanno obbligato la messa in quarantena di cittadini africani di ritorno dalla Cina e di viaggiatori cinesi sbarcati nei maggiori aeroporti internazionali del continente, tra cui Egitto, Etiopia, Kenya, Costa d'Avorio, Botswana, Uganda e Burkina Faso. L'Oms, dal canto suo, ha già stanziato un fondo milionario destinato a sostenere i sistemi sanitari più “deboli” quali Algeria, Angola, Costa d'Avorio, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Ghana, Kenya, Mauritius, Nigeria, Sudafrica, Tanzania, Uganda e Zambia.